domenica 30 novembre 2014

Omelia 30 novembre 2014


Prima domenica di Avvento

Avete sentito martedì il discorso di Papa Francesco a Strasburgo, al Consiglio d’Europa. Parole di grande profondità che non hanno risparmiato le domande: All'Europa possiamo domandare: dov'è il tuo vigore? Dov'è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione? Il vecchio continente appare a volte un po’ addormentato, narcotizzato dalle suggestioni di una modernità che lo porta a dimenticare le sue radici. E il cristianesimo che ha segnato la nostra civiltà si trasforma in una sorta di minaccia per la democrazia e la libertà. Fate attenzione, afferma Gesù, vegliate. C’è il rischio che perdiamo di vista l’essenziale, che limitiamo gli orizzonti della storia e della vicenda umana, che confondiamo la nostra stessa identità. L’avvento è il tempo della vigilanza, non per salvaguardare un assetto ma per ritrovare l’uomo. Questo sta a cuore a Dio. Che significa vigilare?

1.    Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. Vigilanza vuol dire vivere in maniera nuova il tempo Il termine greco è molto importante: l’evangelista non utilizza la parola cronos, ma la parola kairos. La prima indica il tempo degli uomini, la cronaca. Kairos indica invece allude a un tempo aperto al mistero, alla sorpresa di Dio.. Cronos nella mitologia greca è una divinità che mangia i propri figli. E qualche volta il tempo ci mangia davvero: ci morde, ci tritura, ci consuma. Mi ha fatto riflettere quello che mi ha riferito un addetto alle vendite in un grande negozio di Castelfranco. E’ andato a un corso di formazione dove un manager venuto dall’America insegnava il nuovo credo del commercio. Esserci, a tutte le ore, via i vecchi che sono poco duttili, la domenica è un giorno che farà superare la crisi… Ma intanto la crisi si abbatte a casa nostra, sui rapporti, sui figli che non ti vedono, sull’assenza di assoluto. Ecco cronos che torna a mangiare i suoi figli. L’unico modo perché cronos non abbia la meglio è quello di aprire il kairos, le prospettive dell’eterno. Magari proprio dalla messa domenicale. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Qui il Signore scende.

2.    È come un uomo che è partito e ha dato il potere ai suoi servi. Vigilanza vuol dire esercitare un potere, una responsabilità. Dio non vuol fare tutto lui: ci coinvolge, ci rende partecipi dei suoi progetti. Ma con precisione: A ciascuno il suo compito. Fuggi l’approssimazione, la superficialità: il tuo servizio in parrocchia, la tua scuola, il tuo lavoro...  Ma fuggi anche il tentativo o la tentazione di sostituirti all’altro. A volte questo accade. Avete sentito quel che è capitato a Treviso. Un ragazzino di seconda media si è gettato da una decina di metri per un brutto voto a scuola. Non sappiamo che cosa succeda nella testa di un ragazzo per giungere a un simile gesto, né possiamo incriminare la famiglia o la scuola. Ma a volte i genitori che si sostituiscono ai ragazzi, che li difendono ad oltranza, che tolgono sempre le castagne dal fuoco li portano a non essere più in grado di gestire il limite, l’insuccesso, la fatica. E un’insufficienza si trasforma in un dramma. Vigilanza è riconoscere il compito che ci è affidato, ad assumere le proprie responsabilità anche quando alcune scelte possono renderci impopolari.

3.    Infine vigilanza vuol dire abitare un’ora particolare. Alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino. Sono le quattro ore della notte ebraica, dal crepuscolo all’alba. Che differenza c’è? Le prime due ore introducono la notte, le altre ne indicano la fine. A volte devi vigilare mentre scende l’imbrunire. E lo devi fare in silenzio. Penso a chi passa una notte in ospedale per fare assistenza a un malato. È la vigilanza della pazienza, della carità, del dono, dove c’è poco da dire e molto da vivere. Altre volte devi vigilare mentre intravedi l’alba; ma in questo caso lo devi fare proclamando la luce, come il canto del gallo. Ai cristiani a volte è affidata anche questa responsabilità: quella di dire che il Signore è risorto e che la storia corre verso di lui.

Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Il Signore ancora una volta risponde a questa invocazione. Il tempo dell’avvento è l’occasione per aprire tale breccia, la vigilanza l’occasione per poterlo riconoscere.

lunedì 24 novembre 2014

Omelia 23 novembre 2014


Cristo Re 2014

Abbiamo visto in questi giorni le immagini legate all’aggressione dell’autista di un autobus di linea da parte di un gruppo di ragazzi che non avevano pagato il biglietto. L’accerchiamento, l’atteggiamento di sfida, la violenza sembrano andare al di là del biglietto non pagato e affermare l’esistenza di un territorio dove nessuno si può inoltrare, dove qualcuno afferma il proprio dominio. Ecco: sono il re! Le regole le stabilisco io.

