giovedì 30 dicembre 2021

 

Ascensione del Signore

Ci impressionano le immagini della Palestina, i cieli attraversati dalle scie luminose dei razzi lanciati su Gaza e Tel Aviv. Immagini di una guerra dolorosa e fratricida che si trascina da decenni con colpe scaricate da una parte e dall’altra. In questa festa dell’Ascensione ci piacerebbe vedere un cielo differente, quello che ha inaugurato Gesù ritornando al Padre: Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Un cielo che raccoglie un’unica umanità, un cielo sotto il quale c’è posto per tutti. E perché questo sogno si realizzi, la festa di oggi ci suggerisce tre movimenti: in salita, in discesa, in avanti.

1.    Il primo movimento va verso l’alto. Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Gesù ci invita a dare altezza alla vita, a non soffocarla depotenziandola della sua forza spirituale, ultraterrena. C’è di più di quello che si vede: mi colpiva quello che diceva un cresimato a proposito della pandemia: Secondo me Gesù ha detto: “Fermatevi tutti e pensate a me”. E come dargli torto: al giorno d’oggi per lui ritagliamo pochissimo tempo, siamo tutti sempre impegnati e ci dimentichiamo spesso la ragione per cui siamo in vita. Un ragazzo ci ricorda le ragioni alte dell’esistenza. Quelle che motivano la scelta di battezzare un bambino e di educarlo nella fede. Quelle che interrogano il modo con cui viviamo la domenica. Quelle che riguardano la realtà della morte e una vita eterna ritenuta improbabile anche dagli stessi cristiani. Esiste cielo sulla tua vita, sulle tue giornate? Giovedì un 19enne si è buttato dal multipiano di Moncalieri, a Palermo mercoledì un trentenne si è tolto la vita lanciandosi dal terzo piano di casa. Un ventinovenne ieri sull’autostrada vicino a Brescia, anche lui l’ha fatta finita. E poi le risse dei quindicenni. Fragilità certo, pandemia, situazioni psicologiche complesse. Ma anche la nostra incapacità di guardare con speranza alla vita, di indicare orizzonti. Questi ragazzi ci smascherano, ci dicono che il re è nudo. E non basta riaprire la movida: bisogna riempire il cuore, accendere il desiderio, indicare l’oltre. Perché quello che vedi dal multipiano è troppo limitato.

2.    Il secondo movimento è verso il basso. Che significa, si chiede Paolo, che ascese se non che prima discese? Paradossalmente tu vedi il cielo se ti distendi sulla terra, se rimani aderente ad essa. È questa terra che deve diventare cielo. Com’è che diventa cielo? Paolo lo ricorda: Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. I razzi non sono solo a Tel Aviv, sono anche tra noi. Razzi che alterano anche il momento in cui una persona muore, perché anziché lasciarla andare in pace, intorno a lei si scontrano le preoccupazioni per l’eredità, il controllo di chi entra e chi esce di casa, le diffide reciproche a stare lontani. Non va meglio con le prime comunioni, con bambini che vengono riprogrammati a ignorare i nonni, quella zia odiosa, i vicini di casa. E a dare le risposte scritte sul copione spietato dei loro genitori. Il giorno della prima comunione. Pensi di fargliela pagare al parente, reo di chissà quali colpe, la stai facendo pagare a tuo figlio. In sofferenza, menzogna, sensi di colpa e cattiveria che, se qualcuno non lo salva e non gli suggerisce una vita diversa, un ragazzo imparerà a sua volta a coltivare e a far crescere. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: prenderanno in mano i serpenti. Non liberare i serpenti: impara a prenderli in mano, a controllarli, a dominarli. Il serpente del rancore, della gelosia, del risentimento, della vendetta. La comunione non è la sceneggiata in chiesa, è la vita in comunione.

3.    Infine movimento in avanti. È quello che Gesù raccomanda ai suoi amici prima di salire al cielo: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». Il cielo appare se porti vangelo, se abiti il mondo con la buona notizia che ti appartiene, se regali verità, speranza, fiducia. Pensate agli Stati generali sulla natalità che si sono tenuti a Roma. È sotto agli occhi di tutti il vistoso calo demografico che passa da un anno all’altro,  con nuovi record negativi. Dal 2008 la flessione è del 30%, nello scorso anno del 3,8. E non c’è solo un problema economico, cui il Governo sta cercando di dare risposte; c’è anche un problema culturale, che ha a che fare col tempo libero, con la libertà, con la realizzazione di sé. Ad esempio negli ambiti dello spettacolo e dello sport “è triste vedere modelli a cui importa solo apparire, sempre belli, giovani e in forma”. Ma mantenersi giovani “non viene dal farsi selfie e ritocchi”, ma “dal potersi specchiare un giorno negli occhi dei propri figli”. Ecco il vangelo: cosa annunci in questo tempo, cosa ti sta a cuore? Giusto difendere le persone dalle discriminazioni, senza perdere di vista la discriminazione della vita nascente e il sostegno di chi la può promuovere. Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Lo guardiamo il cielo, ogni tanto. Ma ricordiamoci che è sceso qui sulla terra e con la forza del vangelo si allarga e ci regala bellezza.

