domenica 18 novembre 2018

Omelia 18 novembre 2018


Trentatreesima domenica del T. O.

C’è un libro uscito nei mesi scorsi che porta un titolo provocante: "Prigionieri del presente" (Einaudi) di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo. Secondo gli autori viviamo in un tempo appiattito in cui ci collochiamo fuori dalla storia e dal futuro, in una “sequenza circolare di attimi”. Segnali raccolti: la decostruzione del linguaggio, un’eterna connessione che rende opaco il reale, la ricerca delle soluzioni semplici anche se a volte si tratta di trappole. La soluzione proposta? Allungare lo sguardo.

È quello che Gesù ci invita a fare nel vangelo di oggi. Attento a non fissarti su un presente che è destinato a passare: guarda la storia con un po’ di profondità in più. Guarda avanti, guarda oltre. Cosa vuol dire?

1.    Anzitutto cerca di avvertire la provvisorietà del tempo che ti è dato, di quello che sei, di quello che fai. Perché il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo. Sole, luna e stelle erano i riferimenti stabili della cosmologia antica, ciò che serviva all’uomo per comprendere l’ora del giorno, le stagioni, i propri spostamenti. Stai attento che ad un certo punto tutto finisce. E se tu non lo ricordi rischi di esserne travolto. Abbiamo bandito l’esperienza della fragilità come se non ci appartenesse e così abbiamo pensato di essere immortali, onnipotenti, facendo agire le sostanze dove non arrivano le convinzioni. Gli esperti però ci dicono che buona parte del consumo di droga oggi non è legato allo sballo, ma è legato allo stress, all’ansia da prestazione, alla necessità di non essere surclassati da una società dei numeri uno. Ritrova i confini reali dell’esistenza perché questo mondo impasticcato ti vende, e neanche tanto a buon mercato, l’illusione del no-limits lasciandoti però immiserito, non appena la sceneggiata finisce. Vedere avanti vuol dire riconoscere fin dove puoi arrivare, cercare collaborazioni, investire anche in chi viene dopo di te. 

2.    Guardare lontano vuol dire però anche cercare l’essenziale, cercare ciò che resta. E ciò che resta è lui, il Signore e la sua Parola. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quali parole ascoltiamo, quale sapienza orienta la nostra vita? A me pare che abitiamo spesso il chiacchiericcio, la banalità e la malafede. Pensate alla questione dell'Ici che periodicamente ritorna e alla mal sopita voglia di rivalsa di fronte ai veri o presunti privilegi della chiesa cui vengono attribuite le colpe dell'indebitamento del Paese.  La questione non riguarda però solo la chiesa, ma tutti gli enti no profit che svolgono attività commerciali, rispetto alle quali la chiesa ha sempre sostenuto l’esigenza del pagamento. Mi pare però che la Chiesa sostenga molte altre spese al posto di un ente pubblico latitante che si scrolla di dosso le responsabilità: nell'istruzione, nell'educazione, nella solidarietà, nella conservazione del patrimonio artistico e culturale del paese. Facile accodarsi al chiacchiericcio mediatico animato dagli slogan; facile anche  dissertare sul Padre nostro o sul Gloria e diventare sostenitori di nuove o antiche traduzioni. Molto più impegnativo accogliere l’invito alla solidarietà, alla carità che questa Giornata dedicata ai Poveri ci suggerisce. Ma sono queste le uniche parole che restano: quelle della solidarietà, della condivisione. Quelle che si trasformano in gesti di accoglienza, di rispetto.  Gli slogan passano, la carità resta. E ci fa guardare lontano.

3.    Infine Gesù ci regala un’immagine molto bella di vita primaverile. La pianta del fico: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Guardi lontano se intravedi segni che preludono a un cambiamento. E Gesù ci suggerisce due segni importanti: quello della tenerezza e quello della sorpresa. Il ramo diventa tenero. Prova a esserlo un po’ anche tu: nei tuoi giudizi, nei modi con cui stai accanto a qualcuno, nell’affetto espresso e non solo implicitamente consegnato. La tenerezza rompe la nostra corazza, ci fa aspettare il futuro. E poi la sorpresa: di qualcosa che spunta quando meno te l’aspetti. Come quella donna del vicentino morta nei giorni scorsi per aver rinunciato alle cure oncologiche per non nuocere al bambino che portava in grembo. Si è opposta con una forza incredibile a chi gli diceva di pensare a se stessa. Quando si fanno scelte del genere vuol dire che preoccupazioni, ricchezza, occupazioni hanno lasciato spazio a qualcosa di più importante e non si è più prigionieri del presente. Si è allungato lo sguardo e si è dato fiducia al germoglio che cresceva. Appello buono anche per noi, perché non ci manchino gli orizzonti e perché impariamo a credere nei cambiamenti già in atto. 










domenica 11 novembre 2018

Omelia 11 novembre 2018


Trentaduesima domenica del T.O.

In questo tempo di fake news, anche noi rischiamo di diventare un po’ fake. Un po’ perché viviamo in un mondo di predatori e ci nascondiamo, un po’ perché, al contrario, abbiamo bisogno di affermazione e visibilità e non esistiamo a interpretare ruoli e identità pret-à-porter che, abilmente giocati, ottengono i like che ci servono. 