Ci sono molte di queste sovranità oggi in circolazione, qualcuna anche a casa nostra. Ad esempio bambini che dettano le regole della famiglia ai genitori che ne diventano succubi. Tuo figlio comanda e allarga il suo potere dalla casa alla scuola; l’insegnante ti segnala l’inopportunità di tale atteggiamento e tu attacchi il docente di fronte a tuo figlio o ti permetti di dire all’insegnante che, se non sa fare il suo mestiere, cambi lavoro! Tu pensi di stabilire un’alleanza con tuo figlio, di garantirti il suo affetto, magari anche la sensazione di essere un genitore moderno. Non ti rendi conto che ti sta usando e che allargando progressivamente il suo raggio d’azione ad un certo punto anche tu gli darai fastidio e a quel punto non ci sarà più margine di manovra educativa.

Ecco, nella vita bisogna regnare, bisogna diventarne padroni: ma c’è una sovranità che diventa tirannia e una che invece costruisce stabilità. Gesù ci insegna questa regalità. In che modo? Come regna Gesù? Il vangelo che abbiamo ascoltato ci aiuta a capirlo.

1.    Si siederà sul trono della sua gloria. Il termine “gloria” nella bibbia allude a qualcosa di consistente, di pesante. La gloria di Dio è qualcosa di solido. Regni con lui se fai scelte che pesano, che reggono la vita. Impara a costruire qualcosa di grande e di stabile che non venga spazzato dalla prima folata di vento. Pensate ad esempio a quanto incide la percezione della bellezza nella vita di un adolescente di oggi. Mentre un tempo la vita era condotta dalla ricerca di alcune idealità valoriali, oggi un ragazzo è spesso angosciato dal modo con cui appare e può vivere come una tragedia il fatto di non sentirsi in sintonia con gli standard estetici di oggi. Non sono bello. Ecco: bisogna ritrovare il peso generale di sé, la bellezza fuori e quella dentro, la tua interiorità. La Giornata del Seminario ci richiama questa opportunità. Siamo belli non perché rientriamo nelle misure stabilite dalle passerelle ma perché la vita ci appartiene, ci vede con tutto ciò che siamo e diamo, con la possibilità di scegliere.

2.    Allora egli separerà. Il regno inizia con un gesto di discernimento, di distinzione. Non tutto è sullo stesso piano o ha lo stesso valore. A volte la nostra vita è un susseguirsi di interventi che si mescolano e sfuggono al nostro controllo. E il regno lascia spazio al disordine, alla confusione. Pensate alla facilità con cui talvolta parliamo degli altri. Sappiamo tutto di tutti e quello che non sappiamo inventiamo. Ce la prendiamo con i ragazzi che si rifugiano nel mondo virtuale ma il mondo in cui navighiamo noi adulti anche senza computer non è meno preoccupante. Le chiacchiere, i commenti, i condimenti pepati. Ci pare che in tal modo manteniamo il regno, il controllo sulla vita del paese. E invece generiamo ombre, sospetti, diffidenze. Allora egli separerà. Impara ad usare il discernimento in quello che dici e in quello che ascolti. Impara a custodire le confidenze, a valutare il peso delle notizie, aiuta chi deborda a ritrovare gli argini. E inizia a promuovere il bene. Venite benedetti. Allora regni.
 
3.    Gesù regna perché utilizza la forza più potente che esiste: quella dell’amore. E Gesù sposa a tal punto questa logica che per sempre si nasconderà in essa: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete… Ama, dice Gesù, e fallo nella concretezza dell’aiuto che offri agli altri perché se pensi di regnare senza l’amore, altri regni prendono il sopravvento: egoismo, chiusura, tornaconto, l’indifferenza. Solo l’amore sconfigge questi regni alternativi. Abbiamo sentito in questa settimana il discorso del Papa ai partecipanti al Festival della Dottrina Sociale: Si dice che non ci sono soldi per creare lavoro, ma il denaro per acquistare armi si trova; per fare le guerre, per operazioni finanziarie senza scrupoli, si trova. Ecco che regno nasce senza l’amore: un regno di ingiustizia, di distruzione, di morte. Con l’amore non possiamo risolvere tutti i problemi che abbiamo: la nostra Caritas che ogni sabato distribuisce viveri e vestiario vede arrivare quella gente anche il sabato dopo. Ma i poveri – che, come dice Gesù, avremo sempre con noi – ci vengono forse dati non tanto per risolvere i loro problemi, quanto per rispondere ai nostri, perché non perdiamo l’occasione di essere uomini e per esserlo nell’unico modo possibile, quello di amare e di farlo con la concretezza dei gesti.

