mercoledì 31 dicembre 2014

Omelia 31 dicembre 2014


Ringraziamento fine anno 2014

Grazie è una parola importante. È come il bacio del principe sulla bella addormentata: permette di risvegliare le esperienze che abbiamo vissuto e di riappropriarcene, impedendo loro di andarsene. Dicendo grazie la vita ci viene restituita con una maggiore profondità, cogliendo significati, relazioni, prospettive. Che cosa ci rivela questa parola?

1.    Grazie ci aiuta a capire in primo luogo che la vita è fatta di gratuità. Non tutto rientra nella stretta contabilità, ma c’è una sorpresa che non è messa in conto. È la sorpresa del dono. Buona parte della nostra esistenza funziona così e le grandi trasformazioni non avvengono perché sono programmate ma perché c’è un accadimento inatteso, carico di promessa e di bellezza. Tu non decidi di innamorarti: accade! Tu non decidi di trovare un amico: accade! Tu non decidi di diventare parroco: accade! E quello che era un remoto presagio apre possibilità insperate. Grazie è la parola che riconosce questo movimento, che aiuta a inserire nel conto profitti e perdite un’eventualità che non appartiene alla ragioneria della partita doppia: quella della provvidenza. Cerca di cogliere la sua presenza invisibile e premurosa: scoprirai che la vita è abitata dal mistero, che qualcuno agisce anche quando sembra impossibile e si prende cura di te.

2.    Ecco allora il secondo motivo per dire grazie. Grazie lo si dice a qualcuno. Non siamo autosufficienti: mai. E se non ce ne rendiamo conto forse è proprio perché diciamo pochi grazie. Grazie a tua madre e a tuo padre che ti hanno fatto il dono bellissimo della vita, grazie ai tuoi figli perché quella vita te l’hanno arricchita di un’esperienza che non potevi conoscere, grazie a tua moglie, tuo marito per le attenzioni di ogni giorno, grazie per gli amici che ti stanno accanto e anziché prendersela sanno sorridere sui tuoi difetti. Quanta fatica facciamo oggi ad accettare che qualcuno ci faccia un regalo? Ci sentiamo subito in dovere di ricambiare per non sentirci in debito. Ma questa è la grande menzogna della vita. In debito con qualcuno lo sei sempre, fin dal tuo concepimento. E l’unico modo per sdebitarsi è quello di dire grazie e accettare di partecipare di un dono più grande di te, che ti arriva non perché te lo meriti o perché l’hai cercato ma perché qualcuno ti vuole bene. E di qualcuno in qualcuno arriva a Qualcuno di più grande da cui proviene ogni cosa. Qualcuno che ti regala il sole di ogni giorno, qualcuno che ti dona il respiro, qualcuno che c’è anche quando altri vengono meno. Grazie è una parola che ti fa trovare Dio e a capire che ti puoi fidare di lui. Perché se hai dei motivi per ringraziarlo vuol dire che ti è stato d’aiuto. E se ti è stato d’aiuto una volta, probabilmente lo sarà ancora.

3.    Ma se questa parola è così carica di forza, c’è anche un terzo motivo per dire grazie. Perché essa è una sfida e può essere detta anche nelle circostanze per le quali ringraziare è l’ultima cosa che faresti. Ogni anno che se ne va porta con sé un fardello di esperienze faticose, pesanti, dolorose. Possiamo dimenticarcene, recriminare, lamentarci, inseguire nuovi auspici. O possiamo anche ringraziare. Perché quell’esperienza non è passata invano, perché ci ha aiutato a diventare persone migliori, perché siamo cresciuti in umanità, perché anche la fede ne è uscita più forte. Grazie per la malattia perché mi ha fatto sentire meno onnipotente, grazie per i poveri perché impediscono al mio cuore di rattrappirsi, grazie per le distanze che sono nate con qualcuno perché ho potuto rileggere i miei comportamenti, grazie per questa persona che è venuta a mancare perché ho potuto pensare un po’ di più alla vita e al suo mistero. È un grazie che possiamo dire anche nella nostra preghiera e che irrobustisce la nostra fede e ci restituisce la consapevolezza che Dio può essere tale anche nell’oscurità e nel dubbio.

Ecco. Per che cosa ringrazi quest’anno? Come la Vergine Maria serbiamo nel nostro cuore gli accadimenti che ci hanno accompagnato e nel grazie che stasera esprimiamo ci aiuti il Signore a trovare le sue sorprese. Di ieri, di oggi, di ogni giorno che ci è dato.

 

domenica 28 dicembre 2014

Omelia 28 dicembre 2014


S. Famiglia

Un veliero è una nave a tre alberi con le vele di diversa forma, disposte in modo tale da catturare tutti i venti, quelli più impetuosi e possenti, ma anche quelli leggeri, capaci di sostenere la navigazione quando c’è bonaccia. A volte alcuni venti sono pericolosi, allora alcune vele vengono ammainate per issarne delle altre. La famiglia è questo veliero e i tre alberi sono le tre generazioni che la compongono. Ogni generazione ha una funzione importante che il vangelo di oggi ci aiuta a riscoprire. Gesù infatti è portato da Maria e Giuseppe al tempio di Gerusalemme per la presentazione dei primogeniti e in quella cornice avviene un incontro di tre generazioni.

1.    Anzitutto gli adulti, rappresentati da Maria e Giuseppe. Sono l’albero maestro, quello che ospita più vele e che dunque raccoglie la forza maggiore del vento. Ecco il ruolo dell’adulto nella famiglia: catturare energia, garantire lunghe percorrenze, assicurare la regolarità della navigazione. Questo è possibile se non ti limiti a venticelli di passaggio ma segui le rotte più esposte alle grandi correnti. Pensate al gesto di Maria e Giuseppe che portano il bambino al tempio: sono il segno di chi cerca il vento di Dio e si lascia condurre. A volte c’è il rischio di pensare alla vita come ad una imbarcazione da diporto: escursioni sotto costa. E perdiamo il fascino del grande viaggio. Adulti e ragazzi. Anzi, è come se la logica dei secondi vincesse sui primi generando una regressione adolescenziale generalizzata. Pensate alla moda lanciata quest’estate: madre e figlia vestite uguali. E così il mondo degli adulti non rappresenta più per l'adolescente quell'approdo in cui trovare nuove sicurezze, quel modello di relazione che pure dovrebbe essere. E così il mondo degli adulti non rappresenta più per l'adolescente quell'approdo in cui trovare nuove sicurezze, prospettiva. Quello che drammaticamente accade è l'incontro con l'inconsistenza esistenziale dell'adulto, dimentico che per far crescere un figlio deve preoccuparsi non solo del mantenimento o della scuola, ma delle domande che reggono la vita: perché sono venuto al mondo? Ecco l’albero maestro che dà stabilità alla famiglia.

