domenica 29 ottobre 2017

Omelia 29 ottobre 2017


Trentesima domenica del Tempo Ordinario



Con quella maglietta addosso Anna Frank ha giocato una partita che mai avrebbe pensato. Qualcuno l’ha fatta scendere in campo, strattonandola violentemente, pensando di servirsene ridicolizzare l’avversario. Ma in questa partita Anna Frank ha vinto e noi abbiamo perso. Ha vinto perché quella maglietta non riesce a imprigionarla, la sua statura è più grande di qualsiasi becera tifoseria e il suo diario ci porta in un campo dove non solo una squadra, ma tutta l’umanità ha un appuntamento, più grande di quello sportivo. Appuntamento con la vita e con la morte, con la cattiveria  e la devastazione, con la tenacia di chi non si è lasciato calpestare nonostante sia stato messo a morte. Lei ha vinto e noi abbiamo perso. Ha perso lo sport che ha smarrito il senso del limite, i dirigenti che credono sia una sceneggiata, i ragazzi tristemente coinvolti e gli adulti che su quanto è capitato alzano incuranti le spalle. È un deficit di umanità che periodicamente torna a presentarci nuove pagine, misere e inquietanti. Abbiamo bisogno di ritrovare il senso di quello che stiamo facendo, l’essenziale, ciò che ci regge come uomini e come donne e non travisa il nostro volto.

La domanda posta a Gesù è dunque importante: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Vuol dire: che cosa non dobbiamo perdere di vista per essere noi stessi, per custodire le coordinate essenziali della vita?



1.    La prima risposta di Gesù è ama. Non: va’ a messa o prega o impegnati, ma ama. Nel DNA dell’uomo c’è questa forza che caratterizza la sua specie e la rende differente da ogni altra creatura. Quando cessi di amare cessi di essere uomo. Però è interessante il fatto che Gesù non ci dica “ama”, ma “amerai”, al futuro. E così ci fa capire che l’amore non si improvvisa: è un cammino che domanda un investimento ogni giorno, la disponibilità a mettersi in discussione e a percorrere nuove strade che interpellano i giorni. Pensate a quelle coppie in cui non arriva un figlio. C’è il rischio di vivere questa situazione come un fallimento e di lasciarsi imprigionare in un’involuzione che impedisce ad esempio di valutare  le possibilità di  adozione o di affido. Ci pare di esserne incapaci. Amerai… prova! E a volte succede che dopo questa scelta arriva il figlio che non si è avuto prima. Investire sempre nella direzione dell’amore.  



2.    Poi si scopre che gli amori in realtà sono tre e che sono strettamente relazionati. Dio, il prossimo e se stessi. Sono come le tre arcate del ponte della vita. Se ne crolla una non si passa oltre. L’amore di Dio dà grandezza all’amore, l’amore del prossimo gli dà concretezza, l’amore verso se stessi gli dà verità. A volte noi viviamo questi amori un po’ scollegati con un’esasperazione dell’amore di sé. Un amore che si trasforma in narcisismo, chiusura, ombelico. La camuffiamo con espressioni del tipo: devi volerti bene, non bisogna consumersi, bisogna risparmiarsi. Cose che Gesù non ha mai detto. Venerdì sera abbiamo ascoltato la testimonianza del dott. Dal Lago, pediatra del nostro comune, che parte ancora una volta, con la moglie, per la missione. Tanzania. E mentre questi due sposi missionari parlavano, percepivi che l’amore era totale: per il Signore, per i fratelli, per se stessi.



3.    E poi l’amore è fatto di testa, di cuore e di forze.  Perché oggi ci confrontiamo con numerosi episodi di violenza sulle donne che ci inquietano? Perché l’amore è travisato, fin dall’adolescenza. È diventato tutta pancia, istintualità. E ci pare che vada bene così. E assecondando gli istinti, scopriamo che essi non sono mai sazi, comandano e diventano sempre più despoti.  «Fai quello che ti senti, quando sei pronto». Pronto in base a cosa? Pronto lo devi essere col corpo, col cuore, con la testa, con la volontà, compresa quella che ti porta a dire dei no. Per il bene tuo e per il bene degli altri. Perché altrimenti credi di vivere l’amore, ma vivi unicamente il tuo egoismo e la tua prevaricazione. Con tutto. Non dimenticare pezzi per strada.


«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Il grande comandamento è diventare uomini veri e uomini liberi. E Gesù nell’amore ci indica la strada.   




lunedì 23 ottobre 2017

Omelia 22 ottobre 2017



Ventinovesima domenica del T. O.

