lunedì 31 dicembre 2018

Omelia 30 dicembra 2018


S. FAMIGLIA 2018

I tuoi figli non sono figli tuoi.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.

Sono i versi dedicati ai figli dell’opera Il Profeta, celebre testo del poeta libanese Kahil Gibran. Versi che si chiudono con un’immagine: Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani. Non è per niente facile questa operazione. Oggi nei confronti dei figli c’è in genere un atteggiamento di protezione che da un lato mette al riparo i ragazzi rispetto ai pericoli che possono incontrare, dall’altro li imprigiona in un rapporto simbiotico dove non è il ragazzo ad avere bisogno del genitore, quanto piuttosto il contrario. Tu sei l’arco, dice Gibran, i tuoi figli sono le frecce. Invece succede che il cordone ombelicale sembra trattenere ogni possibilità di crescita e di autonomia. Avete mai visto bambini vestiti come le loro mamme o come i loro papà? È il segnale che qualcosa non funziona. Avete visto mamme che non mollano il figlio, né a nonne né ad amiche, anche quando avrebbero bisogno di aiuto? Chi ha bisogno di chi?

L’episodio di Maria e Giuseppe che non trovano più Gesù con loro per recuperarlo dopo tre giorni di ricerca a Gerusalemme è l’occasione per riflettere sul compito dei genitori e di come essere adulti accanto a dei ragazzi che crescono.

1.    Credendo che egli fosse nella comitiva. Maria e Giuseppe pensano che il loro figlio sia nel gruppo famigliare, in una realtà conosciuta. Primo atteggiamento importante è superare la presunzione di sapere, di avere la situazione sotto controllo. A volte la presunzione è legata all’estensione del frame. Un’immagine della pellicola viene confusa con l’intero film. Tuo figlio a casa è tranquillo ed educato, di conseguenza pensi che sia sempre così. E ti sembra strano se l’insegnante ti rivela la sua aggressività o la sua chiusura. Pensate al fenomeno di bullismo capitato ad Abano Terme a fine novembre. Ragazzi di tredici anni che pestano un loro compagno di scuola. Non parla il bullizzato, non parlano i bulli finché non parlano gli ematomi. E allora gli adulti increduli, da una parte e dall’altra, iniziano a interrogarsi: a mettere insieme i pezzi che prima avevano trascurato: chiusura, isolamento, improvviso calo del rendimento scolastico. Soprattutto dichiarano la loro sorpresa: «Sì, abbiamo sentito ciò che è successo. Pensavamo che certe cose si potessero vedere solamente in televisione». Ecco la carovana: tu pensi che tuo figlio sia quello di sempre, invece sta capitando qualcosa di importante. Ci sei? Dove sei? Prova a sentire anche le impressioni degli altri: se qualcuno ti dice qualcosa su tuo figlio che non ti piace, forse non è un nemico, ma qualcuno che ti sta dando una mano.

2.    Cammina e cammina, chissà con quali sentimenti in cuore, dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri. E a quel punto la domanda: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ecco, nella relazione educativa le domande sono importanti, per trovarsi e per capirsi. Domande corrette, pertinenti, aperte a una risposta che non è quella che ho già in mente. Non è facile: a volte infatti abbiamo paura di fare domande perché le risposte ci fanno paura; altre volte facciamo domande aggressive, sarcastiche che non cercano risposte ma l’affermazione di sé e delle proprie idee. Pensate alle domande inutili: Come è andata oggi a scuola? O a quelle ironiche: Per venire a casa da scuola devi passare per Via Motte? O a quelle indagatrici: Cos’è sta puzza di fumo che ti porti addosso? Chi è quello là con cui parlavi? Guardate alla domanda di Maria. Innanzitutto alla domanda segue la comunicazione di uno stato d’animo. Angosciati, ti cercavamo. Fai capire che c’è qualcosa che ti sta a cuore, che c’è amore in quello che dici. Poi Maria coinvolge anche Giuseppe: Tuo padre e io. Mai agire per conto proprio, sempre in sintonia. Poi rimanere sul fatto, non sulle sue interpretazioni: Perché ci hai fatto questo? Non dice: perché sei fuggito, perché ci hai dimenticato, perché te ne impippi di noi… Non è detto che a quel punto avrete le risposte che state cercando, ma a quel punto voi avrete agito con rispetto e avrete dato un segnale di disponibilità.

3.    Poi c’è la risposta di Gesù. Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Alle domande di Maria e Giuseppe, Gesù risponde con altre domande. Mi pare interessante per due motivi questa risposta. Primo, perché non devi mai cessare di interrogarti su quello che Dio sta suggerendo alla tua famiglia. Perché tu ti comporti in una maniera che ti sembra buona, non è detto che vi sia il disegno di Dio. Allontano i figli dai nonni perché non si sono comportati bene. È proprio quello che ti dice il Signore o ti dice il tuo orgoglio? Secondo: anche tu puoi rispondere ai tuoi figli con le domande: Non voglio più andare a messa, i miei amici non fanno più religione. Credere è da sfigati. Sei proprio sicuro che sia la scelta migliore? Sei sicuro che in duemila anni di storia il cristianesimo abbia seminato scemenze? E continui a girare il risotto, facendo capire che forse c’è un pezzo di strada in più da fare. Proprio così: alla fine non ci sono risposte, ma la strada verso Nazaret, quella in cui Gesù, Maria e Giuseppe accolgono quella loro particolare famiglia e in essa continuano a capire e  a capirsi, a cercare e a trovare, come a casa nostra, come in ogni famiglia disposta a lasciarsi condurre da un progetto più grande del proprio.










domenica 16 dicembre 2018

Omelia 16 dicembre 2018


Terza domenica di Avvento

Due bambini immigrati, uno cinese e il compagno dello Sri Lanka, stanno andando a scuola a Milano. E inciampano in un portafoglio pieno di soldi. Con tutto quel denaro tra le mani, la situazione si fa impegnativa. E allora consultano due amiche, una italiana e una peruviana e alla fine decidono di consegnare tutto a qualcuno di cui si fidano, all’insegnate che riesce a rintracciare il proprietario, un pensionato che aveva appena ritirato la tredicesima alla posta. Una storia a lieto fine, con tanto di pizza offerta ai ragazzi. Ma la domanda che emerge in questo semplice episodio è molto intrigante: che cosa dobbiamo fare? La vita non è fatta solo di idee, di riflessioni: è fatta di scelte ed è fatta di gesti che ci raccontano, che dicono di noi. Cominciare a fare è un modo per ritrovare se stessi, per intraprendere strade differenti, per far posto al Signore. Ebbene nel vangelo di questa domenica varie categorie di persone si recano da Giovanni Battista e gli chiedono per tre volte: Che cosa dobbiamo fare? La predicazione del Battista aveva scosso le coscienze e la gente cercava strade di cambiamento e di novità. E Giovanni indica pratiche possibili, pratiche buone. Giovanni che non fa sconti su Dio e sulla sua Parola, apre dei varchi semplici e raggiungibili come se volesse dirci: non spaventarti per quello che ti è chiesto, per quelle trasformazioni che ti sembrano impossibili. Comincia da quello che puoi fare, come restituire un portafoglio al suo proprietario. Andiamo a vedere chi sono coloro che si rivolgono a Giovanni.