2.    Poi c’è il bambino. È l’albero di trinchetto, quello che sta vicino alla prua della nave. È la vela che per prima fiuta il vento e lo cattura. I bambini nella famiglia ci sono proprio per questo: per guardare la vita in avanti, per non rinchiuderla tra presente e passato e aprirla al futuro. Nella nostra comunità il numero dei battezzati supera di una dozzina quello dei decessi. E questo è un bel segno in un’Italia che, per denatalità, si colloca ai primi posti della classifica mondiale. Ma non si tratta solo della decisione di mettere al mondo un figlio, si tratta anche di garantirne la crescita solida. A quali venti lo esponi? La nave famigliare si lascia  condurre da correnti spesso insidiose, come quella che riempie la vita e l’appartamento di giochi supertecnologici e iperstimolanti. Guardate Maria e Giuseppe che presentano due tortore al tempio: è l’offerta dei poveri. Poveri di risorse ma non di amore, di creatività, di fantasia. Così un bambino: lascia che possa giocare come un bambino, con lo scatolone del panettone e non farne un adulto bonsai!

3.    E infine gli anziani. Sono l’albero di poppa, le cui vele danno orientamento alla nave. Simeone e Anna, due anziani di Israele mettono la famiglia di Maria, Giuseppe e Gesù in relazione ad una storia più grande fatta di un popolo, di una tradizione, ma anche di una novità da riconoscere e salutare. I miei occhi hanno visto la tua salvezza. Ecco il senso degli anziani nella famiglia: è quello di ricordare il passato ma di non bloccarsi al passato, riconoscendo l’oggi di Dio. E quell’oggi domanda pazienza, apertura del cuore, comprensione. A volte anche la capacità di fare un passo indietro. I nonni sono una riserva di saggezza nella famiglia e ne vediamo la preziosità anche per il sostegno concreto che danno. Ma i nonni devono rimanere tali. In primo luogo con i loro figli, anche quando hanno fatto scelte che non condividono. In secondo luogo con i nipoti non accettando di sostituire padri e madri. Dare la vita non è solo generare: è mettere al mondo. E questo è il compito del genitore.

Ecco i tre alberi del veliero famigliare: adulti responsabili e solidi, bambini che possano vivere e farci scoprire la freschezza della vita, anziani che sappiano orientare senza imprigionare. Cresce la famiglia di Dio e cresce la famiglia degli uomini.

 

giovedì 25 dicembre 2014

Omelia 25 dicembre 2014


Natale 2014

I giorni che precedettero il 25 dicembre del 1914 furono segnati da un accorato invito di papa Benedetto XV affinché almeno nel giorno di Natale, “l’incomparabile sciagura” del primo conflitto mondiale avesse conosciuto una tregua. Se l’appello del pontefice cadde nel vuoto la spontanea mobilitazione di soldati sul fronte occidentale produsse tante piccole «tregue di Natale», coinvolgendo in particolare militari inglesi e tedeschi.

I testimoni ricordano molti commoventi episodi: i canti natalizi, primo fra tutti Stille Nacht che si rimbalzavano nelle due lingue da una trincea all’altra, poi la timida apparizione di cartelli con scritte augurali. E, finalmente, con molta circospezione, gruppetti di soldati disarmati che uscivano dalle trincee, camminando lentamente verso le postazioni nemiche recando doni e biglietti augurali, stringendosi le mani, mostrandosi le foto delle fidanzate, ballando e dando vita a partite di calcio con una palla fatta di stracci.

I rispettivi comandi tuttavia videro in tale iniziativa un enorme pericolo per le sorti del conflitto e da quel momento punirono severamente ogni tentativo di fraternizzazione col nemico. 

Che cosa spinse quei soldati a quel gesto? Una forza invisibile, una forza residua di umanità che quel conflitto tentava di cancellare tra orrori e violenza. Una forza di umanità legata a quel Bambino che ha voluto diventare uomo per ricordarci di essere tali. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo. Il verbo si è fatto carne. Il Natale è tutto qui: tornare ad essere uomini ed esserlo davvero anche quando un comando tenta di prendere il sopravvento e di sovvertire tale prospettiva.

Quale umanità è credibile? Che uomo viene a mostrarci il Natale?

1.    L’umanità cantata dagli angeli. È l’umanità che cerca la pace. Pace in terra agli uomini che Dio ama. Finché viviamo agguerriti siamo sotto gli ordini di un comando che tradisce la nostra umanità: ci fa credere che l’uomo sia quello risoluto, che difende le proprie idee, i propri confini, l’uomo che non ha bisogno degli altri. E invece quell’uomo ha già perso, perché noi ci troviamo solo se ci mettiamo in relazione e se ravviviamo le relazioni con segni di cordialità, di riconciliazione e di pace. A volte noi crediamo di affermare noi stessi perché ostinatamente ci accaniamo dietro le nostre ragioni: tagliamo i ponti e costruiamo i muri che spesso si allungano da una generazione all’altra, a volte per banalità. E non ci rendiamo conto che quel muro ci separa soprattutto da noi stessi, dalla nostra parte migliore. Chi è più forte? Chi si blinda o chi fa il primo passo? Chi la fa pagare o chi perdona? Pace in terra agli uomini. Sei uomo vero se costruisci legami di pace.

2.    L’umanità vigilante dei pastori. Perché il Figlio di Dio scendendo sulla terra si presenta a questa categoria di persone? Perché non sono intorpidite, sono pronte a scrutare il cielo e ad accogliere i segni di Dio. Andiamo fino a Betlemme e vediamo il segno che il Signore ci ha fatto conoscere. L’umanità vera porta con sé frammenti di cielo, non si lascia schiacciare e non cerca neppure paradisi paralleli, tanto promettenti quanto illusori. Quello che abbiamo sentito sull’uso di cocaina da parte di numerosi professionisti della Treviso-bene è un segnale inquietante di una terra che non ci basta e di un cielo che non è tale. Un tempo l’uso delle sostanze era legato all’universo giovanile; oggi invece interessa anche il mondo degli adulti che in tal modo consegnano alle giovani generazioni il vuoto che loro appartiene. Alcune famiglie in questo tempo mi hanno detto che stanno riscoprendo la gioia della messa domenicale. Grandi e piccoli. È un segno di cielo. E a me si stringe il cuore quando una ragazza di quinta elementare mi dice che non ci può venire perché il papà la domenica ha sempre mal di pancia e la mamma le dice che bisogna fare un fioretto. Ma quale fioretto? Questo è il deserto che avanza! Che cosa consegni per la vita a tua figlia? Il buscopan? Come i pastori, lasciati condurre dal cielo.

3.    L’umanità custodita di Maria e Giuseppe. Il vangelo di Natale è carico di tenerezza e di protezione che contrastano un rifiuto. Ce lo dice quel versetto tanto intenso quanto drammatico: lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. Il Figlio di Dio che nasce incontra il rifiuto, il tutto esaurito; ma a fronte di questa chiusura ci sono mani che si prendono cura, fasciano, cercano un giaciglio per accogliere un bambino. L’uomo vero è in questi atteggiamenti di accoglienza, di premura, di solidarietà: sentimenti nei quali Dio stesso si riconosce. Che società è quella che non trova dimore per i poveri e costruisce casse da morto per i cani? Con tutto il rispetto per l’imprenditoria locale, c’è qualcosa che non funziona, che ci disumanizza. Quel bambino che nasce viene a ricordarci di chi siamo immagine: del Dio dell’amore. E solo nell’amore ritroviamo noi stessi. La raccolta della solidarietà che abbiamo attivato per Natale, straordinariamente abbondante è il segnale che questa sensibilità non si è spenta e che nell’alloggio del nostro cuore c’è ancora posto per l’altro.

