sabato 30 giugno 2018

Omelia 24 giugno 2018


Natività di S. Giovanni Battista

Venezia, ponte di rialto. L’idea di unire le due parti della città attraversando il Canal Grande risale al X secolo, quando era stato realizzato un ponte di barche. A metà del XIII secolo il ponte di barche venne sostituito da una più solida struttura, sostenuta da pali. Nel 1554 la Serenissima pubblicò un bando per la realizzazione di un ponte di pietra. Dopo molte discussioni e polemiche si decise realizzare quello dell’ingegnere veneziano Antonio da Ponte, pensato con un'unica arcata  in modo da permettere agevolmente il transito in Canal Grande. Qualcuno si opponeva, tra cui una donna un po’ focosa che diceva che se il ponte non fosse caduto un fuoco poteva bruciarla. E i costruttori hanno realizzato una piccola scultura che rappresenta fiamme a lambire parti poco nobile della donna.

Realizizare un ponte è sempre una sfida. Forse però non ci sono solo difficoltà pratiche: ve ne sono anche di tipo culturale perché fare un ponte vuol dire ridisegnare la vita, le relazioni tra gli uomini, i confini e non sempre si è disposti a farlo. Non a caso questo è più il tempo dei muri che dei ponti.

La nascita di Giovanni Battista rappresenta un ponte. Un bambino sancisce un passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. E neanche questo ponte è di semplice costruzione tanto che qualcuno rimane scettico, qualche altro prigioniero del passato. Accogliere la novità, i varchi di Dio è tutt’altro che semplice, anche per noi. Quali sono le difficoltà e come si superano?

1.    La prima difficoltà è rappresentata da Zaccaria. Quando l’angelo gli rivela i progetti di Dio e cioè che avrebbe avuto un figlio da Elisabetta, la moglie ritenuta sterile, lui non ci crede. E a motivo di questa mancanza di fede diventa muto. Ma siccome per fargli capire le cose gliele spiegano con i gesti, non doveva essere solo muto, ma anche sordo. Ecco: quando non accogli la novità di Dio diventi sordo e muto. Rimani prigioniero di te stesso delle tue idee e non hai più niente di buono da dire all’umanità. In questi giorni Melania Trump ha fatto parlare di sé, perché dopo aver visto la situazione drammatica dei bambini separati dai genitori arrestati ai confini del Messico, ha detto: «Abbiamo bisogno di vivere in un Paese che segua tutte le leggi ma anche che governi con il cuore». E la sua voce è rimbalzata nei social americani, da un telegiornale all’altro fino ad arrivare agli orecchi del suo presidenziale marito che mercoledì ha firmato un decreto per il ricongiun-gimento dei nuclei famigliari. Mentre avveniva questo, qualcun altro in Italia diceva che l’audio dei bambini che piangevano per l’assenza dei loro genitori era “spazzatura buonista”. Quale mondo sogna Dio? Attento a non essere sordo ai suoi appelli, perché se resti sordo diventi anche muto, ripeti slogan ma non è detto che sia quello che Dio ha in mente.

2.    Altro problema è la gente: volevano chiamarlo col nome di suo padre Zaccaria. La novità di Dio è bloccata dalle resistenze della tradizione, dal si è sempre fatto così. I ponti a volte sono distrutti ancora prima di essere costruiti perché non vogliamo oltrepassarli e ci sentiamo sicuri nella terra di sempre. Qual è la terra di sempre? Quella dei tuoi comodi che diventano abitudini e pretese sugli altri. Quella delle tradizioni che diventano dei contenitori vuoti. Quella che ci fa credere che siamo indispensabili e dobbiamo occupare un posto per sempre: senza di me non potete far nulla. Può dirlo solo Gesù Cristo. Prova a cercare qualche nome nuovo e prova a pensare che puoi essere anche tu un nome nuovo che porta un contributo nelle vicende di un paese, di un’associazione, di un servizio. Zaccaria vince il suo mutismo, quando reagisce alla pressione dei parenti e della tradizione e decide di dare al figlio il nome che Dio ha pensato.

3.    Il brano del vangelo si conclude con una domanda mista di attesa e di curiosità: «Che sarà mai questo bambino?». I ponti si costruiscono rimanendo aperti all’azione di Dio, accompagnando e scrutando la sua azione, i suoi modi di fare. Perché c’è una novità degli inizi e una novità del prosieguo. E questa novità passa attraverso le regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione. E allora i ponti si costruiscono con pazienza, anche quando l’arcata è difficile da realizzare. Non vengono i figli sperati: hai pensato a un affido? Matrimonio da preparare: che ne dici di mettere in conto anche il corso? Difficoltà di coppia: prima di rompere hai pensato di farti aiutare? La novità di Dio non è un fuoco di paglia. Ma brace che mantiene il calore. Ponti o passerelle? Il Signore ci sostenga nei passaggi che ha in mente e ci renda costruttori di novità.