1.    Innanzitutto ci sono le folle. Che cosa dobbiamo fare? La risposta è nella condivisione generosa di quello che si possiede: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Provate a pensare: il termine condivisione è legato oggi quasi esclusivamente alle foto o ai post che pubblichiamo sui social. Giovanni ha in mente un’altra condivisione: il vestito e il cibo, dignità e sostentamento. Non limitarti alle immagini e alle riflessioni: apri il frigo, l’armadio, il portafoglio. Prova a dare qualcosa di tuo agli altri, ma prova a riempire di dignità il tuo gesto, di arricchirlo dell’interesse, della stima, del coraggio di guardare l’altro negli occhi, magari di creare una relazione buona. Sul Corriere di venerdì c’era un’intervista a una coppia di sposi di Mantova che dopo aver messo al mondo cinque figli e adottati altri otto, ne ha avuto in affido, in periodi più o meno lunghi, un’altra novantina. A Natale siederanno a tavola in 24. Germana Giacomelli, madre d’Italia, come la definiscono, ora ha 71 anni e ricorda come è iniziata l’avventura con suo marito Giampaolo. trentatré anni fa. «Avevo già messo al mondo quattro figli. Mio marito possedeva due panifici, io un negozio di scarpe. Mi crede se le dico che non sapevamo come spendere i soldi? Auto, abiti griffati, viaggi, ristoranti, colf. Non mi mancava nulla eppure mi sentivo priva di tutto. Stavo malissimo. Ero in perenne attesa di qualcosa che desse un senso alla vita. Ma non sapevo dove cercarlo». «Alla fine come l’ha trovato?» chiede l’intervistatore. «Mi sono messa a pensare agli altri». Ecco una bella storia di sostegno e di dignità, restituita a tanti ragazzi che hanno trovato vita, salute, lavoro, famiglia. L’affido… ci avete mai pensato?

2.    Seconda categoria è costituita dai pubblicani, gli esattori delle tasse che ogni tanto ricaricavano le imposte di un loro ulteriore guadagno. «Maestro, che cosa dobbiamo fare?» Giovanni  indica la giustizia, l'onestà. Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Interessante questo passaggio, non solo per l’Agenzia delle entrate e le sue riscossioni ma anche per le imposte in più che noi facciamo pagare a qualcuno, com’è successo a quell’operaio moldavo di 28 anni trovato morto in una radura a Sagron del Mis. Inizialmente si pensava ad una sua imperizia mentre tagliava degli alberi. Dalle indagini dei carabinieri è emerso che il giovane era stato colpito da un cavo in acciaio durante l’installazione di una teleferica. Giunto sul posto, il titolare della ditta avrebbe caricato il corpo sull’auto della vittima e l’avrebbe lasciato nei pressi di un dirupo. Non si sa se il cadavere vero sia quello del morto o di chi elude le proprie responsabilità. Noi forse non ci comportiamo così ma all’altro a volte estorciamo più di quello che può dare: pensiamo a certe vicende di separazione e al gioco delle convenienze economiche. Perché andarsene di casa per qualcuno vuol dire rivendicare mantenimento crescente, per altri vuol dire povertà. Non esigete di più di quello che vi è stato fissato. A dire il vero quello che era stato fissato era l’amore, ma se questo non c’è più, forse non bisogna smarrire l’onestà, la misura, la possibilità di andare avanti con dignità, figli in primo luogo.

3.    Infine i soldati, gente che a volte agiva brutalmente, senza troppi scrupoli. «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». È la vita che rinuncia alla violenza, al sopruso, alla giustizia sommaria. Pensate a questi due giovani che popolano in questi giorni la cronaca di Strasburgo in maniera così diversa, il criminale e la vittima italiana, Antonio Megalizzi: uno che ha ceduto a logiche di terrore di fanatismo, l’altro appassionato per la pace e la fraternità tra i popoli. Ecco la scelta: ci sono due lupi che combattono dentro di noi, uno cattivo che vive di odio, rabbia e risentimento; l’altro buono che vive di speranza e generosità. Quale vince? Quello cui dai da mangiare. Ma attento che alla fine il lupo non mangi anche te.

Che cosa dobbiamo fare? Una domanda importante. Non rimanerci troppo sopra. Inizia a cambiare qualcosa. Inizia a cambiare aprendo un po' di vangelo. 






venerdì 14 dicembre 2018

Omelia esequie Valnea Curatolo Federighi


Funerale Valnea Curatolo Federighi (14 dic. 2018)

(Dt 8,2-9/ Gv 14,1-6)

Finestre della memoria. Questo il significativo titolo della pubblicazione che qualche anno fa ha raccolto i pensieri di Valnea, protagonista di vicende che hanno contrassegnato la storia del secolo scorso a livello internazionale e a livello locale, nel dramma dei profughi istriani e nei cambiamenti di questo nostro paese. E anche noi oggi ci affacciamo a questa finestra, perché i panorami che in essa si delineano non vadano perduti e possiamo custodire un po’ di sapienza in più riguardo al tempo: al passato di cui siamo eredi, al presente che abitiamo, al futuro che stiamo costruendo. Ce lo rammentava il libro del Deuteronomio: Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere. Ricordati: la fede ebraico cristiana è un esercizio di memoria nel quale scopriamo che non siamo da soli e che una mano invisibile ci accompagna: quella di Dio. Valnea era una donna credente, di una fede radicata e libera, fortemente incarnata nelle vicende umane e protesa a interrogare la vita. Significativamente la copertina del libro riporta un dipinto di Jessie Boswell con tre finestre aperte. Proviamo ad affacciarci anche noi per osservare qualche frammento di storia, di vita e di fede che la vicenda di Valnea ci consegna.

1.    Valnea, nata a Fiume nel 1923 in territorio allora italiano, ci apre anzitutto la finestra del dramma dei profughi istriani, fiumani e dalmati costretti a lasciare le loro terre nel secondo dopoguerra, a motivo dei nuovi assetti internazionali e delle violente pressioni del governo di Tito. La famiglia aveva un grosso panificio, ma ad un certo punto il quadro socio-politico si fa incandescente. Valnea, approfittando del permesso temporaneo di studio, l’8 settembre 1945 si trasferisce a Padova dove è iscritta a farmacia. La mamma poco dopo le invierà una lettera: Non tornare più a casa. Anche la famiglia, insieme ad altri 350 mila profughi, di lì a poco abbandonerà Fiume e si trasferirà a Sanremo. Diceva Valnea: Abbiamo perso tutto, abbiamo salvato la pelle. Non così sarebbe capitato ai circa 13 mila gettati nelle foibe. Valnea ci restituisce una pagina importante di storia ricca delle sue riflessioni, in particolare quelle che riguardano i confini, la convivenza umana, l’incontro di popoli e di culture diverse: Io, affermava nell’intervista – amo definirmi di pura razza bastarda. La mia bisnonna era irlandese e ha sposato mio bisnonno che era di Cherso. Il mio nonno materno era Dalmata. Da parte di padre la nonna era genovese, il nonno era di Trapani. Ho parlato di sangue misto, ma devo aggiungere di cuore italianissimo. Si può essere italiani, sostiene Valnea, anche con sangue di varia provenienza. La parola democrazia ha senso se vissuta fino in fondo, senza prevaricazioni, nel rispetto assoluto e reciproco delle diversità di opinioni, di religione, di lingua. Parole importanti, non prive di attualità, che è bene udire dalla cattedra di chi ha patito esclusione, persecuzione, lontananza e povertà e ci insegna a cercare quello che a volte facciamo fatica a vedere. Osserva i comandi del Signore, tuo Dio, camminando nelle sue vie e temendolo, perché il Signore, tuo Dio, sta per farti entrare in una buona terra. È la terra della fraternità e della concordia quella che il Signore ci indica e che Valnea non ha cessato di farci osservare, a volte anche con un certo rigore.

2.    Una seconda finestra è quella famigliare e professionale. Valnea ha studiato farmacia e tra i banchi dell’università incontra Guido Federighi. All’inizio è solo un’amicizia, poi i sentimenti si intensificano e inizia la relazione. Il papà di Guido, farmacista a Godego, ad un certo punto si ammala e viene a mancare; guido quindi chiede a Valnea di raggiungerlo in paese per assumere la direzione della farmacia. Guido non era ancora laureato perché si era dapprima iscritto a ingegneria; ma quando si ammala suo padre cambia facoltà e si prepara a gestire la farmacia. Intanto nel settembre del 1949 Valnea viene a Castello di Godego, va abitare dai Moresco, inizia a lavorare in farmacia finché Guido non si laurea e sposandola nel 1959, dà forma alla sua famiglia. Con Guido c’è sempre stata una grande intesa: mai visti litigare, diceva M. Giovanna. E non serviva neanche che si parlassero, tanto erano normali la disponibilità senza orologio, i consigli a gente che non aveva bisogno solo di farmaci ma anche di indirizzo e di sostegno, la solidarietà che sapeva cancellare i debiti a chi non poteva permettersi i medicinali. La storia di questo nostro paese è la storia della sua povertà, ma anche di uomini e donne che hanno fatto della loro professione una missione e che hanno tracciato sentieri di riscatto, risurrezione e di vita pagando di tasca loro. Io sono la via, la verità e la vita. Parole di vangelo ben presenti nei giorni di Valnea che ha camminato, senza mai pentirsene e senza vantarsene su strade di accoglienza e carità.