Ecco l’umanità che ha in mente Dio: riconciliata, sveglia, capace di cura. Può essere solo una tregua di natale o può essere la bella notizia che da oggi ci accompagna. E se questo avviene sarà davvero buon natale.

lunedì 22 dicembre 2014

Omelia 21 dicembre 2014


Quarta domenica di avvento

Allora un muratore si fece avanti e domandò: Parlaci della Casa. Egli rispose, dicendo: La vostra casa non sogna? […]

Avete la bellezza, che guida il cuore dagli oggetti di legno e di pietra alla montagna sacra? Ditemi, avete questo nelle vostre case? O avete solo gli agi, e la brama degli agi, quella cosa furtiva ch'entra in casa come visitatrice, e poi diventa ospite, e infine padrona?

La casa è l’immagine della vita. se la casa non sogna neanche la vita sogna. Se la bellezza di una casa è solo esteriore, gli agi diventano padroni. Che casa stai costruendo? Davide dopo aver consolidato il suo regno pensa di costruire una casa per il Signore. Consulta il profeta Natan al quale l’idea sembra proprio bella. «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma proprio il profeta l’indomani si reca da Davide con un messaggio da parte di Dio: non sarà Davide a fare una casa per il Signore, ma il Signore farà una casa a Davide. Inizia una storia di fedeltà nella quale Dio si legherà a Davide e ai suoi discendenti. Maria è l’ultima pagina di questa storia, la casa che Dio stesso si prepara per l’ingresso del suo Figlio nel mondo. E in quella casa possiamo riconoscere anche casa nostra, il modo con cui Dio sogna la nostra vita con lui. Di che casa si tratta?

1.     È una casa gioiosa. Rallegrati, Maria! Kaire. Pensate alla bellezza di questo Dio che entrando sulla scena del mondo non dice: inginocchiati, prega, ubbidisci, fa’ questo, fa’ quello. Il biglietto da visita di Dio è la sua gioia. In questa settimana abbiamo seguito i comandamenti commentati da Benigni. Pensate a come l’attore sia riuscito a farcene intuire la bellezza e la progettualità gioiosa, anche con qualche battuta. A volte noi pensiamo ai comandamenti come ad una sorta di macigno che grava sulla nostra vita. Invece il comandamento vuole presentarci un Dio inedito alleato della felicità degli uomini: un Dio geloso, che ama e chiede di essere riamato, che «non vuole entrare nelle nostre teste ma nei nostri cuori». Un Dio che non tollera che nel suo nome, «invano», si celebrino guerre e sopraffazioni e violenze di qualsiasi tipo. Un Dio che non vuole essere usato invano perché non vuole che sia vana la nostra vita. Questa è la casa che Dio ha in mente. Rallegrati.

 

2.    È una casa in cui trova posto anche la domanda. Si domandava che senso avesse un saluto come questo. La casa sta in piedi sulla base di una certa intelligenza. Un architetto si interroga, studia, approfondisce. La fede non spegne il cervello. Pensate all’iniziativa di un giornale come Il Manifesto che giovedì scorso ha lanciato un “appello per un muro laico all’università”, prendendosela ancora una volta col crocifisso alle pareti. Ecco, mentre in America è caduto un muro tra Stati Uniti e Cuba con la fondamentale mediazione della S. Sede, riconosciuta da entrambi gli stati, noi ci facciamo promotori di nuove muraglie ideologiche sulla base dell’idea che credere sia un atteggiamento opposto alla ragione. Ma l’universitas non è tale perché abbraccia tutti i saperi? E c’è solo il sapere del microscopio o anche il sapere della fede? Gli architetti a volte costruiscono in maniera audace: non capisci come la casa si regga, eppure ci sono equilibri nascosti che consentono la stabilità. Interrogati, esplora, vai a fondo. Trova gli equilibri di Dio.

3.    E infine la casa di Dio è fatta di disponibilità. Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola. La casa di Dio è una costruzione che continua a crescere con la partecipazione degli uomini, secondo la parola, secondo il suo progetto. Abbiamo sentito in questi giorni notizie terribili che riguardano i bambini trucidati in Pakistan. Un fatto che ci sgomenta. Ma ancor più tristezza ci hanno fatto le forze parlamentari, che di fronte all’eccidio, hanno invitato il presidente del consiglio a occuparsi dei bambini italiani. Persa un’occasione non solo per essere cittadini, ma anche per essere uomini. Che casa stai costruendo? Fa’ in modo che ogni bambino si senta a casa, sia custodito, possa avere un futuro. Ieri è venuto un papà straniero, residente in paese da anni, a dirmi che non manda il bambino a scuola perché con tre figli non ce la fa a pagare la retta. La nostra scuola già opera una quindicina di facilitazioni: se facessimo anche una “adozione” scolastica? Chi rende fecondo il grembo di Maria è lo Spirito, ma non di meno di quel grembo c’è bisogno. Anche noi, grembo di un’umanità nuova!

Parlaci della casa… La vostra casa non sogna? La Vergine Madre ci ricorda oggi il sogno di Dio. Gioia, domanda, disponibilità. Il Signore ci renda sua dimora per accogliere la sua venuta tra gli uomini.

 

domenica 14 dicembre 2014

Omelia 14 dicembre 2014


Terza domenica di avvento

Le testimonianze che in queste settimane arrivano dall’Iraq sono piene di violenza, odio e distruzione. Ma insieme ci raccontano di persone capaci di resistere con la forza della fede. Cristiani che hanno rifiutato la conversione all’Islam come contropartita per rimanere nelle proprie terre anche se sapevano che avrebbero perso tutto e talvolta anche la vita. E quattro adolescenti sono stati decapitati per aver replicato ai loro carcerieri che li invitavano a recitare la shahada, la testimonianza di fede nell’islam: «Amiamo Gesù e seguiamo solo Lui». Parole che scuotono la nostra fede privatizzata e a volte intorpidita e ce ne chiedono ragione. Perché sembra non sia più elegante manifestare le proprie convinzioni credenti: potrebbe creare imbarazzi, non è politically correct. La figura di Giovanni Battista ci ricorda il valore della testimonianza, termine che ritorna per ben quattro volte nel vangelo che abbiamo ascoltato, come se volesse diffondersi sui quattro punti cardinali della nostra vita e dirci che non c’è orizzonte escluso da tale esigenza. Chi è il testimone?

1.    Anzitutto è chi che non si limita a qualche forma di assenso ma che accetta di collocare l’intera sua identità in relazione alla fede: «Tu chi sei? Che cosa dici di te?». È un capitolo importante e qualche volta trascurato come se rispondere alle questioni della fede fosse opzionale. Oggi ad esempio capita con una certa frequenza che, mentre si sta costituendo una relazione di coppia, la dimensione credente venga percepita come marginale. E questo non capita solo con persone di altre religioni ma anche tra cristiani, uno dei quali si dimostra un po’ indifferente. E allora per non creare tensioni non si affronta il capitolo, lasciandolo incustodito o nascondendolo dietro all’idea che l’importante sia volersi bene e che per stare insieme sia necessario rinunciare a …qualcosa. Uno rinuncia al calcetto, l’altro rinuncia alla messa! Ma sono uguali le prospettive che dischiudono calcetto e messa? Che cosa tiene in piedi la tua vita? Che cosa indicherai a tuo figlio? C'è un documento del IV secolo che riporta il processo di un gruppo di cristiani arrestati ad Abitene per essersi riuniti di domenica. Quando il magistrato romano li interroga, essi rispondono: Sine dominico non possumus. Che vuol dire: non possiamo stare in piedi. E vanno al martirio. Non è una questione di opportunità ma di identità. Chi sei? Ritrova la tua identità in relazione alla fede.