 

mercoledì 29 dicembre 2021

Esequie Diego Marchesan

 

Esequie Diego Marchesan (29 dic. 2021)

(Letture bibliche: Rm 8, 31-39  / Lc 2,41-52)

Non si sa se certe persone siano nate così o se sia stata la vita a plasmarli. Fatto sta che Diego, fin da piccolo mostrava le sue propensioni. Il papà lo andava a prendere in asilo e lui dov’era? Nascosto in fondo ai tombini che formavano il trenino colorato da cui usciva solo quando gli veniva promesso che avrebbe guidato lui il motorino per rientrare a casa. Era affascinato dal vento. Gli piaceva vedere l’albero in giardino agitarsi quando arrivava il temporale. «Stai lontano, gli diceva sempre il papà, c’è un leone, ti mangia». Ma questo avvertimento rendeva la faccenda ancora più interessante. Così, se c’era una collina, lui doveva arrivare in cima rima degli altri e, se c’era un fiume, lui si doveva sporgere sull’argine. Poi arriva l’adolescenza con le sue turbolenze, con le raccomandazioni che sembrano fatte per niente, con la ribellione che accompagna numerosi ragazzi e che si riflette sulle loro famiglie, su genitori che registrano l’inefficacia dei loro interventi.

La vicenda di Maria e Giuseppe che perdono il loro figlio dodicenne forse ci può aiutare a comprendere quello che succede a casa nostra, a rileggere la vicenda di Diego e a capire che perduti e ritrovati, in fondo, lo siamo un po’ tutti.

1.    Anzitutto c’è la constatazione di un’assenza. Un ragazzo che non è più nella carovana. Maria e Giuseppe erano stati a Gerusalemme, per la festa di pasqua e avevano portato anche il loro figlio.  La visita ai parenti, la liturgia del tempio, le ricorrenze, i ricordi, in una ritualità consegnata da una generazione all’altra. Poi il ritorno, a Nazaret. Le famiglie viaggiavano unite per affrontare meglio il cammino e i ragazzi, come avviene anche oggi, stavano insieme, sotto lo sguardo degli adulti. Ma non era un controllo serrato. E così Maria e Giuseppe, credendo che Gesù fosse nella comitiva si accorgono che manca, solo dopo una giornata di cammino. E tornano indietro. Ecco la prima questione importante: accorgersi di chi manca e iniziare a cercare. Non è detto che troviamo subito chi manca, che chi è scomparso sia disposto a rientrare. Ma, cercando, evitiamo di sparire anche noi, di sottrarci alla nostra responsabilità di padri, di madri, di educatori. Un ragazzo prima o poi prenderà le distanze da casa, ma anche questa salutare e necessaria operazione sarà possibile solo se c’è una casa, un riferimento, perché dal nulla non ci si può distanziare. La vicenda di Diego interroga i rapporti che ci legano, famiglie e genitori che spesso si chiedono che cosa possono ancora fare per un figlio che rompe gli abituali confini, ma anche le relazioni, le compagnie di quel figlio: stai custodendo i tuoi amici o qualcuno manca all’appello?  Diego aveva tanti amici e in queste ore sono stati proprio loro a farci conoscere qualcosa in più di lui: i suoi spostamenti, le sue idee, la sua sensibilità, compreso il cuore che nascondeva sotto la corazza del ragazzo testardo e ribelle. La vicenda di Diego interroga anche le istituzioni, quelle alle quali era un po’ allergico. Ma forse è proprio per gli allergici che dovremmo imparare ad esserci, senza pensare che debbano sempre adeguarsi loro e accettando qualche volta di poter cambiare anche noi, chiesa compresa. Il tentativo di costruire un oratorio risponde a questa esigenza e dovrebbe essere un pensiero non solo del prete ma dell’intero paese che a volte non ha idea di dove siano i suoi giovani o li presuppone nella carovana. Uno degli aiuti che Diego ha avuto nella sua adolescenza è stata la vecchia Agenzia delle idee, realtà che ha accompagnato la storia di Castello di Godego e che forse potrebbe ricordarci uno stile di prossimità e aiutarci a capire se i perduti siano i ragazzi che ci provocano con il loro stile poco convenzionale o non siamo noi incapaci di raccogliere i loro segnali. Cercare e cercarsi. Ascoltarsi, magari mandare segnali. Attivare i localizzatori.