3.    La terza finestra è quella culturale. Quando Guido ha iniziato a fare il farmacista, Valnea è ritornata al mestiere che più le piaceva: insegnare. Matematica e scienze alle medie di Castelfranco e in qualche altro istituto. Non ha mai mancato però di promuovere anche a Godego formazione e informazione. Non faceva mistero Valnea della distanza che aveva sperimentato nel cambio di residenza da una città mitteleuropea com’era Fiume, dove in casa c’era il telefono e si andava a teatro a un paese rurale come Godego di fine anni ’40 dove gli unici laureati erano lei, il dott. Serafini e il prof. Ripoli e si reagiva alla povertà con la ricerca di un qualsiasi lavoro, smettendo presto di andare a scuola e partendo spesso per terre lontane. Valnea non faceva sfoggio della sua cultura. Con umiltà si è messa a disposizione del paese promuovendo conoscenza e l’istruzione, fondando il Centro Culturale Villa Priuli, l’Associazione genitori e recando nuovi stimoli culturali, pedagogici e anche religiosi, scontrandosi talora con le idee poco lungimiranti di qualche cappellano. Valnea era una donna di fede, ma aveva capito che la verità di Gesù Cristo era sempre legata ad una apertura del cuore e della mente e che certe impostazioni, spacciate per obbedienza, erano di fatto ristrettezze mentali. Vivi una fede libera, sembra dirci Valnea, attenta a quel che capita, pronta ad interrogarsi, lieta di trovare spazi di partecipazione dove capire e aiutare a capire. Perché è così che il Signore ci fa crescere e ci rende dei credenti adulti. Ogni tanto Valnea interrogava anche il suo futuro. Ma non si faceva molte domande; diceva semplicemente: Chissà che il Signore mi venga a prendere. Sapeva che nella casa del Padre, come ha assicurato Gesù, c’erano tanti posti. E crediamo che il suo posto ora lo abbia trovato, accanto al Risorto, alla Vergine Maria che sempre pregava, a P. Pio da cui era affascinata, a suo marito Guido e a quel popolo numeroso di cui è stata amica, maestra e compagna di viaggio.

domenica 9 dicembre 2018

Omelia 9 dicembre 2018


Seconda domenica di Avvento


Bisogna fare bene l'analisi logica. L'affollamento di uomini potenti che introduce il vangelo di oggi può trarci in inganno. L'imperatore, il governatore, i tetrarchi, i sommi sacerdoti… Ma non sono loro il soggetto da riconoscere, bensì la parola di Dio, quella che venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Mentre la storia dei giornali e dei libri si gioca nei palazzi del potere, la storia di Dio è tessuta nella voce e nei gesti di un giovane profeta attento ai segni di Dio. E Dio funziona proprio così: fugge la ripetitività scontata, la retorica del si è sempre fatto e ricomincia in maniera nuova, dove ci sia qualcuno disposto ad ascoltarlo. 
L'avvento è tempo di novità, di ripartenze e di sorpresa. E tu, sei uomo dell'apparato o dell'inedito? Abiti la consuetudine o la meraviglia? Giovanni ci invita ad aprire porte di novità. 

1.    Gli uomini della novità divina non hanno paura del deserto, delle situazioni apparentemente inospitali che mettono alla prova la vita e la fede. A volte è proprio qui che il Signore ci dà appuntamento, quando la fede trascina la ciabatta o quando ha in mente di regalare alla tua fede qualcosa in più.  È la vicenda dei monaci di Tibhirine che ieri sono stati proclamati beati in Algeria. Religiosi che ben percepivano il clima di ostilità che cresceva intorno a loro, in un Paese contrassegnato da una guerra fratricida. Hanno scelto di non andarsene, di rimanere come segno di dialogo, di fiducia, di accoglienza fraterna. Tantissimi erano i musulmani visitati da fr. Luc, il monaco dottore che alternava la preghiera all’ambulatorio. Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996 un commando formato da una ventina di uomini armati irruppe nel monastero trappista in cui dimoravano, dapprima furono sequestrati e poi decapitati. La loro beatificazione in Algeria, la prima in un paese quasi esclusivamente musulmano, è un segno che se ti fidi di Dio, anche il deserto può fiorire: Deponi, Gerusalemme, le vesti del lutto… Quando Dio ha in mente qualcosa di importante ti regala un po’ di deserto.

2.    Gli uomini della sorpresa è gente che grida, che non ha paura di dire ragioni credenti. Voce di uno che grida nel deserto. Anche se non ti ascoltano, anche se altre voci ti vogliono coprire. Avete sentito la voce della sorella di Ronaldo? In questi giorni si è fatta sentire perché il fratello non ha vinto un altro pallone d’oro, come avrebbe meritato. Può essere che un tuo famigliare sia dispiaciuto. Ma quando la donna scrive che in questo mondo comandano i soldi e i mafiosi e che Dio farà giustizia, beh, forse mancano le misure. Anche perché mi pare che il fratello non sia proprio senza soldi e che i problemi della giustizia divina siano ben altri in questo mondo. La voce da alzare non è questa, ma la voce che implora giustizia per i poveri, per chi cerca accoglienza. Come hanno fatto i bambini di una scuola di Castello Belvedere che scrivono al ministro perché il decreto sicurezza mette a rischio l’ospitalità di alcuni ragazzi stranieri, loro amici. Vi chiediamo, per favore, di farli restare qui insieme a noi, perché gli vogliamo moltissimo bene. Loro sono stati un regalo per noi. Ma la voce oggi mi verrebbe da alzarla per quei ragazzi morti in discoteca, perché in questo momento sembra che il problema sia quello di trovare chi ha spruzzato lo spray urticante. Certo, gesto sconsiderato. Ma sconsiderata è anche la logica del profitto che regola il mondo del divertimento, dove in nome del dio denaro saltano i parametri non solo della sicurezza numerica, ma anche quelli del giorno e della notte dato che ingressi e spettacoli sono continuamente ritardati. Se l'inizio è per le 22, perché all'una il cantante deve ancora arrivare? E posta pure il suo dispiacere per l'accaduto! Dobbiamo tornare a mettere confini, specie se di minori, come in questo caso si tratta. E i confini riguardano la gestione dei locali e l'educazione. Altrimenti la solidarietà di questi istanti è solo ipocrisia.
3.    Infine gli uomini delle sorprese hanno un bel da fare a raddrizzare strade, riempire burroni e abbassare colline. Leggetevi il discorso dell’arcivescovo di Milano per S. Ambrogio. Mi piace quando dice di snellire le «procedure esasperanti» che hanno reso l’Italia «da “patria del diritto”» a «condominio di azzeccagarbugli litigiosi». Chiede di insistere «in quei percorsi di semplificazione che sono spesso enunciati e promessi per rendere più facile essere buoni cittadini, onesti e in regola con la pubblica amministrazione, per favorire l’intraprendenza di imprenditori e di operatori negli ambiti del servizio ai cittadini e della solidarietà». Pensate a chi ha in casa un malato di Alzheimer. Per fortuna ci sono centri di volontariato che vengono in aiuto alla famiglia. Ma se uno cerca un supporto più regolare incontra una macchina organizzativa che impone regole difficili da capire. Come quella che i malati meno gravi vengono accolti, mentre quelli più impegnativi te li tieni a casa. Certo, perché domandano più risorse. Oppure, proprio perché rompi le scatole, ti concedo una struttura a 40 km. da casa che uno accetta con la speranza di ottenere poi un avvicinamento. E ogni giorno intanto si va su e giù. Anche qui c’è qualcosa da raddrizzare… 