Come funziona una trappola? Si conduce l’ignara vittima su un terreno apparentemente tranquillo sotto il quale si nasconde un’insidia. E più la preda è ambita, più la seduzione si fa raffinata. Pensate alle ragazzine che vengono adescate sulla rete. Da dove parte il molestatore? Dai complimenti. Così anche Gesù oggi è raggiunto dai complimenti: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno». Non aver paura di alcuno, essere liberi e veri. Ci piacerebbe essere così e ci piacerebbe che qualcuno ce lo attribuisse. In realtà è una strada che conduce a un’insidia. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? L’insidia è ti tipo economico. Visto che Gesù non lo si può imprigionare col dibattito teologico, cerchiamo di farlo con quello tributario. Quando si parla di tasse gli animi si accendono e si finisce per dire anche quello che non si vuole. La Palestina era infatti soggetta alla dominazione romana e ogni cittadino doveva versare all’imperatore un’imposta particolarmente odiosa. Se Gesù avesse detto che bisognava pagare sarebbe apparso come un alleato del dominatore, nemico del popolo; se avesse negato la tassa sarebbe apparso come un sovversivo. In ogni caso non avrebbe avuto vita facile. Invece Gesù fiuta l’inganno e percorre un’altra strada, facendo capire ai suoi discepoli come ci si muove in ambito pubblico. 

1.   Anzitutto Gesù smaschera la malizia dei suoi inter-locutori. Ipocriti, perché mi tentate? Attento all’ipocrisia che tenta di separare le questioni degli uomini dalle questioni di Dio. Mostratemi la moneta del tributo. Gesù si trova nel tempio e quella moneta non doveva proprio entrare nel santuario, tant’è vero che c‘erano i cambiavalute. Ma con facilità e disinvoltura la richiesta viene esaudita e appare un denaro, uscito dalle tasche di qualcuno. Vuol dire che i soldi appartengono alla sfera della vita; vuoi o non vuoi entrano nel tempio e interrogano anche la fede. Questo ci aiuta a capire che non possiamo far a meno di confrontarci con un’economia, pensando di escluderla dalle ragioni del vangelo. Dice Papa Francesco: L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata versione… nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano (EG 55). Oggi Giornata Missionaria, siamo interpellati anche a questo livello: portare il vangelo vuol dire portare anche attenzione sul versante economico. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano (EG 58).

2.   Fatto salvo questo principio, Gesù ne annuncia un altro: Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non si tratta di pagare, ma di restituire. A Cesare innanzitutto. È l’immagine di ogni ordinamento pubblico con cui il cristiano si misura. Restituisci qualcosa a quella compagine sociale alla quale appartieni: non nasconderti, non defraudarla, perché fai del male a te stesso e fai del male agli altri. Non è solo una questione di tasse ma di senso dello Stato, della partecipazione alle vicende del Paese, di pretese e di doveri a cominciare, ad esempio, da come gestisco i rifiuti, visto che le borsette del secco vengono sistematicamente disseminate nel territorio. Ma restituire piuttosto che pagare a Cesare, vuol dire anche chiedere a Cesare che faccia la sua parte in termini di equità e di solidarietà, di servizi e di opportunità. Perché non si restituisce ciò che non si riceve. E a volte si patisce l'assenza dello Stato, specie nell'ambito dell'assistenza, del sostegno alla famiglia, del recupero della marginalità. E non solo lo Stato a volte è assente, ma rende complessa la presenza di chi cerca di porre rimedio ai disagi, senza prevedere sgravi e aumentando la burocrazia, come sta avvenendo nel terzo settore. 

3.   L’altra parte del binomio invita invece a riconoscere a Dio ciò che gli appartiene. Se il denaro recava l’effigie di Tiberio, si tratta di cercare la moneta che reca l’iscrizione di Dio. E quella moneta è l’uomo, creato a sua immagine. Allora il criterio ultimo che regola l’economia e anche i rapporti con Cesare è la restituzione di ogni uomo a quello che Dio ha in mente. Un uomo non saccheggiato della sua interiorità e non privato della sua dignità. Quello che è successo all’Università di Macerata e le spropositate reazioni a un’Ave Maria ci avvertono di come un ordinamento pubblico a volte, in nome della laicità, inneschi battaglie fuori luogo. Così il richiamo di Papa Francesco nei riguardi delle persone con disabilità, che non sempre hanno voce e che nello stato appartengono talvolta alla cultura dello scarto. Restituire a Dio vuol dire che costoro per lui sono moneta preziosa, da non perdere.