2.    Altro aspetto su cui possiamo riflettere è il fatto che Giovanni Battista alle domande che gli vengono rivolte risponde con una serie di negazioni: «Tu chi sei?». «Io non sono… il Cristo, Elia, il profeta». Il testimone è riflesso di una luce non sua. A volte ci immedesimiamo così tanto nella parte del salvatore che rischiamo di sostituirlo. Iniziamo a fare qualcosa e ne veniamo assorbiti. A volte sono gli altri che ci mettono in questo ruolo, come un genitore che è preso sempre più dalle richieste dei figli che se ne approfittano, mentre il partner rimane un po’ indifferente. E la situazione ad un certo punto ci fa scoppiare. Anche nel volontariato può accadere: uno entra in una associazione e gli si scarica addosso tutto il lavoro o un certo tipo di lavoro, quello che nessuno vuole fare. A volte però queste consegne gravose trovano la complicità dell’interessato nel quale scatta un certo autocompiacimento, fino al paradosso di allontanare gli altri. Solo io so fare alcune cose. Ah, se non ci fossi io! Corriamo il rischio di occupare tutta la scena e di metterci al posto di Dio. Giovanni dice: In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete. Rifiuta le identificazioni con Dio e smetti di autocelebrarti. C'è qualcun altro da conoscere e da accogliere. Lui deve crescere dirà Giovanni, io diminuire.

3.    Infine il testimone è voce. A volte noi un po’ snobbiamo la testimonianza delle parole perché ci sembra che servano i fatti. Invece Giovanni sa che la voce è importante. La voce non è la parola, ma senza la voce la parola resta muta. La testimonianza ha bisogno della voce. Quale voce? Giovanni è voce che grida nel deserto. Ecco, forse oggi ci è chiesto proprio questo: nei deserti della vita, gridare le ragioni di Dio. Pensate al Natale ormai vicino, alla sua organizzazione anche a casa nostra. Lo accompagniamo con quali parole? Quelle del cinepanettone e degli acquisti o parole che dicano accoglienza, responsabilità, gratitudine, gioia? Con i figli, ad esempio. A volte è controproducente il richiamo di andare a messa, ma la voce può essere usata non solo per dire “ci devi andare”, bensì per raccontare quanto importante lo sia per la tua vita. Voce che diventa testimonianza non comandi.

Venne come testimone della luce. Ci aiuti il Signore ad essere testimoni coraggiosi e lieti. Ci aiuti a dire come quei giovani iracheni: «Amiamo Gesù, seguiamo lui solo».

lunedì 8 dicembre 2014

Omelia 7 dicembre 2014

Seconda domenica di Avvento
Una holding criminale romana che spaziava dalla corruzione all’estorsione, dall’usura al riciclaggio, con infiltrazioni nel tessuto imprenditoriale politico e istituzionale. Ma la cosa che colpisce più dolorosamente è il riferimento agli immigrati, trattati come una gigantesca operazione di marketing: «Tu hai idea di quanto si guadagna sugli immigrati? Il traffico di droga rende di meno. Noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di fatturato».
Per quanto situazioni simili siano state già smascherate, per quanto da più parti si denunci e si incrimini chi agisce senza scrupoli nel mondo dell’illegalità, sembra che certe logiche non muoiano mai e si faccia fatica a credere in un possibile cambiamento.
Ma il problema non riguarda solo il palazzo e le sue clientele. Anche noi vediamo che facciamo fatica a staccarci da alcune dinamiche che si imprigionano. In famiglia, nel mondo del lavoro. E ci troviamo ad essere quelli di sempre.
È provocante allora il modo con cui l’evangelista apre il suo racconto. Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. A nessuno verrebbe in mente di iniziare un compito in classe così; vuol dire che l’evangelista vuol dirci qualcosa tra le righe. In greco infatti quella parola inizio risuona con un termine assai importante: archè. Archè è la prima parola della bibbia, quando Dio in principio crea il cielo e la terra. Ecco quello che sta dicendo l’evangelista: è possibile ricominciare, nella vita può iniziare qualcosa di nuovo, una nuova creazione. Come?
1.    E' possibile se trovi il doppio complemento di specificazione che segue l'inizio. Inizio del vangelo di Gesù Cristo. Non credere a chi ti parla di una novità diversa, perché c’è il rischio di trovarti davanti a un venditore di fumo. Notate che quel termine vangelo era già presente nella letteratura pagana e Marco, che scrive nel 68 ha presente una celebre iscrizione di Priene in Asia Minore nella quale la nascita di Ottaviano è salutata proprio così: come inizio del vangelo. Quando Marco scrive, cinquant’anni dopo la morte di Ottaviano, sono già passati parecchi imperatori, di cui otto morti di morte violenta. La nascita di Augusto dunque non è stata l’inizio del mondo nuovo, della bella notizia. Dove cerchi allora il tuo vangelo? La vicenda ancora dai contorni nebulosi di quei ragazzi inquisiti per aver diffuso materiale relativo a rapporti sessuali di una loro coetanea, al di là del fatto triste e grave, ci dice che oggi viviamo in un clima dove vangelo è la pretesa di fare della sessualità la grande esigenza della vita. E se tu non rispetti questo vangelo e non mostri di osservarlo rischi di essere out. Peccato che quella che inizialmente appare come buona notizia poi ti lasci povero e nudo. Trova il vangelo vero.
2.    Quel vangelo però è legato a un annunciatore: Ecco io mando davanti a te il mio messaggero. Le cose cambiano nella vita se ci mettiamo in ascolto di Dio e di chi se ne fa espressione. Giovanni è questa voce che grida le ragioni di Dio. Lo fa nel deserto, luogo caro alla memoria di Israele, luogo di purificazione e di essenzialità. Vuoi cambiare? Che voci ascolti? Le chiacchiere? Il pettegolezzo? I luoghi comuni? O la voce che va di moda? Giovedì 27 su Repubblica c’era un articolo di Catherine Deneuve, grande sostenitrice dell’interruzione della gravidanza, che si compiaceva di questo diritto acquisito dalle donne. Mettere in dubbio il diritto all’aborto è un fatto gravissimo – dice l’attrice - e i movimenti per la vita sono un’aberrazione. Ma quello che sconvolge è un’altra affermazione: Mettere in dubbio questo progresso fenomenale è come se volessimo ripristinare la pena di morte. Ma la pena di morte è quella a cui ci esporrebbe la condanna dell’aborto o è quella che ogni anno viene inflitta a 40 milioni di esseri umani? Voce che grida nel deserto. Quali voci ascoltiamo?
3.    Ecco allora il terzo invito, legato al gesto di Giovanni e al suo battesimo. Se traducessimo bene quel verbo accorrevano dovremmo dire meglio: uscivano. Usciva verso di lui tutta la regione della Giudea e gli abitanti di Gerusalemme: tutti. Il Giordano è il fiume che segna l’ingresso in Palestina dopo l’esodo. Ora sembra che ci sia un esodo alla rovescia per ritrovare Dio, la sua azione, le sue promesse. Nei giorni scorsi ho partecipato all’incontro per il 30° anniversario degli alcolisti anonimi. È stato bello sentire le loro testimonianze, perché anche il loro è stato un esodo per ritrovare l’abbraccio di Dio e degli altri, per ritrovare una sorgente diversa da quella della bottiglia. Dove sta il cambiamento? Nel ritrovare l’abbraccio di Dio, la sua consolazione, le sue promesse, anche quando ti sembra impossibile.
L’avvento è il tempo dell’impossibile realizzato, dei deserti che fioriscono, della novità che sorprende. Preparate la strada del Signore! Ma quella strada, intanto, la sta già preparando lui!