La Parola di Dio venne su Giovanni Battista, nel deserto.Giovanni Battista oggi è dentro di te. Libera la sua voce, prepara con lui la strada al Signore che viene.

venerdì 7 dicembre 2018

Omelia 2 dicembre 2018


Prima domenica di Avvento 2018

Ricordate la vicenda di quei ragazzini rimasti intrappolati in una grotta in Thailandia e miracolosamente salvati grazie all’intervento straordinario di una squadra di soccorritori? È finita bene, ma non sempre va così, com’è successo qualche tempo fa in Calabria agli escursionisti travolti dalla piena del torrente Raganello. Perché succede? Perché non ci pensi, trascuri alcune circostanze, perché la curiosità o il divertimento alterano la percezione del pericolo. Ebbene, questa eventualità non riguarda solo alcune circostanze fortuite: riguarda la vita, il modo con cui ti collochi di fronte ad essa, di fronte al futuro. C’è il rischio di abitare un presente che impedisce di guardare avanti, di agire con responsabilità e di fare scelte adeguate. C’è il rischio di finire in trappola, prigionieri di un laccio che si abbatte improvviso, senza lasciar scampo. Quando un ragazzino piange di fronte al cancello di scuola perché i suoi genitori si scaricano le responsabilità per andarlo a prendere e all’insegnante che interviene, l’uno e l’altra rispondono: lo dica a suo padre, lo dica a sua madre… non vi pare che il laccio sia già scattato?

Questo tempo di avvento ci rende un po’ più attenti. Gesù usa tre imperativi che costituiscono una buona carta di navigazione non solo per questi giorni che ci separano dal Natale, ma per l’intera nostra vita.

1.    Risollevatevi e alzate il capo. È un verbo che sa di grandezza, di risurrezione, di prospettiva. Smettila di vivere piegato, guarda avanti. Quando viviamo piegati? Quando siamo prigionieri di noi stessi, dei nostri ricordi che si trasformano in rammarichi o in rimorsi e ti tolgono la serenità, quando un contrasto con qualcuno ci fossilizza nei confini di quella stessa incomprensione e ci impedisce di uscire. Vuol dire che il laccio è scattato e oltre a imprigionarci ci ha convinto che da quella realtà non possiamo uscirne. Attenzione però che il laccio è insidioso e non sempre è dove pensi. Infedeltà di coppia: pensi che il laccio si il partner che ti ha tradito e dal quale senza troppi scrupoli vorresti liberarti. Ma il laccio può essere anche il tuo tentativo di sbarazzarti dell’altro senza accogliere la sua richiesta di perdono, il suo desiderio di ricominciare. Il laccio non è solo il tradimento, può essere anche l’orgoglio, l’esasperazione della colpa che ti porta a recriminare, a scavarti una fossa di risentimento, a scaricare sull’altro tutta la rabbia senza credere nelle possibilità di ricominciare. Risollevatevi, alzate il capo.

2.    State attenti a voi stessi… che i vostri cuori non si appesantiscano. E qui Gesù indica tre appesantimenti: dissipazioni, ubriachezze, affanni della vita. È la vita trascinata dalla superficialità, dallo sballo, ma anche da una corsa affannosa che non ci sottrae a noi stessi. In questa settimana la polizia ha sequestrato un discreto quantitativo di droga destinato a festini trevigiani. Con l’idea che se anche ti fai una canna non succede niente. Tutti italiani coinvolti. Ma ci sono altre droghe in circolazione. La droga del lavoro per cui non ti puoi mai fermare. La droga della sicurezza che ti fa vedere minacce da tutte le parti, specialmente dagli immigrati, con la necessità di inasprire sempre di più la legislazione in una rincorsa che non ci vede mai soddisfatti. State attenti a voi stessi.

3.    Vegliate in ogni momento, pregando. Se vuoi che il laccio non ti prenda devi rimanere sveglio. Ed essere sveglio vuol dire intercettare un mondo più grande di quello che vedi, il mondo di Dio. Pregare vuol dire riconoscerlo, frequentarlo, accoglierlo nella vita. Ce l’ha fatto capire quella bambina che ha iniziato una raccolta di firme contro le sue maestre che avevano bonificato la canzoncina di Natale dal nome di Gesù. Bisogna essere rispettosi degli scolari non cattolici, hanno detto le insegnanti. Il problema è che non sono certo i ragazzi di altre religioni a fare problemi. Il problema è quello di un’ideologia che costantemente ritorna e ti addormenta. Perché essere cristiani non è di moda, non fa tendenza. Ma non è questione di mode. È questione di verità, di quello che sei. Per non trovarsi a difendere la fede calcistica più di quanto non difendiamo quella cristiana. Vegliate, pregate. E questo tempo d’avvento ne è forze ancora una volta l’occasione.

domenica 18 novembre 2018

Omelia 18 novembre 2018


Trentatreesima domenica del T. O.

C’è un libro uscito nei mesi scorsi che porta un titolo provocante: "Prigionieri del presente" (Einaudi) di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo. Secondo gli autori viviamo in un tempo appiattito in cui ci collochiamo fuori dalla storia e dal futuro, in una “sequenza circolare di attimi”. Segnali raccolti: la decostruzione del linguaggio, un’eterna connessione che rende opaco il reale, la ricerca delle soluzioni semplici anche se a volte si tratta di trappole. La soluzione proposta? Allungare lo sguardo.

È quello che Gesù ci invita a fare nel vangelo di oggi. Attento a non fissarti su un presente che è destinato a passare: guarda la storia con un po’ di profondità in più. Guarda avanti, guarda oltre. Cosa vuol dire?

1.    Anzitutto cerca di avvertire la provvisorietà del tempo che ti è dato, di quello che sei, di quello che fai. Perché il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo. Sole, luna e stelle erano i riferimenti stabili della cosmologia antica, ciò che serviva all’uomo per comprendere l’ora del giorno, le stagioni, i propri spostamenti. Stai attento che ad un certo punto tutto finisce. E se tu non lo ricordi rischi di esserne travolto. Abbiamo bandito l’esperienza della fragilità come se non ci appartenesse e così abbiamo pensato di essere immortali, onnipotenti, facendo agire le sostanze dove non arrivano le convinzioni. Gli esperti però ci dicono che buona parte del consumo di droga oggi non è legato allo sballo, ma è legato allo stress, all’ansia da prestazione, alla necessità di non essere surclassati da una società dei numeri uno. Ritrova i confini reali dell’esistenza perché questo mondo impasticcato ti vende, e neanche tanto a buon mercato, l’illusione del no-limits lasciandoti però immiserito, non appena la sceneggiata finisce. Vedere avanti vuol dire riconoscere fin dove puoi arrivare, cercare collaborazioni, investire anche in chi viene dopo di te. 

2.    Guardare lontano vuol dire però anche cercare l’essenziale, cercare ciò che resta. E ciò che resta è lui, il Signore e la sua Parola. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quali parole ascoltiamo, quale sapienza orienta la nostra vita? A me pare che abitiamo spesso il chiacchiericcio, la banalità e la malafede. Pensate alla questione dell'Ici che periodicamente ritorna e alla mal sopita voglia di rivalsa di fronte ai veri o presunti privilegi della chiesa cui vengono attribuite le colpe dell'indebitamento del Paese.  La questione non riguarda però solo la chiesa, ma tutti gli enti no profit che svolgono attività commerciali, rispetto alle quali la chiesa ha sempre sostenuto l’esigenza del pagamento. Mi pare però che la Chiesa sostenga molte altre spese al posto di un ente pubblico latitante che si scrolla di dosso le responsabilità: nell'istruzione, nell'educazione, nella solidarietà, nella conservazione del patrimonio artistico e culturale del paese. Facile accodarsi al chiacchiericcio mediatico animato dagli slogan; facile anche  dissertare sul Padre nostro o sul Gloria e diventare sostenitori di nuove o antiche traduzioni. Molto più impegnativo accogliere l’invito alla solidarietà, alla carità che questa Giornata dedicata ai Poveri ci suggerisce. Ma sono queste le uniche parole che restano: quelle della solidarietà, della condivisione. Quelle che si trasformano in gesti di accoglienza, di rispetto.  Gli slogan passano, la carità resta. E ci fa guardare lontano.