Occhio dunque alle trappole. Sono quelle che ci imprigionano nell'individualismo, nella logica di un personale tornaconto, ma sono anche quelle che ci impediscono di liberare l'umanità che Dio ha in mente. Rendere a Cesare e rendere a Dio. Per il bene comune, per il bene di ciascuno.

venerdì 13 ottobre 2017

Funerale Bruno Civiero


Bruno Civiero (13 ott. 2017)

Rom 8,31-35.37-39– Lc 12,54-59


«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade». Bruno si alzava presto al mattino, osservava il cielo ed emetteva il suo personale bollettino meteo: Na bea giornada. Daghe aria a camara. Vardè che piove oggi, toive a ombrea. Il tempo influisce sulla vita degli uomini, ne condiziona le giornate, gli appuntamenti, il lavoro, l’abbigliamento... Ma Gesù non si dà troppa pena per questo. È preoccupato piuttosto che i suoi discepoli, più che il tempo, sappiano scrutare i segni dei tempi, sappiano cogliere le cose importanti della vita: Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? E Bruno era così; pur attento al sole e alla pioggia, non si limitava alle vicende atmosferiche: sapeva abitare il tempo, osservare gli eventi, raccoglierne le conseguenze per sé e per gli altri. Quali tempi ha vissuto Bruno, quali segni vi ha intravisto?


1.    Innanzitutto il segno della responsabilità. Responsabilità è una parola che oggi non ci piace molto. Ci sa di costruzione, di impegno, di risposte da dare. E invece vorremmo essere svincolati, evasivi, liberi dalle pressioni altrui. La vita però ci viene consegnata in una trama di relazioni: qualcuno si è preso cura di noi e noi ci prendiamo cura di qualcun altro. Responsabilità è rispondere a un appello che l’altro ci rivolge, corrispondendo alla partita doppia della vita che è dare e avere. Hai ricevuto, prova a restituire qualcosa. Bruno viveva la responsabilità nel lavoro, nella sua presenza in famiglia, in una comunità cristiana dove per tanto tempo ha fatto parte del coro. Esserci, portare il proprio contributo. E Bruno lo faceva con prontezza, senza neppure il bisogno di chiederglielo e senza troppe parole, convinto e lieto di poter dare una mano. Non si faceva problemi neanche se c’erano i letti da fare e non badava a chi, reduce di passate idee di maschile e femminile, gli diceva: «Te gai messo a traversa?». La “traversa” del resto l’ha indossata anche Gesù, facendoci capire che quando ci dobbiamo essere, dobbiamo farlo davvero, vivendo il servizio fino in fondo. Ecco la responsabilità.

2.    Poi il segno della concordia e la gioia. Bruno teneva alla sua famiglia più di ogni altra cosa e ai suoi figli ripeteva: «Un boccon de par de manco, ma cerchè de ndar d’accordo». Una comunione che lui alimentava in vario modo: con il rispetto che esigeva e insegnava, con i silenzi e le parole. Nelle circostanze importanti, Bruno scriveva raccoglieva i suoi sentimenti in qualche riga: per i cinquant’anni di matrimonio con Anna, ad esempio, aveva detto che di figli lui non ne aveva avuti tre, ma sei, includendo tra essi anche genero e nuore. E poi i nipoti e nipotini, la sua gioia, fatta di gioco e di storie, come solo i nonni sanno fare. E quando poteva nascere qualche divergenza, lui in genere aspettava e interveniva successivamente, ragionando con calma con le persone interessate, stemperando i dissapori. La concordia è importante, ma essa non è uno slogan: ha bisogno di pazienza, di lungimiranza, di fiducia. In paradiso entra solo la comunione e quando la alimentiamo sulla terra la troveremo anche in cielo.