domenica 30 novembre 2014

Omelia 30 novembre 2014


Prima domenica di Avvento

Avete sentito martedì il discorso di Papa Francesco a Strasburgo, al Consiglio d’Europa. Parole di grande profondità che non hanno risparmiato le domande: All'Europa possiamo domandare: dov'è il tuo vigore? Dov'è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione? Il vecchio continente appare a volte un po’ addormentato, narcotizzato dalle suggestioni di una modernità che lo porta a dimenticare le sue radici. E il cristianesimo che ha segnato la nostra civiltà si trasforma in una sorta di minaccia per la democrazia e la libertà. Fate attenzione, afferma Gesù, vegliate. C’è il rischio che perdiamo di vista l’essenziale, che limitiamo gli orizzonti della storia e della vicenda umana, che confondiamo la nostra stessa identità. L’avvento è il tempo della vigilanza, non per salvaguardare un assetto ma per ritrovare l’uomo. Questo sta a cuore a Dio. Che significa vigilare?

1.    Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. Vigilanza vuol dire vivere in maniera nuova il tempo Il termine greco è molto importante: l’evangelista non utilizza la parola cronos, ma la parola kairos. La prima indica il tempo degli uomini, la cronaca. Kairos indica invece allude a un tempo aperto al mistero, alla sorpresa di Dio.. Cronos nella mitologia greca è una divinità che mangia i propri figli. E qualche volta il tempo ci mangia davvero: ci morde, ci tritura, ci consuma. Mi ha fatto riflettere quello che mi ha riferito un addetto alle vendite in un grande negozio di Castelfranco. E’ andato a un corso di formazione dove un manager venuto dall’America insegnava il nuovo credo del commercio. Esserci, a tutte le ore, via i vecchi che sono poco duttili, la domenica è un giorno che farà superare la crisi… Ma intanto la crisi si abbatte a casa nostra, sui rapporti, sui figli che non ti vedono, sull’assenza di assoluto. Ecco cronos che torna a mangiare i suoi figli. L’unico modo perché cronos non abbia la meglio è quello di aprire il kairos, le prospettive dell’eterno. Magari proprio dalla messa domenicale. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Qui il Signore scende.

2.    È come un uomo che è partito e ha dato il potere ai suoi servi. Vigilanza vuol dire esercitare un potere, una responsabilità. Dio non vuol fare tutto lui: ci coinvolge, ci rende partecipi dei suoi progetti. Ma con precisione: A ciascuno il suo compito. Fuggi l’approssimazione, la superficialità: il tuo servizio in parrocchia, la tua scuola, il tuo lavoro...  Ma fuggi anche il tentativo o la tentazione di sostituirti all’altro. A volte questo accade. Avete sentito quel che è capitato a Treviso. Un ragazzino di seconda media si è gettato da una decina di metri per un brutto voto a scuola. Non sappiamo che cosa succeda nella testa di un ragazzo per giungere a un simile gesto, né possiamo incriminare la famiglia o la scuola. Ma a volte i genitori che si sostituiscono ai ragazzi, che li difendono ad oltranza, che tolgono sempre le castagne dal fuoco li portano a non essere più in grado di gestire il limite, l’insuccesso, la fatica. E un’insufficienza si trasforma in un dramma. Vigilanza è riconoscere il compito che ci è affidato, ad assumere le proprie responsabilità anche quando alcune scelte possono renderci impopolari.

3.    Infine vigilanza vuol dire abitare un’ora particolare. Alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino. Sono le quattro ore della notte ebraica, dal crepuscolo all’alba. Che differenza c’è? Le prime due ore introducono la notte, le altre ne indicano la fine. A volte devi vigilare mentre scende l’imbrunire. E lo devi fare in silenzio. Penso a chi passa una notte in ospedale per fare assistenza a un malato. È la vigilanza della pazienza, della carità, del dono, dove c’è poco da dire e molto da vivere. Altre volte devi vigilare mentre intravedi l’alba; ma in questo caso lo devi fare proclamando la luce, come il canto del gallo. Ai cristiani a volte è affidata anche questa responsabilità: quella di dire che il Signore è risorto e che la storia corre verso di lui.

Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Il Signore ancora una volta risponde a questa invocazione. Il tempo dell’avvento è l’occasione per aprire tale breccia, la vigilanza l’occasione per poterlo riconoscere.

lunedì 24 novembre 2014

Omelia 23 novembre 2014


Cristo Re 2014

Abbiamo visto in questi giorni le immagini legate all’aggressione dell’autista di un autobus di linea da parte di un gruppo di ragazzi che non avevano pagato il biglietto. L’accerchiamento, l’atteggiamento di sfida, la violenza sembrano andare al di là del biglietto non pagato e affermare l’esistenza di un territorio dove nessuno si può inoltrare, dove qualcuno afferma il proprio dominio. Ecco: sono il re! Le regole le stabilisco io.

Ci sono molte di queste sovranità oggi in circolazione, qualcuna anche a casa nostra. Ad esempio bambini che dettano le regole della famiglia ai genitori che ne diventano succubi. Tuo figlio comanda e allarga il suo potere dalla casa alla scuola; l’insegnante ti segnala l’inopportunità di tale atteggiamento e tu attacchi il docente di fronte a tuo figlio o ti permetti di dire all’insegnante che, se non sa fare il suo mestiere, cambi lavoro! Tu pensi di stabilire un’alleanza con tuo figlio, di garantirti il suo affetto, magari anche la sensazione di essere un genitore moderno. Non ti rendi conto che ti sta usando e che allargando progressivamente il suo raggio d’azione ad un certo punto anche tu gli darai fastidio e a quel punto non ci sarà più margine di manovra educativa.

Ecco, nella vita bisogna regnare, bisogna diventarne padroni: ma c’è una sovranità che diventa tirannia e una che invece costruisce stabilità. Gesù ci insegna questa regalità. In che modo? Come regna Gesù? Il vangelo che abbiamo ascoltato ci aiuta a capirlo.