3.    Infine Gesù ci regala un’immagine molto bella di vita primaverile. La pianta del fico: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Guardi lontano se intravedi segni che preludono a un cambiamento. E Gesù ci suggerisce due segni importanti: quello della tenerezza e quello della sorpresa. Il ramo diventa tenero. Prova a esserlo un po’ anche tu: nei tuoi giudizi, nei modi con cui stai accanto a qualcuno, nell’affetto espresso e non solo implicitamente consegnato. La tenerezza rompe la nostra corazza, ci fa aspettare il futuro. E poi la sorpresa: di qualcosa che spunta quando meno te l’aspetti. Come quella donna del vicentino morta nei giorni scorsi per aver rinunciato alle cure oncologiche per non nuocere al bambino che portava in grembo. Si è opposta con una forza incredibile a chi gli diceva di pensare a se stessa. Quando si fanno scelte del genere vuol dire che preoccupazioni, ricchezza, occupazioni hanno lasciato spazio a qualcosa di più importante e non si è più prigionieri del presente. Si è allungato lo sguardo e si è dato fiducia al germoglio che cresceva. Appello buono anche per noi, perché non ci manchino gli orizzonti e perché impariamo a credere nei cambiamenti già in atto. 










domenica 11 novembre 2018

Omelia 11 novembre 2018


Trentaduesima domenica del T.O.

In questo tempo di fake news, anche noi rischiamo di diventare un po’ fake. Un po’ perché viviamo in un mondo di predatori e ci nascondiamo, un po’ perché, al contrario, abbiamo bisogno di affermazione e visibilità e non esistiamo a interpretare ruoli e identità pret-à-porter che, abilmente giocati, ottengono i like che ci servono. 

Oggi Gesù ci insegna ad essere veri, a ritrovare la nostra verità, a sconfiggere la dominazione del fake che talora regna sulla nostra vita. Come si diventa veri?

1.    Siamo nel tempio di Gerusalemme e Gesù con i suoi discepoli assiste ad una sfilata. Personaggi importanti del mondo religioso di allora che passeggiano su e giù, con preziosi vestiti, che si intrattengono tra di loro, che amano essere guardati con rispetto e ossequiati dalla gente, che cercano di partecipare ai banchetti più in vista. Sembra una foto scattata ai nostri giorni nel gran ballo della visibilità. Pensate ad una professione che sta attirando anche i nostri ragazzi: il blogger, dove tu cerchi uno spazio per raccontare attraverso i social un particolare aspetto della società e ti intrufoli ovunque per esserci finché quando acquisti un po’ di notorietà sarà la gente stessa a invitarti o ad accoglierti con gratitudine perché sa che attraverso di te i tuoi vestiti, la tua cucina, i tuoi eventi otterranno celebrità. Così un’azienda di moda ti dà i suoi capi di abbigliamento e tu diventi un influencer indossandoli, riprendendoti e postando in rete quella che attraverso di te può diventare una tendenza. Ai tempi di Gesù la visibilità era cercata a livello religioso: oggi ci sono altre divinità, il denaro, il successo che ti spingono a interpretare nuove liturgie. Dice Gesù: Guardatevi da tutto questo. Perché? Perché c’è il rischio di smarrire la tua verità. Lunghe vesti che coprono ciò che siamo e ci fanno dimenticare la nostra bellezza e la nostra dignità. Ce ne siamo resi conto venerdì sera con lo spettacolo di Guido Marangoni. Un papà che ci ha aiutato a cogliere il valore delle persone prima delle loro abilità o disabilità, il valore di sua figlia Anna che gli ha cambiato la vita. Occhio ai vestiti che indossi: possono essere travestimenti. 

2.    Al tempio però c’è anche un’altra liturgia. Quella delle offerte. Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Interessante il sistema di raccolta: nel tempio c’era un posto chiamato gazofilacio in cui c’erano tredici cassette di bronzo per versare offerte per varie destinazioni. I sacerdoti ricevevano l’offerta e ad alta voce proclamavano il nome dell’offerente e l’importo corrisposto. La tredicesima era quella che raccoglieva le offerte dei poveri, senza nessuna proclamazione. Una vedova furtivamente butta due soldi in quella cassetta. Avrebbe potuto fare a meno di farlo e tenersi i suoi soldi dato che apparteneva ad una fascia protetta, insieme all’orfano e al forestiero. Ma non rinuncia a quel gesto che le consente di essere una donna libera, di poter pensare che ci possa essere gente più povera di lei, di esprimere se stessa nella direzione della gratuità e del dono. Ecco la differenza: la vedova non è preoccupata del ritorno di immagine. Le sta a cuore essere se stessa fino in fondo e le sta a cuore la sorte dell’altro, tanto da rinunciare a qualcosa di essenziale. Nei tuoi gesti di generosità, ricordati di mettere te stesso, non la tua immagine. Metti un po’ di cuore, di verità. E ricorda che quel gesto non serve solo all’altro che aiuti: serve a te, per rimanere uomo, per rimanere vero.  

3.    Ma nel gesto della vedova c’è un altro aspetto importante: la totalità. Mentre i ricchi notabili hanno dato il loro superfluo, lei ha dato tutto, tutto quello che le serviva per vivere. Ecco quello che vuole dirci Gesù: se vuoi essere vero, non giocarti a metà, gioca tutta la tua vita. Due fatti: quel carabiniere (Emanuele Reali) che insegue un ladro a Caserta e finisce travolto da un treno mentre stava attraversando i binari. In servizio, senza risparmio. E un’indagine curata tra i ragazzi delle scuole superiori, nessuno dei quali sembra più disposto a fere il rappresentante di classe perché tanto non serve a niente, perché chi me lo fa fare? È la fotografia di chi gioca tutto e di chi è sempre in riserva di disponibilità, forse non solo tra i ragazzi, ma anche tra gli adulti nelle scelte importanti della vita dove ci riserviamo spesso zone franche e vie d’uscita, ma anche nelle più semplici delle partecipazioni: nel volontariato, in parrocchia, nella condivisione di un progetto. Dove sta la verità di te? Quando di giochi tutto: allora si vede chi sei; le fake continueranno a circolare, ma tu sarai una news diversa, forse meno frequente, forse un po’ più evangelica.

lunedì 5 novembre 2018

Omelia 4 novembre 2018


Trentunesima domenica del T. O.

Di fronte ai danni causati dal maltempo, vi è in questi momenti l’esigenza di distinguere le priorità degli interventi: mettere in sicurezza la gente, evitare ulteriori pericoli, ripristinare la viabilità. La ricerca delle priorità è un’azione importante ed è per questo che su di essa ci si interroga a livello politico, sociale, economico. Che cosa è più urgente? Quali sono le priorità di un’azione di governo, di una manovra finanziaria, di un’emergenza? Anche per la chiesa sono importanti le priorità, con il rischio però che quando le si individua in una direzione, subito ci sia qualcuno che le cerca dalla parte opposta. Ecco che la domanda che fa quello scriba a Gesù può essere interessante, perché essa ha proprio a che fare con le priorità della fede. «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Aiutaci a capire, Signore, in questo tempo di emergenza non solo climatica e idrogeologica, ma anche culturale, sociale, religiosa quali siano le attenzioni da avere.