Oggi Gesù ci insegna ad essere veri, a ritrovare la nostra verità, a sconfiggere la dominazione del fake che talora regna sulla nostra vita. Come si diventa veri?

1.    Siamo nel tempio di Gerusalemme e Gesù con i suoi discepoli assiste ad una sfilata. Personaggi importanti del mondo religioso di allora che passeggiano su e giù, con preziosi vestiti, che si intrattengono tra di loro, che amano essere guardati con rispetto e ossequiati dalla gente, che cercano di partecipare ai banchetti più in vista. Sembra una foto scattata ai nostri giorni nel gran ballo della visibilità. Pensate ad una professione che sta attirando anche i nostri ragazzi: il blogger, dove tu cerchi uno spazio per raccontare attraverso i social un particolare aspetto della società e ti intrufoli ovunque per esserci finché quando acquisti un po’ di notorietà sarà la gente stessa a invitarti o ad accoglierti con gratitudine perché sa che attraverso di te i tuoi vestiti, la tua cucina, i tuoi eventi otterranno celebrità. Così un’azienda di moda ti dà i suoi capi di abbigliamento e tu diventi un influencer indossandoli, riprendendoti e postando in rete quella che attraverso di te può diventare una tendenza. Ai tempi di Gesù la visibilità era cercata a livello religioso: oggi ci sono altre divinità, il denaro, il successo che ti spingono a interpretare nuove liturgie. Dice Gesù: Guardatevi da tutto questo. Perché? Perché c’è il rischio di smarrire la tua verità. Lunghe vesti che coprono ciò che siamo e ci fanno dimenticare la nostra bellezza e la nostra dignità. Ce ne siamo resi conto venerdì sera con lo spettacolo di Guido Marangoni. Un papà che ci ha aiutato a cogliere il valore delle persone prima delle loro abilità o disabilità, il valore di sua figlia Anna che gli ha cambiato la vita. Occhio ai vestiti che indossi: possono essere travestimenti. 

2.    Al tempio però c’è anche un’altra liturgia. Quella delle offerte. Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Interessante il sistema di raccolta: nel tempio c’era un posto chiamato gazofilacio in cui c’erano tredici cassette di bronzo per versare offerte per varie destinazioni. I sacerdoti ricevevano l’offerta e ad alta voce proclamavano il nome dell’offerente e l’importo corrisposto. La tredicesima era quella che raccoglieva le offerte dei poveri, senza nessuna proclamazione. Una vedova furtivamente butta due soldi in quella cassetta. Avrebbe potuto fare a meno di farlo e tenersi i suoi soldi dato che apparteneva ad una fascia protetta, insieme all’orfano e al forestiero. Ma non rinuncia a quel gesto che le consente di essere una donna libera, di poter pensare che ci possa essere gente più povera di lei, di esprimere se stessa nella direzione della gratuità e del dono. Ecco la differenza: la vedova non è preoccupata del ritorno di immagine. Le sta a cuore essere se stessa fino in fondo e le sta a cuore la sorte dell’altro, tanto da rinunciare a qualcosa di essenziale. Nei tuoi gesti di generosità, ricordati di mettere te stesso, non la tua immagine. Metti un po’ di cuore, di verità. E ricorda che quel gesto non serve solo all’altro che aiuti: serve a te, per rimanere uomo, per rimanere vero.  

3.    Ma nel gesto della vedova c’è un altro aspetto importante: la totalità. Mentre i ricchi notabili hanno dato il loro superfluo, lei ha dato tutto, tutto quello che le serviva per vivere. Ecco quello che vuole dirci Gesù: se vuoi essere vero, non giocarti a metà, gioca tutta la tua vita. Due fatti: quel carabiniere (Emanuele Reali) che insegue un ladro a Caserta e finisce travolto da un treno mentre stava attraversando i binari. In servizio, senza risparmio. E un’indagine curata tra i ragazzi delle scuole superiori, nessuno dei quali sembra più disposto a fere il rappresentante di classe perché tanto non serve a niente, perché chi me lo fa fare? È la fotografia di chi gioca tutto e di chi è sempre in riserva di disponibilità, forse non solo tra i ragazzi, ma anche tra gli adulti nelle scelte importanti della vita dove ci riserviamo spesso zone franche e vie d’uscita, ma anche nelle più semplici delle partecipazioni: nel volontariato, in parrocchia, nella condivisione di un progetto. Dove sta la verità di te? Quando di giochi tutto: allora si vede chi sei; le fake continueranno a circolare, ma tu sarai una news diversa, forse meno frequente, forse un po’ più evangelica.

lunedì 5 novembre 2018

Omelia 4 novembre 2018


Trentunesima domenica del T. O.