3.    Infine il segno della prova. Sono gli ultimi giorni della vita di Bruno. Sul letto della terapia intensiva ha vissuto momenti di grande fatica. Aveva sete ma non gli si poteva dare che qualche sorso d’acqua. E ciò nonostante ha avuto la forza di osservare: A me va meio del Signore. A lu i ghe ga dato azeo! Bruno aveva compreso che stava arrivando l’incontro definitivo e l’ha vissuto con fede, rimanendo all’ombra della croce, accanto a quel Gesù che ogni domenica gli dava appuntamento in questa chiesa. Chi ci separerà dall’amore di Dio in Cristo Gesù? La tribolazione, la malattia, un letto di ospedale? Noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Bruno lo sapeva e nelle mani di Gesù ha messo la sua vita, con la fiducia che in quelle mani non si sarebbe perso. Perché se noi del tempo viviamo qualche attimo, Gesù dei tempi è la pienezza e quando qualcuno gli appartiene nulla va perduto. E mentre Bruno se ne stava andando, ha regalato l’ultima carezza a sua moglie, come per dire: nessuno ci sottrae ciò che di bello abbiamo vissuto e a ciò che di bello ci viene preparato, la morte non ci separa. Alle mani di Gesù, allora, affidiamo questo fratello: per lui chiediamo misericordia, per noi chiediamo il dono della fede e della speranza, per noi chiediamo di scrutare i tempi secondo le dimensioni dell'eterno.






domenica 8 ottobre 2017

Omelia 8 ottobre 2017


Ventisettesima domenica del T. O.

Una vigna che sale sul dorso di un colle… le cortine dei filari semplici e profonde appaiono una porta magica. Sotto le viti la terra rossa è dissodata, le foglie nascondono tesori, e di là dalle foglie sta il cielo. Sono le parole di un racconto di Cesare Pavese in cui l’autore descrive una vigna, un ambiente carico di ricordi ma anche varco verso l'infinito dove la nostalgia fa posto alla speranza. 
La vigna racconta le storie degli uomini e racconta anche le storie di Dio con loro. Storie piene di fascino e di attesa, funestate talora da violenze e soprusi, ma aperte anche alla sorpresa e alla ritrovata speranza.  
Raggiungiamo ancora una volta la vigna di Dio e vediamo che cosa in essa si nasconde.

1.   C’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. È Dio quest’uomo appassionato che affida nuova vita alla terra. Non fagioli, ma una pianta che resiste nel tempo, piena di energia e di promessa. Una pianta ben curata: La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. Quanta premura! La vigna è tutto ciò che di bello Dio ha piantato sulla terra, nei nostri cuori, nella nostra comunità. Vigna è il mondo che cresce secondo i suoi progetti. A Godego ultimamente c'è molto interesse a piantare prosecco... ma se ci mettessimo a piantare la vite di Dio, i suoi progetti, il suo modo di vedere le cose? Nell’ambito di un’azienda, ad esempio, come vede le cose Dio? La Giornata per le vittime degli incidenti nel lavoro e l’assemblea AMNIL che oggi ospitiamo in parrocchia sono un invito a ripensare anche le nostre aziende nella logica della sicurezza, della dignità del lavoro, della convergenza di intenti perché le situazioni rischiose vengano rimosse. I morti in Italia quest’anno sono 682, cifra che non ci lascia tranquilli. Ma è bello sapere che vi sono aziende virtuose, anche nel nostro territorio, che a motivo di un’efficace collaborazione tra direzione e lavoratori hanno avuto l’audacia di cambiare precise condizioni di lavoro e talora costosi macchinari. Aziende che non hanno fatto prevalere il profitto sulla sicurezza, ma nella sicurezza hanno visto un profitto. Non cessare di sognare come fa Dio un mondo abitato dal bene. Questa è la vite.

2.   Ma in quella piantagione ad un certo punto serpeggia un infestante più pericoloso della peronospora: la diffidenza, l’invidia, la bramosia, la voglia di prendere le distanze da Dio e di gestire in proprio la vigna. I servi del padrone vengono percossi e il figlio viene messo a morte. Gesù sta parlando dei profeti inviati ad Israele e sta parlando di se stesso, il figlio ucciso per eliminare ogni possibile pretesa divina. A volte anche noi corriamo questo rischio: quello di mettere al bando Gesù, di volerlo eliminare, specie se c’è d’impiccio rispetto ai nostri progetti. Pensate alla polemica sul papa a pranzo con i poveri a S. Petronio. Secondo qualcuno s’è trattato di una chiesa profanata, come se la chiesa fosse estranea alle scelte del papa! «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». Attento a non uccidere il Signore per difendere la religione. Il vangelo qualche volta sovverte i nostri criteri e riapre in maniera nuova anche le porte della chiesa.