1.    Gesù inizia ricordando l’antico comandamento di Dio, quello che Israele ripete due volte al giorno, nella preghiera del mattino e della sera. Ascolta, Israele. Le priorità si individuano ascoltando e ascoltando Dio. Un Dio che parla nelle Scritture, ma anche nei fatti della vita. Pensate ad esempio alla fantasiosa proposta, contenuta nella legge di stabilità del governo, relativamente alla concessione di terre incolte del demanio pubblico alle famiglie che hanno il terzo figlio. Forse, ci può essere l’apprezzabile tentativo di cercare risposte alla denatalità, allo spopolamento di alcune aree e al rilancio dell’agricoltura, ma come si fa a pensare che una famiglia all’arrivo del terzo figlio si sposti in campagna e cominci a zappare la terra? Ascolta, Israele, ascolta la famiglia: se come abbiamo visto in questi giorni il numero degli over 60 supera per la prima volta quello degli under 30, altro che campagna! Forse devi ridurre il carico fiscale delle famiglie col terzo figlio, devi contrastare in tutti i modi le assunzioni delle donne con la firma già posta sulle dimissioni nel caso diventino madri, devi cambiare le politiche sulla casa e sui mutui. Ascolta, Israele. Se non si ascolta, non si stabiliscono priorità. Si proclamano slogan e non si risolvono i problemi.

2.    All’ascolto Gesù aggiunge il fascino di un altro verbo. Ama. La priorità dei cristiani va cercata nell’amore. Avete sentito lo strano caso di quell’imprenditore toscano che a Edimburgo, dopo una caduta in cattedrale, ha simulato una perdita di memoria? Confessando, ha raccontato di aver fatto quel gesto perché a casa non valeva più nulla. Reazioni infantili e forse psichiatriche, ma che ci dicono che la nostra vita è sana se qualcu no ci vuole bene e abbiamo qualcuno a cui volerne. Altrimenti non capiamo più chi siamo. Ma l’amore è autentico se mette insieme Dio e il prossimo: Dio dà ampiezza all’amore, il prossimo offre concretezza. Inoltre l’amore è tale se pervade tutta la vita: il cuore, l’anima, la mente, le forze. Impara a voler bene dando unità alla vita. Oggi, a volte, noi abbiamo amori disequilibrati, unilaterali, ridotti, mossi spesso dalle pulsioni ma poco ancorati alla testa e al cuore e esposti alla frammentazione. Le conseguenze si vedono sull’uso della sessualità, sul modo di intenderla, sull’attenzione educativa che accompagna o non accompagna questa dimensione. Verifica come si presenta tua figlia sul suo profilo Instagram perché nessun atteggiamento giustifica la violenza ma alcune condizioni ammiccanti e seduttive ne sono il terreno fertile. Educare al rispetto di sé e dell’altro, alla custodia dei sentimenti, delle parole, perché l’amore sia sempre ricercato nella sua verità. E questa oggi è senz’altro una priorità.

3.    Infine il colloquio tra Gesù e lo scriba finisce con un apprezzamento. Non sei lontano dal regno di Dio. Notate che c’è ancora un po’ di strada da fare per entrarci. Quel tale non ha ancora del tutto colto la priorità di Gesù. Che cosa manca? Gesù ha indicato il comandamento dell’amore, ma quello non è ancora il suo comandamento. Il suo comandamento sarà: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Allora la priorità non è solo l’amore, ma l’amore secondo le misure di Gesù, l’amore sintonizzato sul suo come. In questa nostra società abituata a misurare profitti e ricavi, servizi e prestazioni, il cristiano libera una misura ulteriore, come quella del perdono, della solidarietà, della gratuità. Come quella donna che ieri sulla Circumvesiviana di Napoli, ha preso le difese di un giovane pachistano aggredito da uno squilibrato razzista che gli diceva di tornarsene a casa sua. «L’Italia è nostra, non loro», diceva l’aggressore. E la donna: «È meglio che sia loro piuttosto che tua». Ma nessuno, commentava al Corriere quella donna, è intervenuto. Silenzio un po’ omertoso di chi forse non vuole aumentare la tensione, ma anche di chi fugge. Ecco il di più, da cercare, non il supermercato, ma la misura di Dio. Quella che Gesù oggi indica anche a noi perché il suo Regno diventi priorità e con decisione ci possiamo entrare. Con pazienza e tenacia, con lo sforzo di collocare ogni giorno un tassello di verità che il Signore affida alla nostra ricerca.

domenica 28 ottobre 2018

Omelia 28 ottobre 2018


Trentesima domenica del Tempo Ordinario

Questa settimana è stata funestata dalla terribile notizia di Desirée, la sedicenne di Latina ripetutamente violentata in un contesto di droga, criminalità, degrado. Troupe televisive che si addentrano nei meandri oscuri di uno stabile fatiscente che per qualcuno costituisce la dimora abituale e che per molti è crocevia di spaccio, di ricettazione, di fughe di fronte alla legge. In questa vicenda siamo tutti un po’ ciechi: lo sono i violentatori assassini, gente prigioniera del proprio vuoto e priva di ogni traccia di umanità, lo è il padre di Desirée, a capo del traffico di droga di Cisterna, che accusa chi gli ha ammazzato la figlia ma che non esita a distribuire morte ai figli degli altri, lo è anche Desirée che si è lasciata attrarre in questo vortice oscuro dimenticando la bellezza della sua giovinezza e le speranze che la vita consegna ad ogni ragazzo. E ciechi lo siamo anche noi, società che vorrebbe risolvere il problema con le ruspe, dimenticando che tutti quegli sbandati si trovano in quel luogo perché già altre ruspe li hanno fatti partire da altrove. Siamo ciechi anche noi quando pensiamo che questi problemi appartengano solo a contesti lontani, senza considerare che le sostanze sono alla portata anche dei nostri ragazzi. Non le ruspe bisogna muovere, ma le gru, quelle che portano a costruire, a educare, a offrire speranza e forse anche luoghi di aggregazione e d’incontro. L’emergenza educativa non è più in agenda e, in questo Paese che ama gli slogan di piazza più dei suoi ragazzi, non c’è una voce di bilancio che consenta di realizzare un ambiente per poterli mettere insieme e suggerire loro che vita non è equivalente allo sballo. L’oratorio per il quale invano cerchiamo finanziamenti ne è la prova.  

Gesù oggi guarisce un cieco e vuole guarire anche noi, bisognosi di trovare la sua luce, il suo modo di vedere le cose. Come avviene la guarigione?

1.    Anzitutto gridando e vincendo quelli che ti vorrebbero zittire. Quando il cieco sente che sta arrivando Gesù, non si trattiene e inizia a chiamarlo a gran voce, tanto che molti lo rimproveravano perché tacesse. Ma egli gridava ancora più forte. Il cieco ricorda che un tempo ci vedeva e per quanto la sua situazione sembri inguaribile, lui non si rassegna: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. Non rassegnarti mai all’oscurità; esci da quello che ti rende tenebroso, che oscura la vita. Come quell’autista di Parigi che ad una fermata del suo autobus doveva far salire François, un disabile in carrozzella. L’elevatore l’ha tirato su, ma la gente era pigiata, infastidita e non voleva lasciarlo entrare. E l’autista ha fermato l’autobus e ha gridato: “Capolinea”. Così tutti sono scesi, François è salito e l’autobus ha ripreso la corsa. Non essere vittima del silenzio, della penombra, della mediocrità. E grida quando scendono le tenebre.

2.    C’è un altro gesto molto importante che il cieco compie: butta via il mantello e si reca da Gesù. Il mantello non è solo un vestito. Nella mentalità palestinese di allora è la casa del povero, è tutto ciò che uno possiede, tanto che se uno prendeva in pegno il mantello del povero glielo doveva restituire prima del tramonto del sole. Questo cieco invece butta via anche questa garanzia perché si sente ormai accolto in un’altra dimora, uno spazio più luminoso di quello che pensa di avere. Ecco, per trovare luce dobbiamo buttare il mantello che ci copre, che ci dà sicurezza ma anche ci imprigiona. Pensate ai lavoratori della Breton che hanno regalato 120 giorni di lavoro al papà di quel bambino di S. Martino di Lupari, che è morto sotto lo scuolabus. Hanno rinunciato a un giorno delle loro ferie, per poter permettere al loro collega di stare più vicino alla sua famiglia. Uno potrebbe pensare solo al suo mantello, a starsene in ferie tranquillo dove meglio gli pare e invece getta via le sue sicurezze per far entrare un po’ di luce in più, nella vita di una famiglia segnata da una grave perdita e forse anche nella loro vita. Perché quando fai del bene, il bene fatto ti torna indietro.