1.    Si siederà sul trono della sua gloria. Il termine “gloria” nella bibbia allude a qualcosa di consistente, di pesante. La gloria di Dio è qualcosa di solido. Regni con lui se fai scelte che pesano, che reggono la vita. Impara a costruire qualcosa di grande e di stabile che non venga spazzato dalla prima folata di vento. Pensate ad esempio a quanto incide la percezione della bellezza nella vita di un adolescente di oggi. Mentre un tempo la vita era condotta dalla ricerca di alcune idealità valoriali, oggi un ragazzo è spesso angosciato dal modo con cui appare e può vivere come una tragedia il fatto di non sentirsi in sintonia con gli standard estetici di oggi. Non sono bello. Ecco: bisogna ritrovare il peso generale di sé, la bellezza fuori e quella dentro, la tua interiorità. La Giornata del Seminario ci richiama questa opportunità. Siamo belli non perché rientriamo nelle misure stabilite dalle passerelle ma perché la vita ci appartiene, ci vede con tutto ciò che siamo e diamo, con la possibilità di scegliere.

2.    Allora egli separerà. Il regno inizia con un gesto di discernimento, di distinzione. Non tutto è sullo stesso piano o ha lo stesso valore. A volte la nostra vita è un susseguirsi di interventi che si mescolano e sfuggono al nostro controllo. E il regno lascia spazio al disordine, alla confusione. Pensate alla facilità con cui talvolta parliamo degli altri. Sappiamo tutto di tutti e quello che non sappiamo inventiamo. Ce la prendiamo con i ragazzi che si rifugiano nel mondo virtuale ma il mondo in cui navighiamo noi adulti anche senza computer non è meno preoccupante. Le chiacchiere, i commenti, i condimenti pepati. Ci pare che in tal modo manteniamo il regno, il controllo sulla vita del paese. E invece generiamo ombre, sospetti, diffidenze. Allora egli separerà. Impara ad usare il discernimento in quello che dici e in quello che ascolti. Impara a custodire le confidenze, a valutare il peso delle notizie, aiuta chi deborda a ritrovare gli argini. E inizia a promuovere il bene. Venite benedetti. Allora regni.
 
3.    Gesù regna perché utilizza la forza più potente che esiste: quella dell’amore. E Gesù sposa a tal punto questa logica che per sempre si nasconderà in essa: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete… Ama, dice Gesù, e fallo nella concretezza dell’aiuto che offri agli altri perché se pensi di regnare senza l’amore, altri regni prendono il sopravvento: egoismo, chiusura, tornaconto, l’indifferenza. Solo l’amore sconfigge questi regni alternativi. Abbiamo sentito in questa settimana il discorso del Papa ai partecipanti al Festival della Dottrina Sociale: Si dice che non ci sono soldi per creare lavoro, ma il denaro per acquistare armi si trova; per fare le guerre, per operazioni finanziarie senza scrupoli, si trova. Ecco che regno nasce senza l’amore: un regno di ingiustizia, di distruzione, di morte. Con l’amore non possiamo risolvere tutti i problemi che abbiamo: la nostra Caritas che ogni sabato distribuisce viveri e vestiario vede arrivare quella gente anche il sabato dopo. Ma i poveri – che, come dice Gesù, avremo sempre con noi – ci vengono forse dati non tanto per risolvere i loro problemi, quanto per rispondere ai nostri, perché non perdiamo l’occasione di essere uomini e per esserlo nell’unico modo possibile, quello di amare e di farlo con la concretezza dei gesti.

Ecco la regalità che Dio ha in mente. Dobbiamo stare in guardia da quello che ce ne allontana, ma siccome alla fine tutti saranno stupiti, giusti e ingiusti, possiamo sperare che essa sia stia crescendo dentro di noi e ci renda un po’ più simili a Gesù. Con nostra stessa sorpresa. 

sabato 22 novembre 2014

Omelia 16 novembre 2014


Trentatreesima domenica del T. O.

C'è un ritornello che torna di frequente nelle considerazioni economiche di questo tempo: tornare a investire. E ci si chiede dove e in che modo, a motivo di una situazione che ci sembra incerta. Così il nostro disorientamento finanziario diventa disorientamento della vita e facciamo fatica a investire anche con Dio. Il vangelo di questa domenica però ci richiama un’esigenza importante: se non si investe si perde tutto. A chi ha verrà dato e sarà nell’abbondanza, a chi non ha sarà tolto anche quello che crede di avere. A volte pensiamo che la fede abbia una vita propria a prescindere dalle nostre responsabilità. In realtà la fede non esiste. Esiste il credente che la accoglie e la fa fruttificare. Non lasciare dunque inattivo il dono di Dio.

La parabola dei talenti ci aiuta a capire come funziona l’investimento della fede.

1.    Anzitutto c’è un uomo che parte per un viaggio e che affida ai suoi servi il suo patrimonio: i talenti. Un talento corrispondeva a circa 26 chili di argento, sufficienti per pagare l’equipaggio di una nave con tre file di rematori per un mese. Il talento dunque è qualcosa di prezioso, che fa avanzare la barca della vita. Il talento è il dono della fede, della vita che il Signore ti ha donato. È di questa ricchezza che talvolta non ci rendiamo conto. Mentre infatti una volta la fede era contrastata, anche in termini accesi e aggressivi, oggi essa subisce una sorta di deprezzamento culturale e viene consegnata all’irrilevanza. Hai un patrimonio che non ti dice più nulla: ciò che vale ti sembra collocato altrove. Altre volte la fede subisce il fenomeno vintage, come avviene per i nostri arredi: fai una casa moderna, ma ci metti un mobile antico, magari ritinteggiato di bianco. È lì in un angolo, magari ti serve anche a qualcosa, ma capisci che la vita è altrove. Ma non si tratta di valori, di istruzioni per l’uso. Questi sono in molti a darteli. La fede è incontro con il Signore, con il Vivente. Questo è il talento. Come ha fatto capire un anziano della nostra comunità quando il ministro straordinario gli ha portato l’eucaristia. Son qua quelli della comunione, gli ha detto la figlia. No. È qui il Signore, ha risposto lui. Ecco il talento prezioso.

2.    Consegnati i talenti l’uomo parte. È l’immagine di Gesù risorto che ritorna al padre. Un Dio che non ti sta col fiato sul collo. Ti consegna un dono e lo affida alla tua cura, alla tua responsabilità. Mettici fantasia, creatività, impegno: ma sta a te inventare qualcosa. I talenti infatti non sono le capacità, ma vengono dati secondo le capacità. Mi pare molto affascinante questo aspetto, perché anche le cose più semplici possono essere preziose per Dio. Sei stato fedele nel poco, ti darò responsabilità su molto. Cosa sai fare? Non ti preoccupare se ti sembra poco. Mettilo a servizio di Dio e dei suoi progetti. Vi ricordate quello che ha detto Sr. Cristina la prima volta che è andata a The voice? «Ho un dono, ve lo dono». E lo ha donato in un contesto assolutamente lontano dall’ombra del campanile. Ecco, ci fa capire il Signore, fa in modo che le tue capacità traffichino vangelo: in parrocchia, nel gruppo, ma anche quando sei a scuola, al lavoro. Non importa il quanto, ma il come. L’immagine di quella donna della prima lettura che cura attentamente le faccende di casa ci fa capire che c’è anche una modalità famigliare per essere servi attenti e fedeli.