Ecco la regalità che Dio ha in mente. Dobbiamo stare in guardia da quello che ce ne allontana, ma siccome alla fine tutti saranno stupiti, giusti e ingiusti, possiamo sperare che essa sia stia crescendo dentro di noi e ci renda un po’ più simili a Gesù. Con nostra stessa sorpresa. 

sabato 22 novembre 2014

Omelia 16 novembre 2014


Trentatreesima domenica del T. O.

C'è un ritornello che torna di frequente nelle considerazioni economiche di questo tempo: tornare a investire. E ci si chiede dove e in che modo, a motivo di una situazione che ci sembra incerta. Così il nostro disorientamento finanziario diventa disorientamento della vita e facciamo fatica a investire anche con Dio. Il vangelo di questa domenica però ci richiama un’esigenza importante: se non si investe si perde tutto. A chi ha verrà dato e sarà nell’abbondanza, a chi non ha sarà tolto anche quello che crede di avere. A volte pensiamo che la fede abbia una vita propria a prescindere dalle nostre responsabilità. In realtà la fede non esiste. Esiste il credente che la accoglie e la fa fruttificare. Non lasciare dunque inattivo il dono di Dio.

La parabola dei talenti ci aiuta a capire come funziona l’investimento della fede.

1.    Anzitutto c’è un uomo che parte per un viaggio e che affida ai suoi servi il suo patrimonio: i talenti. Un talento corrispondeva a circa 26 chili di argento, sufficienti per pagare l’equipaggio di una nave con tre file di rematori per un mese. Il talento dunque è qualcosa di prezioso, che fa avanzare la barca della vita. Il talento è il dono della fede, della vita che il Signore ti ha donato. È di questa ricchezza che talvolta non ci rendiamo conto. Mentre infatti una volta la fede era contrastata, anche in termini accesi e aggressivi, oggi essa subisce una sorta di deprezzamento culturale e viene consegnata all’irrilevanza. Hai un patrimonio che non ti dice più nulla: ciò che vale ti sembra collocato altrove. Altre volte la fede subisce il fenomeno vintage, come avviene per i nostri arredi: fai una casa moderna, ma ci metti un mobile antico, magari ritinteggiato di bianco. È lì in un angolo, magari ti serve anche a qualcosa, ma capisci che la vita è altrove. Ma non si tratta di valori, di istruzioni per l’uso. Questi sono in molti a darteli. La fede è incontro con il Signore, con il Vivente. Questo è il talento. Come ha fatto capire un anziano della nostra comunità quando il ministro straordinario gli ha portato l’eucaristia. Son qua quelli della comunione, gli ha detto la figlia. No. È qui il Signore, ha risposto lui. Ecco il talento prezioso.

2.    Consegnati i talenti l’uomo parte. È l’immagine di Gesù risorto che ritorna al padre. Un Dio che non ti sta col fiato sul collo. Ti consegna un dono e lo affida alla tua cura, alla tua responsabilità. Mettici fantasia, creatività, impegno: ma sta a te inventare qualcosa. I talenti infatti non sono le capacità, ma vengono dati secondo le capacità. Mi pare molto affascinante questo aspetto, perché anche le cose più semplici possono essere preziose per Dio. Sei stato fedele nel poco, ti darò responsabilità su molto. Cosa sai fare? Non ti preoccupare se ti sembra poco. Mettilo a servizio di Dio e dei suoi progetti. Vi ricordate quello che ha detto Sr. Cristina la prima volta che è andata a The voice? «Ho un dono, ve lo dono». E lo ha donato in un contesto assolutamente lontano dall’ombra del campanile. Ecco, ci fa capire il Signore, fa in modo che le tue capacità traffichino vangelo: in parrocchia, nel gruppo, ma anche quando sei a scuola, al lavoro. Non importa il quanto, ma il come. L’immagine di quella donna della prima lettura che cura attentamente le faccende di casa ci fa capire che c’è anche una modalità famigliare per essere servi attenti e fedeli.