3.    Infine, ci dice l’evangelista che il cieco guarito seguiva Gesù lungo la strada. La guarigione funziona se la mantieni attiva, se Gesù diventa la tua strada. Fa’ in modo che la luce non sia uno sfarfallio momentaneo, ma un chiarore che ti accompagna. Ci sono ad esempio dei ragazzi che misteriosamente appaiono a catechismo e altrettanto misteriosamente spariscono, salvo ripresentarsi a particolari scadenze. E se interpelli la famiglia, ti guardano con sufficienza, come se non ti rendessi conto di dove porta la vita. Solo quattro, cinque volte, poi viene. Certo, puoi giocare al ribasso, come quando aspetti i saldi di fine stagione: chiediti però se siano le svendite a dare struttura alla personalità di tuo figlio o la perseveranza, l’incoraggiamento, il valore che tu adulto attribuisci o meno a certe esperienze. Lo seguiva lungo la strada. La strada è la vita: vedi un po’ con chi la vuoi percorrere, perché i meandri oscuri non sono finiti ed è meglio essere in compagnia della Luce.

lunedì 8 ottobre 2018

Omelia 7 ottobre 2018


Ventisettesima domenica del Tempo Ordinario

Un giornale locale in questa settimana dava con una certa enfasi la notizia che a Castello di Godego l’amore è eterno, dato che nella Regione Veneto, il Comune ha il minor numero di divorzi. I dati si riferiscono al 2016 e appartengono all’Istat. L’1,2% su circa settemila abitanti significa, però, pur sempre un’ottantina di casi; si tratta di divorzi, cui si vanno aggiunte separazioni e relazioni problematiche che interessano parecchie altre persone. Culturalmente, poi, lo sappiamo, le scelte definitive sono messe in discussione più dello stesso matrimonio: sembra che ogni decisione possa essere sempre soggetta ad un ribaltamento legato al sentire momentaneo, al “non sento più niente per te” che trascura impegni presi, storia vissuta insieme, figli che nel frattempo sono nati. Ciliegina sulla torta: Temptation island, specchio di questa nostra realtà che fa di tentazione e separazione uno spettacolo, come se la variazione di partner fosse il modo per diventare interessanti. Cosa ci dice Gesù sull’amore umano e sul matrimonio? Il vangelo di oggi ci aiuta a scoprirlo.

1.    Anzitutto c’è un contesto di ambiguità: i farisei che si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova. È lecito a un marito ripudiare la propria moglie? I farisei sanno che la questione è insidiosa perché c’è un comando divino che prescrive la fedeltà e una disposizione legislativa successiva che riconosce il divorzio. Uscirne non è facile: o si smentisce il piano divino o si smentisce quello che la stessa Legge ha codificato. È la stessa cosa che capita anche oggi, rispetto ai tentativi alle rotture famigliari. C’è il tentativo di forzare la mano, sia nel senso di difendere la verità del vangelo, come se nella verità non fosse compresa la misericordia, sia nella ricerca di una legittima-zione di un riconoscimento, anche quando francamente di riconoscibili ci sono solo l’egoismo e l’ormone galoppante. Gesù prima di dare risposte, invita a misurarsi con la durezza del cuore: per la vostra sclerocardia Mosè vi ha permesso di scrivere un atto di ripudio. E la sclerocardia può riguardare chi osserva la coppia dall’esterno che a volte tiene le parti dell’uno senza valutare le ragioni dell’altro, ma anche uno dei partner che tranquillamente lascia moglie e figli per trasferirsi su una casa poco più in là con un’altra compagna, teorizzando che ormai è tempo delle famiglie allargate. Famiglie allargate, ma cervelli ristretti. E cuori induriti.

2.    Gesù invita poi a scoprire un progetto più grande e più antico. Mosè vi ha permesso di scrivere l’atto di ripudio, ma all’inizio, Dio aveva fatto le cose diversamente. Di che inizio si tratta? È quello del disegno creazionale, del tentativo di Dio di sciogliere la solitudine umana. Ma è anche l’inizio della propria storia di coppia, la bellezza dell’innamoramento. Quando una coppia va in crisi, in genere scende un virus sul disco fisso che cancella la memoria, la rende inservibile. L’unico modo è fare quello che ogni tanto si fa a computer; il backup. Fermati a ricordare, a risvegliare fatti e parole, emozioni vissute perché questo piccolo tesoro non vada perduto. Perché in tali eventi c’è la notizia che quello che è nato è qualcosa di più grande di due che si incontrano, qualcosa che accende la vita. Ma attenzione agli inizi vuol dire anche curare gli inizi della vita di coppia senza approssimazione, superficialità, presunzione. Vuol dire sentire un corso di preparazione al matrimonio non come una minaccia, ma come un’opportunità. E vuol dire non fingere. Perché non inganni il prete o l’animatore, ma inganni il futuro e inganni te stesso. Se c’è un altro o un’altra lo devi riconoscere, anche se hai fissato le nozze e hai già mandato gli inviti, se hai un figlio in giro lo devi dire perché non è un Cicciobello in soffitta, se fai uno di sostanze o di alcol non è un particolare trascurabile. Come non è trascurabile l’intesa da un punto di vista religioso, dal punto di vista economico, dal punto di vista delle famiglie di origine. In principio. La casa ha bisogno di fondamenta, altrimenti si colloca un prefabbricato.

3.    Infine Gesù conclude con un avvertimento: Non osi separare l’uomo ciò che Dio ha congiunto. Qui c’è qualcosa di interessante per la vita di coppia: un monito certo, a custodire l’indissolubilità, perché ci si sposa in ...tre: c'è anche Dio e qualche volta, nella fretta di andarsene e ricominciare altrove, ci si dimentica di chiedere aiuto a Lui. Ma non osi l’uomo separare ciò che Dio ha congiunto può voler dire anche: Dio ha davvero congiunto? Papa Francesco invita a un attenta valutazione, abbreviando le strade della nullità, ma anche offrendo la possibilità di vivere cristianamente vicende di l’irregolarità, perché, dice: è vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Ciò che Dio ha congiunto. A volte ha congiunto la seconda unione e non la prima. E ci vuole la pazienza di capire per la coppia e per chi la osserva. Ci vuole il cuore del bambino, come quelli che ritornano in braccio a Gesù anche in questa domenica, per imparare  nuovamente la fiducia, la tenerezza e la semplicità. E se ascoltassimo i bambini e quello che spesso patiscono per le follie dei grandi, forse impareremmo anche che a volte ci si può riprendere, ci si può perdonare, si può ricominciare. 

sabato 6 ottobre 2018

Omelia 30 settembre 2018


Ventiseiesima domenica del T. O.

Nelle discoteche e nei locali alla moda  ci sono i privé, spazi riservati e spesso ben in vista, che consentono di garantire una zona esclusiva, invidiata dagli altri, dove inevitabilmente viene ad affermarsi una distanza tra chi occupa tale ambita delimitazione e il resto del mondo. Ebbene, anche i discepoli di Gesù oggi sono preoccupati di assicurarsi il loro privé. Hanno visto qualcuno che occupa posizioni non autorizzate e subito ne parlano con Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Qua, se tutti si mettono a far miracoli, il nostro privè non vale più niente, i tuoi diritti d’autore sono insidiati. C’è una tentazione che non riguarda solo i discepoli di ieri, ma anche quelli di oggi: chi sono questi immigrati che insidiano la nostra religione? Questi ci tolgono il crocifisso. Questo papa che apre a tutti, che non prende posizione neanche contro gli omossessuali e dice: "Chi sono io per giudicarli"… Dove vanno a finire la fede e la verità cristiana? E i divorziati, risposati e i conviventi che vengono a messa e qualche volta fanno anche la comunione? Dove andremo a finire! Poco importa che anche fuori delle nostre rotte ci sia una strada percorsa da Dio. Siamo come Giosue che quando scopre che due Israeliti si sono messi a fare i profeti, grida: Mosè, mio signore, impediscili! Mettiamo dei limiti! Gesù non sembra molto preoccupato per questa invasione di campo: i privè non gli piacciono granché e invita i suoi discepoli a ragionare in maniera diversa.