Di fronte ai danni causati dal maltempo, vi è in questi momenti l’esigenza di distinguere le priorità degli interventi: mettere in sicurezza la gente, evitare ulteriori pericoli, ripristinare la viabilità. La ricerca delle priorità è un’azione importante ed è per questo che su di essa ci si interroga a livello politico, sociale, economico. Che cosa è più urgente? Quali sono le priorità di un’azione di governo, di una manovra finanziaria, di un’emergenza? Anche per la chiesa sono importanti le priorità, con il rischio però che quando le si individua in una direzione, subito ci sia qualcuno che le cerca dalla parte opposta. Ecco che la domanda che fa quello scriba a Gesù può essere interessante, perché essa ha proprio a che fare con le priorità della fede. «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Aiutaci a capire, Signore, in questo tempo di emergenza non solo climatica e idrogeologica, ma anche culturale, sociale, religiosa quali siano le attenzioni da avere.

1.    Gesù inizia ricordando l’antico comandamento di Dio, quello che Israele ripete due volte al giorno, nella preghiera del mattino e della sera. Ascolta, Israele. Le priorità si individuano ascoltando e ascoltando Dio. Un Dio che parla nelle Scritture, ma anche nei fatti della vita. Pensate ad esempio alla fantasiosa proposta, contenuta nella legge di stabilità del governo, relativamente alla concessione di terre incolte del demanio pubblico alle famiglie che hanno il terzo figlio. Forse, ci può essere l’apprezzabile tentativo di cercare risposte alla denatalità, allo spopolamento di alcune aree e al rilancio dell’agricoltura, ma come si fa a pensare che una famiglia all’arrivo del terzo figlio si sposti in campagna e cominci a zappare la terra? Ascolta, Israele, ascolta la famiglia: se come abbiamo visto in questi giorni il numero degli over 60 supera per la prima volta quello degli under 30, altro che campagna! Forse devi ridurre il carico fiscale delle famiglie col terzo figlio, devi contrastare in tutti i modi le assunzioni delle donne con la firma già posta sulle dimissioni nel caso diventino madri, devi cambiare le politiche sulla casa e sui mutui. Ascolta, Israele. Se non si ascolta, non si stabiliscono priorità. Si proclamano slogan e non si risolvono i problemi.

2.    All’ascolto Gesù aggiunge il fascino di un altro verbo. Ama. La priorità dei cristiani va cercata nell’amore. Avete sentito lo strano caso di quell’imprenditore toscano che a Edimburgo, dopo una caduta in cattedrale, ha simulato una perdita di memoria? Confessando, ha raccontato di aver fatto quel gesto perché a casa non valeva più nulla. Reazioni infantili e forse psichiatriche, ma che ci dicono che la nostra vita è sana se qualcu no ci vuole bene e abbiamo qualcuno a cui volerne. Altrimenti non capiamo più chi siamo. Ma l’amore è autentico se mette insieme Dio e il prossimo: Dio dà ampiezza all’amore, il prossimo offre concretezza. Inoltre l’amore è tale se pervade tutta la vita: il cuore, l’anima, la mente, le forze. Impara a voler bene dando unità alla vita. Oggi, a volte, noi abbiamo amori disequilibrati, unilaterali, ridotti, mossi spesso dalle pulsioni ma poco ancorati alla testa e al cuore e esposti alla frammentazione. Le conseguenze si vedono sull’uso della sessualità, sul modo di intenderla, sull’attenzione educativa che accompagna o non accompagna questa dimensione. Verifica come si presenta tua figlia sul suo profilo Instagram perché nessun atteggiamento giustifica la violenza ma alcune condizioni ammiccanti e seduttive ne sono il terreno fertile. Educare al rispetto di sé e dell’altro, alla custodia dei sentimenti, delle parole, perché l’amore sia sempre ricercato nella sua verità. E questa oggi è senz’altro una priorità.

3.    Infine il colloquio tra Gesù e lo scriba finisce con un apprezzamento. Non sei lontano dal regno di Dio. Notate che c’è ancora un po’ di strada da fare per entrarci. Quel tale non ha ancora del tutto colto la priorità di Gesù. Che cosa manca? Gesù ha indicato il comandamento dell’amore, ma quello non è ancora il suo comandamento. Il suo comandamento sarà: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Allora la priorità non è solo l’amore, ma l’amore secondo le misure di Gesù, l’amore sintonizzato sul suo come. In questa nostra società abituata a misurare profitti e ricavi, servizi e prestazioni, il cristiano libera una misura ulteriore, come quella del perdono, della solidarietà, della gratuità. Come quella donna che ieri sulla Circumvesiviana di Napoli, ha preso le difese di un giovane pachistano aggredito da uno squilibrato razzista che gli diceva di tornarsene a casa sua. «L’Italia è nostra, non loro», diceva l’aggressore. E la donna: «È meglio che sia loro piuttosto che tua». Ma nessuno, commentava al Corriere quella donna, è intervenuto. Silenzio un po’ omertoso di chi forse non vuole aumentare la tensione, ma anche di chi fugge. Ecco il di più, da cercare, non il supermercato, ma la misura di Dio. Quella che Gesù oggi indica anche a noi perché il suo Regno diventi priorità e con decisione ci possiamo entrare. Con pazienza e tenacia, con lo sforzo di collocare ogni giorno un tassello di verità che il Signore affida alla nostra ricerca.