3.   E infine in quella vigna c’è ancora futuro. Di fronte ai vignaioli omicidi gli ascoltatori di Gesù suggeriscono vendetta e morte. Ma Gesù non avvalla tale ipotesi. Parla piuttosto di un altro popolo che continui a credere nella vigna, ad investire su di essa e a coltivarla con cura finché produca dei frutti. Prova a vedere se sei di questo popolo nuovo. Vanno bene le giornate commemorative, ma più importante sarà l’energia che metti ogni giorno, magari anche infastidendo qualcuno che rimane prigioniero di vecchie catene, perché la vigna continui ad essere il sogno di Dio e porti i frutti sperati. Anche in un ambiente di lavoro, anche in questa nostra società.

mercoledì 4 ottobre 2017

Omelia 1 ottobre 2017


Ventiseiesima domenica del Tempo Ordinario

Non vi è mai capitato di aprire un vino blasonato e scoprire tristemente che sa di tappo? Tante promesse, magari anche una spesa considerevole. E poi la tristezza di un prodotto che devi buttare. Viceversa una bottiglia poco interessante può riservare grandi sorprese!

È la storia anche di quei due figli di cui ci parla il vangelo di oggi. Sembra una storia presa da casa nostra: un ragazzo apparentemente obbediente che poi si defila e uno ribelle che poi si pente. Chi dei due ha fatto la volontà del Padre? Chi dei due è il vino buono? State attenti dice Gesù alle etichette che mettete addosso agli altri e state attenti anche a voi stessi, perché a volte sotto un’immagine apparentemente pulita e brillante, si nasconde qualche torbido, qualche pozza stagnante. Ecco allora l’invito di Gesù. Conversione. Rimetti in  gioco la vita sulle strade della verità e sulle strade del vangelo.

Come si percorrono queste strade?

1.   Occhio ai no che dici. «Figlio, oggi va a lavorare nella vigna». «Non ne ho voglia». Anche noi siamo spesso così, regolati dalle nostre voglie, dall’immediatezza del desiderio e delle emozioni. Mi piace, non mi piace; mi diverte, non mi diverte. Ma le cose belle della vita non sono solo il divertimento, ma anche l’impegno che metti in ciò che fai, nella tua capacità di coinvolgi-mento, di partecipazione. Avete sentito la storia di Elisa, quella mamma di Lovadina morta dei giorni scorsi? Prima di andarsene ha impacchettato diciotto regali da consegnare alla sua bambina ad ogni compleanno, fino al diciottesimo anno d’età. Questa mamma non ha detto “non ho voglia”, anche quando avrebbe avuto tutte le ragioni per dirlo. Ha deciso di esserci fino alla fine e anche oltre la sua stessa fine. Non ti sottrarre ai tuoi compiti, a ciò che di bello puoi regalare al mondo.

2.   Smetti di recitare la commedia. È il secondo figlio, apparentemente ubbidiente e ossequioso, ma poi estraneo alla volontà del padre. «Si, signore». Ma non andò. Quanti sono i che si trasformano in teatro e poi diventano no? Non solo quelli dei ragazzi, ma anche quelli detti in chiesa, nel matrimonio, nel battesimo dei figli, nelle scelte di consacrazione, in un impegno nella comunità. Sono anche quelli che appartengono a convinte professioni di fede, senza riconoscere le spaventose incoerenze che si creano. Pensate allo scandalo di quei docenti universitari che dietro a una facciata di ineccepibile professionalità erano dei corrotti che si spartivano le cattedre a seconda dei loro interessi e tagliando fuori chi non entrava nel loro giro. Erano insegnanti di diritto tributario. Ma di quale giurisprudenza erano discepoli? Attenzione, perché il vangelo non ci chiede ragione solo della messa domenicale: interroga l’economia, i diritti umani, la solidarietà, la passione per la pace e la giustizia. Quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede. È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo (Ignazio di Antiochia).

3.   Però Gesù conclude con un altro monito. Si può cambiare rotta. Mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo rimangono fermi nella convinzione di essere i migliori, i pubblicani e le prostitute hanno cambiato vita. I nostri no più risoluti e i nostri sì ipocriti possono trasformarsi. Avete sentito di quel quarantenne che sabato scorso a Bergamo aveva tirato sotto una ragazza? Era fuggito, pensando di salvarsi, di farla franca. Nessuna testimonianza contro di lui, eccetto quella della sua coscienza, che l’ha portato dai carabinieri a confessare l’accaduto e ad assumersene la responsabilità. La grandezza di un uomo non sta nella capacità di non sbagliare mai, ma nella possibilità di cambiare rotta. E se la rotta su cui ritorni è quella del vangelo, la vita forse è anche più bella. Perché non trovi più un padrone da cui fuggire e perché non hai più bisogno di fingere.