1.    Anzitutto afferma una logica di inclusione: chi non è contro di noi è per noi. Guarda il mondo con fiducia a partire dal più piccolo gesto di carità di cui un uomo è capace. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. La differenza sostanziale non è tra chi va a messa e chi non va a messa ma tra chi investe nell’amore e chi chiude il cuore. A volte trovo gente con qualche conto sospeso per quanto riguarda fede, perché ne dice di tutti i colori della chiesa ed è allergica al fumo delle candele. Ma la loro generosità non è venuta meno e magari assistono un anziano donandogli non solo il bicchiere d’acqua ma anche le loro giornate, il tempo libero, i loro risparmi. Non perderanno la ricompensa.

2.    Un secondo aspetto che Gesù mette in luce è l’attenzione ai piccoli. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Cosa sta dicendo Gesù? Sta dicendo: sta attento a quello che dici, a quello che fai, a come ti comporti, perché rischi di alimentare un cristianesimo poco cristiano e di distruggere la fede dei piccoli. Per loro diventi uno scandalo, un sasso su cui inciampano. Quando pensiamo agli scandali della chiesa, in questo tempo ci viene in mente la pedofilia del clero, fortemente combattuta da Papa Francesco e di cui abbondantemente parla la stampa. Certo, è un crimine e un peccato di cui noi preti ci vergogniamo. Ma mi chiedo se talvolta non ci siano altri scandali che non appar-tengano solo ai preti, bensì ad una testimonianza poco convincente di vita cristiana. I ragazzi di Casale sul Sile che hanno lanciato la campagna: per dialogare non serve bestemmiare, sono il segnale che forse qualche responsabilità scandalosa in questo senso ce l’abbiamo.

3.    E proprio per questo Gesù dice: Taglia! Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio è motivo di scandalo …taglialo. Non si tratta di tagliare fuori gli altri, ma di tagliare quei modi di fare che alterano i contorni della fede. Abbiamo sentito poco fa il richiamo durissimo di Giacomo contro chi confida unicamente nella ricchezza e si arricchisce alle spalle dei poveri: Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente. Pensate al caporalato al sud, a come sono sfruttati i ragazzi negli stage o nei contratti a chiamata; ma anche al reddito di cittadinanza in cui uno stato preferisce dare soldi piuttosto che opportunità di lavoro. Lo ha detto chiaramente anche Papa Francesco: “È il lavoro che conferisce la dignità all’uomo, non il denaro… Il lavoro crea dignità, i sussidi, quando non legati al preciso obiettivo di ridare lavoro e occupazione, creano dipendenza e deresponsabilizzano”. Taglia quello che tradisce la tua umanità, la tua verità e ritrova il vangelo anche nelle tue scelte.

I discepoli prima di vedere le minacce altrui, vedono quelle che si annidano nel proprio cuore e nei propri pensieri. E non hanno paura di qualche taglio se si tratta di salvaguardare la vita. È meglio entrare nella vita con un piede solo che saltare con due nella Geenna. Mettiti dalla parte della vita e cammina con fiducia con ogni uomo di buona volontà sulle strade di Dio.


Omelia 23 settembre 2018


Venticinquesima domenica del T. O.

Nel giornale dell’altro giorno c’era una notizia interessante: i fiori di Bach per aumentare la pazienza dei genitori. Le famose gocce floreali per aumentare la resistenza, per accettare la personalità del bambino, per sviluppare l’empatia… Non so se sia la soluzione ma a volte di fiori di Bach ne servirebbero quintali. Anche Gesù oggi ne ha bisogno perché i suoi discepoli, nonostante abbia appena detto loro che sta andando a Gerusalemme per essere messo in croce, non entrano in quel registro. Anzi, lungo la strada hanno sogni di segreta grandezza: Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Gesù non si arrabbia: li chiama a sé e spiega loro ancora una volta cosa significa essere discepoli.

1.    Essere discepoli vuol dire mettersi sulle tracce del crocifisso risorto. «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Vuol dire che essere cristiani non ti colloca sotto una campana di vetro. Sei il discepolo del crocifisso e anche tu a volte vieni crocifisso. Ma quella strada di morte, rimanendo uniti a lui, diviene una strada di vita. Dopo tre giorni risusciterà. Perché questo passaggio, questa strettoia angosciante? Perché Dio vuole che impariamo a fidarci di lui, come il Figlio si è fidato del Padre, per non coltivare segretamente l’idea di essere noi gli artefici della nostra salvezza senza esserlo affatto, perché ci sono alcune vicende da cui puoi uscire da solo, ce ne sono altre dove solo il Signore ti salva. E ti serve ricordare che te l’ha detto e che l’ha vissuto prima di te. Dio non ti toglie la croce: la vita cristiana non è un film di maghi e magie, ma la trama di chi cammina con Gesù e si fida di lui e del Padre. Nei giorni scorsi a Roma è stata aperta la causa di beatificazione di Chiara Corbella, giovane madre morta a 28 anni e che decise di rinviare le terapie oncologiche per non danneggiare il figlio che portava in grembo. Ora Dio ci ha chiesto di continuare a fidarci di Lui nonostante un tumore che ho scoperto poche settimane fa e che cerca di metterci paura del futuro, ma noi continuiamo a credere che Dio farà anche questa volta cose grandi. Le cose grandi non sono state la guarigione, ma il cammino della santità e la processione che continua a raggiungere la tomba di questa santa della porta accanto. Dopo tre giorni. Fidati di Dio: lui vede più in là.

2.    Essere discepoli vuol dire non farsi ingannare da false grandezze. Chissà cosa avevano in mente i discepoli… Ma anche noi corriamo questo rischio. Essere uno scalino più in alto, superare la fila, farsi valere, contare di fronte agli altri, diventare violenti e velenosi perché responsabilità politiche, amministrative, professionali …parrocchiali sono cambiate e qualcuno non si è accorto di noi, di quanto valiamo. Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! È la guerra del “lei non sa chi sono io” e che ci porta a volte ad essere aggressivi e arroganti, a volte a essere patetici, in ogni caso a sprecare la vita dietro a un riconoscimento che non ci viene dai tappeti rossi che calpestiamo, ma dall’effettiva disponibilità che diamo agli altri, come servi. Perché se sei servo non hai problemi: sei all’ultimo posto, non puoi cadere e puoi solo essere d’aiuto a qualcuno. «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

3.    Infine il discepolo oltre a farsi piccolo riparte dai piccoli: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Di chi prendi le difese, chi ti sta a cuore? Lascia perdere quelli che contano: hanno già il loro Dio e qualche volta lo sono a loro stessi. Prova a vedere quanto puoi essere importante invece per i piccoli della terra, che ti benediranno perché in te scopriranno la mano di Dio. Pensate a quei volontari della croce rossa che mentre trasportavano un anziano da Carrara a Ivrea, dove vivevano i suoi figli, ha chiesto di poter vedere per l’ultima volta il mare. E loro si sono dati da fare per raggiungere il litorale tirrenico, forse per l’ultima volta. Un servizio a un piccolo della terra, ad un bambino di 88 anni che in questo modo ha trovato la mano di Dio. Ma anche quei volontari hanno trovato quella mano, anzi, ne hanno visto il volto: nell’anziano che hanno soccorso. Piccoli diventati grandi, non secondo le misure del mondo, ma secondo le proporzioni evangeliche. Quelle stesse che oggi il Signore raccomanda anche a noi.