3.     Infine c’è qualcosa che blocca gli investimenti. È quello che dichiara il servo che è andato a sotterrare il talento: Ho avuto paura, La paura ci paralizza. Paura di che cosa? Due paure: sei esigente – mieti dove non hai seminato. La prima paura nasce dall’idea che ci siamo fatti di Dio. A volte ci pare troppo duro, severo, pretenzioso. Ma questo sei tu, non lui. A lui basta anche il tuo poco, fatto con responsabilità e amore. La seconda paura nasce dal suo modo di fare: raccoglie dove non ha sparso. Dio è padrone dell’impossibile e devi credere che questa è la logica nella quale ti coinvolge anche se talvolta non ti pare ragionevole. Impiegare i talenti vuol dire accettare di percorrere strade un po’ strane. Oggi inizia il corso fidanzati. 18 coppie contro le 28 degli anni scorsi. Un dato che si allinea con le statistiche diffuse qualche giorno fa dall’Istat: dal 2008 al 2013, in Italia ci sono stati 53mila matrimoni in meno. Sentite che in questo calo c’è molta paura: della crisi, della solidità di quello che si fa, dell’altro. Come vincere questa paura? Bisogna vedere se le risorse di cui disponiamo siano solo il controllo o anche la fede in chi fa crescere anche in terreni dove sembra impossibile. Il talento rende se lo impieghi. Non dare fiducia alla paura più di quanta tu ne dia a Dio! E torna a investire con lui.

Prendi parte alla gioia del tuo padrone. L’investimento cristiano non è funzionale all’impegno ma alla gioia. Ci aiuti il Signore a intravederla e a disseppellire il talento nascosto.

lunedì 3 novembre 2014

Omelia Defunti 2 novembre 2014


Defunti 2014

Perché si sono diffusi così velocemente i festeggiamenti di Halloween? Perché non solo ai ragazzi ma anche agli adulti piace vestirsi da zombie, cospargersi il volto di fondotinta bianco e piazzarsi un’accetta sulla schiena? Perché la realtà della morte ci inquieta e cerchiamo in tutti i modi di esorcizzarla, a costo di diventare ridicoli. Non serve prendersela con Halloween. Bisogna leggere il problema in profondità perché è l’ultima manifestazione di un vuoto che tentiamo di camuffare sperando che non vedendolo cessi di esistere. L’indagine condotta dall’Osservatorio Religioso del Triveneto un paio di anni fa, in occasione del Convegno di Aquileia, dimostra che a Nord-Est, a fronte di una popolazione cattolica che si attesta al 75%, chi crede nella risurrezione e nell’aldilà è solo il 27%. Che sta succedendo?

1.    La prima considerazione riguarda il cuore della nostra fede. Se perdiamo di vista la risurrezione che ne è del cristianesimo? C’è il rischio di farne una sorta di umanesimo, buone azioni e buoni consigli per la vita. Ma queste prospettive possono offrirle in molti e forse anche in maniera più convincente ed efficace di noi. I discepoli di Gesù non distribuiscono volantini accattivanti ma la speranza che dà vita. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Parole dirompenti che ci riconsegnano il fondamentale annuncio cristiano: Io so che il mio redentore è vivo e che ultimo si ergerà sulla polvere. Credi a un Dio vivo che dà vita o ne hai fatto una pagina innocua e evanescente?

2.    Ma come è possibile pensare la risurrezione? C’è un’esperienza umana che forse più di ogni altra ce ne parla. È quella del parto. Non si può certo dire che il bambino nel grembo della madre manchi di autocoscienza: le ricerche dimostrano che si muove in base a ciò che percepisce. Ma si tratta di una percezione parziale rispetto a quella che avrà in seguito, con la nascita. Eppure, mentre se ne sta nel pancione, quel mondo è tutto per lui e pur udendo voci e suoni, pur essendo trasportato da un luogo all’altro il grembo è la misura del mondo. E dunque, se la vita poi ci riserva la sorpresa della nascita, perché escludere che ci possa essere un’altra nascita capace di regalarci dimensioni ancora più grandi? Nella gestazione terrena siamo di una madre, in quella eterna siamo di Dio: E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nessuno. Gesù è disceso nelle profondità della morte per non penderci. Chi ci separerà dal suo amore?

3.    Infine potremmo chiederci: ma come sarà? Ci si vedrà? Ci si riconoscerà? Non dobbiamo perdere di vista che c’è un’unica grande forza che sconfigge la morte. Quella che usa Gesù per distruggerla: l’amore. La morte regna dove c’è odio, chiusura, indifferenza, malvagità. Gesù porta nel cuore della morte qualcosa che ad essa si oppone e la rende impotente. L’amore diviene dunque la condizione della vita risorta. Ma se è l’amore ad avere la meglio, l’amore è rispettoso di ciascuno, non cancella le identità, l'individualità. E allora nella risurrezione ci si riconoscerà e riconosceremo anche tutto ciò che di bello, di buono e di vero che abbiamo vissuto. 
 
     Altro che zucche vuote: di vuoto per il cristiano c'è solo la tomba di Gesù, varco verso la vita nuova che lui ha inaugurato. Per i nostri cari che ha chiamato con sé e per ciascuno di noi.
 

 

 

 

 

 

 

giovedì 30 ottobre 2014

Omelia 26 ottobre 2014


Trentesima domenica del T. O.

In questi giorni si è rotto il cancello della canonica. Un piccolo perno su cui girava il battente si è inclinato, con il rischio che crollasse il pesante portone. È quello che capita nella nostra vita: qual è il perno su cui gira? Com'è messo?

È quello che il dottore della legge chiede a Gesù: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». La legge di Israele dai dieci comandamenti si era diffusa in una serie di oltre seicento prescrizioni e divieti che soprattutto i farisei osservavano scrupolosamente. In questa complessità di riferimenti era necessario trovare il perno: qual è dunque la cosa importante? Qual è il grande comandamento? Gesù risponde.

Il grande comandamento è ama. Vuol dire che quello che fa girare correttamente l’esistenza è l’amore. A volte pensiamo che quello che ci regge sia il lavoro, l’idea che il guadagno sia fondamentale, che sia garanzia di futuro, di stabilità. E non ci rendiamo conto che quel lavoro ci sottrae alle persone care, proprio quelle che vorremmo fare felici. Crediamo che il nostro darci da fare corrisponda ad una scelta d’amore, ma non è sempre così. Gesù allora non ci dice semplicemente di amare, ma di amare in una certa maniera.

1.     Anzitutto amare Dio. È Dio che per primo ci ama, ma il suo amore ci aiuta ad aprire anche il nostro alle misure più grandi. Grandi come Dio. Non soffocare mai l’amore, non restringerlo. Perché se ami Dio tutto viene disegnato dall’amore: il cuore, la mente, la volontà. Pensate alle volte in cui l’amore si restringe alle budella e conduci gli affetti unicamente sulle strade delle emozioni: mi piace/non mi piace mi sento/non mi sento. L’amore non può essere solo una percezione: è desiderio, è progetto, è volontà, è costruzione. L’amore di Dio ti mette nella direzione del tutto, ti salva dalla parcellizzazione dall’amore vissuto a metà.