2.    Nella ricerca di Maria e Giuseppe ci sono però anche le loro domande: Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io angosciati ti cercavamo. Penso a quante volte Renato e Daniela avran fatto o si saran fatti questa domanda. Ed è proprio questo l’atteggiamento importante: farsi domande, capire, tenere aperta la vita e la possibilità che essa ci riveli qualcosa in più, che l’altro di dica qualcosa in più. Perché in genere, più che domande noi formuliamo risposte, sulla base di idee, non sempre verificate o di pregiudizi che già hanno collocato l’interlocutore di turno nelle nostre semplificazioni o nelle nostre esclusioni: tu sei, tu devi, tu non… Un genitore però fa il suo lavoro e ci prova sempre: a capire, a ragionare, a dire la sua. E allora Diego marcava le distanze: «Basta, madre! Te me ghe insegnà tutto. Desso fasso mi».  Daniela,  per tutta risposta, gli mandava una faccina con la bocca cucita. E lui allora, di lì a poco, nuovo messaggio: «Scusa, mammetta». Madre, quando si impuntava e difendeva il territorio, mammetta quando capiva che quel legame era vitale. E così Daniela si rifugiava nelle parole di Madre Teresa. I figli sono come gli aquiloni: gli insegnerai a volare, ma non voleranno il tuo volo. Gli insegnerai a sognare, ma non sogneranno il tuo sogno. Gli insegnerai a vivere, ma non vivranno la tua vita. Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto. Educare vuol dire credere in una promessa di vita buona, anche quando tarda a realizzarsi. E forse, proprio per questo, Daniela, pensando ai suoi figli, ogni tanto si affacciava sulla finestra di casa, verso il Santuario della Crocetta, dicendo: Ciao, Maria, ricordate che i ze tui. Eora vedi ti.

3.    Infine le convinzioni. Perché ogni ricerca insegna qualcosa. Ci possono far riflettere le parole che Gesù rivolge ai suoi: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Sia chiaro, Diego non era Gesù, come Daniela e Renato non erano Maria e Giuseppe. Come noi non siamo nessuno per intervenire nelle loro faccende. Ognuno porta con sé risorse e fatiche, energia e limite e ciascuno a casa propria nasconde qualcosa che gli altri non sanno. Ma quella risposta di Gesù non va a frugare nei nascondigli: è un invito a figli, padri e madri, forse anche a fratelli, nonni, amici a interrogare la vita ad un livello più alto. Quello delle cose del Padre. Perché a volte la confusione avviene quando siamo troppo legati alle cose della terra e non ci rendiamo conto che è il cielo la nostra misura più vera, come questo tempo di natale ci aiuta a ricordare. Gloria a Dio nei cieli e pace in terra agli uomini che lui ama. Abbiamo bisogno di prendere sul serio la vita e i suoi confini, abbiamo bisogno di distinguere ciò che resta da ciò che passa, abbiamo bisogno di agganciare i giorni a Qualcuno che li accompagni e li custodisca. Chissà qual era il mondo religioso di Diego: non amava la chiesa, ma don Giovanni Faganello, rettore della Crocetta, gli era rimasto nel cuore e lo andava a trovare. Non era tipo di tante devozioni, ma tornando dal Messico aveva con sé le medaglie di Nostra Signora di Guadalupe; chissà se credeva nella vita eterna, ma per i funerali della nonna era arrivato da lontano, accompagnandola con le preghiere. E soprattutto era uno dal cuore buono e generoso, che per aiutarti faceva l’impossibile. Allora, certo, sono importanti le preghiere, la messa, le medagliette, ma il paradiso è aperto soprattutto dalla carità, quella che sai praticare anche se non sai che si chiama così.

Diego scherzando, rassicurava ai suoi: «Vedarì che a 35 anni metto a testa a posto». Poi l’obiettivo dei 35 era stato spostato ai 40.  Li avrebbe compiuti proprio oggi, 29 dicembre. Vedrà il Signore se quella testa, Diego, l’avesse messa a posto. Forse però poco importa. Perché quel che interessa a Dio non è tanto la tua testa, ma il tuo cuore. Che possa aprirsi a lui e agli altri, che possa ospitare ribellione ma anche verità, che possa battere delle tue passioni ma anche delle passioni di Dio per ciascuno dei suoi figli, compresa la passione con cui li va a cercare nel momento della morte. Diceva S. Paolo poco fa: Chi ci separerà dall’amore di Dio in Cristo Gesù? Chi può resistere alla sua ricerca? Affidiamo Diego al Signore. Lo accompagni all’incontro la Vergine della Crocetta, sua vicina di casa, che l’ha visto crescere e che meglio di ciascuno di noi sa leggere e comprendere il cuore di questo suo figlio. E la Vergine accompagni anche noi e ci insegni la maternità vera, quella di una chiesa e di una società che non perdano nessuno e che possano essere ugualmente casa, ovunque un ragazzo, un giovane o un uomo mettano la loro dimora.