3.     Infine c’è qualcosa che blocca gli investimenti. È quello che dichiara il servo che è andato a sotterrare il talento: Ho avuto paura, La paura ci paralizza. Paura di che cosa? Due paure: sei esigente – mieti dove non hai seminato. La prima paura nasce dall’idea che ci siamo fatti di Dio. A volte ci pare troppo duro, severo, pretenzioso. Ma questo sei tu, non lui. A lui basta anche il tuo poco, fatto con responsabilità e amore. La seconda paura nasce dal suo modo di fare: raccoglie dove non ha sparso. Dio è padrone dell’impossibile e devi credere che questa è la logica nella quale ti coinvolge anche se talvolta non ti pare ragionevole. Impiegare i talenti vuol dire accettare di percorrere strade un po’ strane. Oggi inizia il corso fidanzati. 18 coppie contro le 28 degli anni scorsi. Un dato che si allinea con le statistiche diffuse qualche giorno fa dall’Istat: dal 2008 al 2013, in Italia ci sono stati 53mila matrimoni in meno. Sentite che in questo calo c’è molta paura: della crisi, della solidità di quello che si fa, dell’altro. Come vincere questa paura? Bisogna vedere se le risorse di cui disponiamo siano solo il controllo o anche la fede in chi fa crescere anche in terreni dove sembra impossibile. Il talento rende se lo impieghi. Non dare fiducia alla paura più di quanta tu ne dia a Dio! E torna a investire con lui.

Prendi parte alla gioia del tuo padrone. L’investimento cristiano non è funzionale all’impegno ma alla gioia. Ci aiuti il Signore a intravederla e a disseppellire il talento nascosto.

lunedì 3 novembre 2014

Omelia Defunti 2 novembre 2014


Defunti 2014

Perché si sono diffusi così velocemente i festeggiamenti di Halloween? Perché non solo ai ragazzi ma anche agli adulti piace vestirsi da zombie, cospargersi il volto di fondotinta bianco e piazzarsi un’accetta sulla schiena? Perché la realtà della morte ci inquieta e cerchiamo in tutti i modi di esorcizzarla, a costo di diventare ridicoli. Non serve prendersela con Halloween. Bisogna leggere il problema in profondità perché è l’ultima manifestazione di un vuoto che tentiamo di camuffare sperando che non vedendolo cessi di esistere. L’indagine condotta dall’Osservatorio Religioso del Triveneto un paio di anni fa, in occasione del Convegno di Aquileia, dimostra che a Nord-Est, a fronte di una popolazione cattolica che si attesta al 75%, chi crede nella risurrezione e nell’aldilà è solo il 27%. Che sta succedendo?

1.    La prima considerazione riguarda il cuore della nostra fede. Se perdiamo di vista la risurrezione che ne è del cristianesimo? C’è il rischio di farne una sorta di umanesimo, buone azioni e buoni consigli per la vita. Ma queste prospettive possono offrirle in molti e forse anche in maniera più convincente ed efficace di noi. I discepoli di Gesù non distribuiscono volantini accattivanti ma la speranza che dà vita. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Parole dirompenti che ci riconsegnano il fondamentale annuncio cristiano: Io so che il mio redentore è vivo e che ultimo si ergerà sulla polvere. Credi a un Dio vivo che dà vita o ne hai fatto una pagina innocua e evanescente?

2.    Ma come è possibile pensare la risurrezione? C’è un’esperienza umana che forse più di ogni altra ce ne parla. È quella del parto. Non si può certo dire che il bambino nel grembo della madre manchi di autocoscienza: le ricerche dimostrano che si muove in base a ciò che percepisce. Ma si tratta di una percezione parziale rispetto a quella che avrà in seguito, con la nascita. Eppure, mentre se ne sta nel pancione, quel mondo è tutto per lui e pur udendo voci e suoni, pur essendo trasportato da un luogo all’altro il grembo è la misura del mondo. E dunque, se la vita poi ci riserva la sorpresa della nascita, perché escludere che ci possa essere un’altra nascita capace di regalarci dimensioni ancora più grandi? Nella gestazione terrena siamo di una madre, in quella eterna siamo di Dio: E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno. Gesù è disceso nelle profondità della morte per non penderci. Chi ci separerà dal suo amore?

3.    Infine potremmo chiederci: ma come sarà? Ci si vedrà? Ci si riconoscerà? Non dobbiamo perdere di vista che c’è un’unica grande forza che sconfigge la morte. Quella che usa Gesù per distruggerla: l’amore. La morte regna dove c’è odio, chiusura, indifferenza, malvagità. Gesù porta nel cuore della morte qualcosa che ad essa si oppone e la rende impotente. L’amore diviene dunque la condizione della vita risorta. Ma se è l’amore ad avere la meglio, l’amore è rispettoso di ciascuno, non cancella le identità, l'individualità. E allora nella risurrezione ci si riconoscerà e riconosceremo anche tutto ciò che di bello, di buono e di vero che abbiamo vissuto. 
 
     Altro che zucche vuote: di vuoto per il cristiano c'è solo la tomba di Gesù, varco verso la vita nuova che lui ha inaugurato. Per i nostri cari che ha chiamato con sé e per ciascuno di noi.