2.     Il grande comandamento continua in un secondo che è simile al primo. Simile vuol dire che la logica è la stessa, che la solidità che cerchi va individuata nella concretezza dei rapporti con gli altri, facendo posto all’amore di Dio. Diventa simile a Dio amando gli altri come lui, altrimenti l’amore è uno spot pubblicitario. Come ama Dio? Ce l’ha suggerito la prima lettura: Non molesterai il forestiero, né l’opprimerai perché voi foste forestieri nel paese d’Egitto. Dio ha un cuore senza confini. Se tu presti denaro all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio. Dio ha un cuore che non pretende pagamenti né interessi. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta. Dio ha un cuore pieno di compassione. Come sono diversi questi gesti da quelli suggeriti in questi giorni da due insegnanti di Torino che ai loro alunni di terza elementare hanno dato come tema: Chi uccideresti per primo, il papà, la mamma o il fratello? Qual era l’obiettivo di questo intelligente compito in classe? Abituare i bambini a prendere decisioni difficili? La decisione difficile non è sbarazzarsi degli altri ma voler loro bene e credere che l’amore ci tiene in piedi.

3.     Ma c’è anche un altro amore da considerare. Come te stesso. Amerai il prossimo tuo con la stessa intensità con cui custodisci te stesso, la tua vita. Tu riesci ad amare se ti ami, se ti prendi cura di te. A volte questo non succede e l’orizzonte della vita si incupisce. Ci sono talvolta persone impegnate nel volontariato che si lasciano prendere dai problemi in una maniera così forte che tutto l’orizzonte si oscura; cominciano a lamentarsi e anziché comunicare energia comunicano la loro rabbia o la loro tristezza. Con chi ce l’hai, che c’è nel tuo cuore? Altre persone poi usano le attività per nascondere un vuoto: da dove stai fuggendo, cosa stai cercando? Pensate anche alla vita di coppia, di famiglia: a volte ci sono delle mancanze di rispetto che per il quieto vivere vengono accettate silenziosamente. Amare l’altro non vuol dire accettare acriticamente ogni suo comportamento. Vuol dire ritrovare la propria dignità fatta di convinzioni, di parole e di gesti. Solo se trovi te stesso l’altro ti può trovare. Altrimenti trova un fantoccio o un suddito o uno schiavo.
 
Dove gira la tua vita, su quale perno? Qual è il grande comandamento? Bello però il fatto che Gesù coniughi al futuro: amerai. È un cammino aperto che pazientemente si disegna ogni giorno.

domenica 19 ottobre 2014

Omelia 19 ottobre 2014


Ventinovesima domenica del Tempo ordinario

Anziano raggirato da falsi funzionari, automobilista ingannato dalla truffa dello specchietto. Quante sono le insidie che ogni giorno ci raggiungono? Qualcuno ti spinge su un terreno insidioso senza che te ne accorga e ad un certo punto scatta la trappola. Succede anche a Gesù. Dopo che i farisei non sono riusciti a metterlo in difficoltà con il dibattito teologico ci provano con quello economico. Quando si parla di soldi siamo tutti vulnerabili: chissà che si possa incastrare Gesù. Ecco dunque la domanda: E’ giusto o no pagare il tributo a Cesare, lo dobbiamo pagare o no? Notate che la domanda è posta dai farisei e dagli erodiani. I primi mal sopportavano la dominazione romana, i secondi invece la sostenevano. Se Gesù avesse detto di pagare sarebbe sembrato un alleato del potere imperiale, se avesse detto di no poteva apparire un rivoluzionario, una testa calda. Questa situazione a volte ci appartiene perché le parole di Gesù sono scomode e il tentativo di cercare dei sotterfugi è sempre in agguato. Come ne esce Gesù? Che cosa ci fa capire?

1.    Anzitutto smaschera l’ipocrisia dei suoi interlocutori. Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?». Ci sono pagine del vangelo che indicano una strada impegnativa. La legalità, la correttezza economica, la coerenza sul piano professionale. Pensate ad alcune situazioni lavorative: in base alla legge chiedi il permesso di assistenza di un familiare malato e ti assenti dal lavoro costringendo azienda e colleghi a coprire il tuo turno. Una buona cosa, se non fosse che in realtà hai un altro lavoro e quel familiare è solo un espediente per fare i tuoi interessi. E quando qualcuno te lo fa notare ti nascondi dietro alla persuasione che “in Italia va così”, che i politici sono i primi a dare questo esempio. L’Italia va così perché tu vai così. In realtà percepisci che c’è un’ipocrisia di fondo che va riconosciuta perché non succeda che, volendo mettere in trappola l’altro, finisci in trappola tu. Chiama per nome i tuoi sotterfugi.

2.     Ma non si tratta solo di sotterfugi. C’è un pericolo ben più grande. Gesù infatti chiede una moneta. Ed essi gli presentarono un denaro. Nel conio c’era l’effige di Tiberio con la scritta pontifex maximus. Ora Gesù si trovava nel tempio e in tale luogo quella moneta non poteva entrare: Israele sa bene che c’è un unico Dio e che gli imperatori non devono prenderne il posto. All’ingresso del tempio c’erano infatti i cambiavalute. Come dunque quella moneta è rimasta nelle tasche di qualcuno? Ecco il vero pericolo: che il tuo Dio sia il soldo. Il vangelo ti dà fastidio, elimini chi te lo ricorda e non ti rendi conto che qualcun altro prende il posto di Dio, diventa il tuo nuovo vangelo. Che cosa c’è a fronte alla tentazione di alcuni nostri ragazzi di interrompere un cammino universitario? Non c’è l’incapacità o l’assenza di prospettive occupazionali, ma il confronto con i coetanei e la ricerca di un’immediata disponibilità economica che consente di avere i 50 o i 100 euro per il sabato sera. Che cosa ti muove nella vita? Che valori indichi? Che moneta metti in tasca di tuo figlio? Quando capitano certe morti siamo tutti costernati, ma non basta. Dobbiamo lavorare a monte e indicare una valuta diversa da quella che sembra prevalere sul mercato del mondo. Perché non c’è quell’unico mercato e c’è il rischio di investire in chi ti promette di arricchire e in realtà ti rende succube. Smaschera l’imperatore.

3.    Ma non si tratta di fare rivoluzioni, né di porre alternative. Ci sono due ordini da riconoscere. A Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. E non sono speculari. Non si tratta infatti di dare ma di rendere, di restituire: e ciò che appartiene a Cesare non è ciò che appartiene a Dio.  Gesù non misconosce l’esigenza di fare i conti con la storia e neppure con un’economia, uno stato, un sistema fiscale. Ma l’effige di Cesare va legata alla ricerca di un’altra immagine, quella che Dio imprime nel volto di ogni uomo, specie nel caso in cui Cesare perda di vista l'uomo e si fissi sulla sua immagine o sulle sue tasse. Restituisci sempre l'uomo alla sua dignità: del suo lavoro, dei suoi legami, della sua terra, Non cadere nella trappola di chi vuole cancellare tale immagine, perché c’è il rischio di non riconoscerla più neppure in te. Giornata Missionaria Mondiale che cos’è? È dare aiuto economico, certo, ma è soprattutto dire ad ogni uomo che è immagine di Dio, che porta impresso i riflessi dell’onnipotente. I cristiani nel mondo sono di questa umanità buona e contro ogni tranello la diffondono e la difendono.