Tredicesima domenica del T. O.
In
questo periodo si parla molto di migranti, di risposte efficaci da dare contro
il traffico di esseri umani, di responsabilità dei governi, dell’azione delle
ONG. Discorsi, come quelli piuttosto deludenti condivisi al vertice europeo: la
collocazione dei richiedenti asilo avverrà su base volontaria da parte di
alcuni paesi. Ma se non avveniva su base obbligatoria, come potrà avvenire su
base volontaria? Intanto si muore e quelle piccole vite spezzate, i corpi di
quei bambini raccolti da braccia pietose poco oltre le coste libiche, sono, insieme a
un centinaio di naufraghi inghiottiti dal mare, la denuncia di una realtà
inaccettabile che solo un cuore di madre o di padre può comprendere. Ebbene, nel vangelo di oggi c'è proprio un padre che ci dà appuntamento, un padre che supplica Gesù: La mia bambina sta
morendo. È il grido che anche oggi riecheggia in cerca la nostra solidarietà, grido che martella la coscienza
anestetizzata di un vecchio continente assente ed egoista, che sancisce il
principio per cui chi approda in Italia approda in Europa, salvo poi fuggire di
fronte alle responsabilità. È l’Europa il vero naufrago, in balia di onde
opportuniste e menefreghiste tra cui scompare umanità e dignità.
Cosa
dice Gesù al padre di quella bambina, come reagisce nel momento in cui forze
oscure sembrano travolgere la vita?
1. Non temere, continua soltanto ad avere
fede. La fede è l’atteggiamento di chi si fida di Dio e crede
che siano possibili altre strade, anche quelle che sfidano l’impossibile.
Intorno a quel padre che invoca Gesù c’è infatti chi dice di lasciar perdere: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora
il Maestro?». E quando Gesù, nel tono della sfida, afferma che la bambina
non è morta, ma dorme, addirittura lo deridono. È questo atteggiamento di
rassegnazione, di supponenza, di scherno che impedisce il miracolo della vita.
Non rassegnarti mai alla morte e alle sue tristi pompe funebri, perché la morte ha
la meglio quando le si attribuisce il potere che non ha. Non solo la morte in mare
dei naufraghi, ma anche la morte dei rapporti, della pace, della concordia, dell'onestà, della legalità: "Funziona così, non ci si può far niente…". Continua ad aver fede, continua a
credere in un altro mondo possibile.
2. Altro
aspetto interessante è che Gesù si circonda di alcune persone, non molti a dire il vero: i genitori della
bambina e i discepoli che erano con lui. Gesù lascia perdere la folla e vuole
con sé la piccola comunità che lo sta seguendo e chi porta nel cuore una
riserva di affetto, come solo un padre e una madre possono avere. Ci salviamo
dal naufragio se stabiliamo rapporti di comunione, se stringiamo legami di solidarietà,
di compassione. E noi qui ammicchiamo agli Stati Uniti perché ci seduce l’idea di armarci, di poterci difendere con una pistola, come non fossimo già sufficientemente armati di cattiveria, egoismo e bramosia di possedere, ritorsioni e vendette che lacerano anche i rapporti familiari e i momenti più sacri della vita, ivi compresi battesimi, matrimoni e funerali. E a soccombere sono anche i nostri ragazzi, piccoli naufraghi di adulti che hanno perso la rotta. Guarda che
ci sono altre armi da usare: spara condivisione, vicinanza, affetto, perdono. Il contrario della morte non è la vita: è l'amore. Ama e allora la vita
rifiorisce.
3. Infine
quella mano stesa e quell’invito di Gesù: Talità
kum! Parole e gesti di risurrezione che continuano nell’invito rivolto ai
genitori di dar da mangiare alla bambina. Come se Gesù volesse dirci: Io agisco, ma anche voi datevi da fare! Dal
naufragio non ci si salva se rimaniamo con le mani in mano, ma se le prestiamo
alla forza della risurrezione. Mani che possono avere tanti protagonisti come
quelle di quell’iman musulmano che in Nigeria ha messo al sicuro 262 cristiani,
salvandoli da un massacro e dicendo: sono musulmani. Quando c’è un naufragio
non c’è un bianco o un nero, un cristiano o un musulmano. C’è un uomo che va
salvato e ogni mano che fa questo è una mano prestata al Risorto. Che il
Signore ci inviti a tirare fuori le mani di tasca, a spostarle dai tavoli di
burocrati inconcludenti e ad operare per l’uomo. Quello che ci vive accanto,
quello di cui ci sarà chiesto conto.