lunedì 18 giugno 2018

Funerale Angelo Moresco


Funerale Angelo Moresco (18 giu. 2018)
(Rom  8,31-35.37-39 / Mt 6, 25-34)
Quando la vita ci sorprende con i suoi imprevisti possiamo rimanere disorientati, arrabbiati, tristemente rassegnati. 
Possiamo passare da un giornale all’altro recuperando la cronaca, indagando le cause che hanno determinato una tragedia, come se le informazioni tecniche fossero risolutive.
Possiamo cercare rifugio nelle parole della vicinanza e del cordoglio, peraltro necessarie,  sentendo però che esse solo fino ad un certo punto riescono a rompere il silenzio che vorremmo vincere.
Possiamo anche cercare un veloce riaggancio alla vita, ai suoi ritmi consueti, ma quando la morte ci ruba qualcuno di caro, la vita non è come prima e siamo poco convinti che the show must go on.
Ci rimangono strade di fede. La vicenda cristiana non ignora le domande dell’uomo, non ci risparmia l’inquietudine generata da alcuni eventi e non ci sottrae dall'esigenza di essere accanto a chi maggiormente patisce la scomparsa di una persona cara: Antonella, Angela, Alberto, i fratelli, la famiglia, l’azienda, gli amici.
Nello stesso tempo la fede cerca di percorrere strade di verità legate alla vita e al suo senso, ai percorsi degli uomini e ai confini che incontrano, a quello che si vede e si tocca e a quello che talvolta ci sfugge.
Su questi terreni poco frequentati il Signore ci dà appuntamento, per restituirci un po’ di sapienza in più e per accogliere le stesse persuasioni che Angelo oggi meglio potrebbe capire e farci capire. Ci sono tre movimenti della sua vita che costituiscono una forte provocazione, per come li ha vissuti, ma anche  per i significati che portano con sé: l’immersione, la corsa, il volo.
1.  Immersione. Angelo aveva un brevetto subacqueo e quel mondo sommerso lo affascinava, portando ogni volta in superficie il ricordo dei fondali misteriosi, della fauna marina incontrata, delle sorprese che la natura sapeva creare. E in quel mondo aveva sovente trascinato moglie, figli e molti dei suoi nipoti, contagiandoli con il suo entusiasmo. Immergersi. A volte ce lo dimentichiamo, ma nell’immersione è custodita la pagina primordiale della nostra vicenda credente. Battesimo vuol dire proprio questo: immersione. Non nei fondali caraibici, ma in quelli del mistero di Gesù Cristo, della sua morte e risurrezione, del suo amore. Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Vuol dire: Guarda che da questo momento sei immerso in una relazione d’amore, nell’abbraccio di un Dio che apre la sua famiglia anche per te. Un Dio che ti avvolge di tenerezza, ti accompagna con fedeltà, non ti perde neanche quando tu ti perdi. Ce l’ha ricordato S. Paolo: Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? …Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Dio ha stipulato una garanzia che sottrae la nostra vita al più devastante dei nostri nemici, la morte. Perché anche lui è morto e morendo è entrato in casa della morte e l’ha sconfitta. Io sono persuaso che né morte né vita,… né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. Immergiti in quell’amore, ritrova il tuo battesimo, mantieni il tuo contatto con Dio e non lo abbandonare mai. Perché in quel legame c’è la tua vita, la mano che ti strappa dalle funi della morte.
2.   Corsa. Angelo però è anche l’uomo della corsa. Corsa vera e propria, perché in macchina non aveva certo paura dell’acceleratore. Lui alzava sistematicamente l’asticella del limite, cercava il brivido e qualche volta lo faceva venire anche agli altri… Ma la corsa di Angelo era anche quella dell’ambiente di lavoro, di un’azienda gestita con i suoi fratelli. E di questa corsa quotidiana, fatta impegni e responsabilità, di budget e di verifiche contabili, di tensioni e di “eliche umorali” che giravano vorticosamente... sorprendeva la capacità di Angelo di dedicare tempo anche agli altri. Perché, fosse un famigliare, un amico o un cliente, lui c’era. E c’era non per compiacenza o buona educazione, ma con l’entusiasmo e la verità. Hai bisogno? Ci sono! Ecco, anche noi nella vita corriamo abbastanza. E la corsa a volte ci travolge o travolge le persone che abbiamo vicino. Prova a fare due conti, sembra dirci oggi Angelo, forse mettendo in discussione anche le sue stesse corse. Prova a vedere se correndo hai trovato ciò che conta o ti sei perso qualcosa per strada: i valori importanti della vita, la capacità di non prenderti troppo sul serio, il tempo dato alle persone, la tua vita interiore. Guardate gli uccelli del cielo, ricorda Gesù. Non seminano e non mietono, eppure il Padre vostro li nutre. Guardate i gigli del campo, chi è vestito come loro? Non è l’invito all’irresponsabilità ma a ritrovare le corrette misure dell’esistenza, quelle che qualche volta ci sfuggono dandoci l’illusione che sia tutto nelle nostre mani e che tutto dipenda da noi. Fermati, respira. L’onnipotente è un altro. E se chi ha fatto le auto ha pensato di dotarle di un acceleratore e di  un freno, forse un motivo ce l’aveva. Ogni tanto, ricordati dell’altro pedale...
3.    Volo. E qui possiamo recuperare il terzo movimento di Angelo: il volo. Volare, dalla notte dei tempi, è il sogno dell’uomo e anche la passione di Angelo era nata da un sogno che lo aveva particolarmente colpito, tre anni fa: lui che pilotava un aereo e che lo faceva conoscendo a perfezione tecniche e strumentazione. E così in gran segreto si era iscritto al corso di volo. Forse era il modo con cui Angelo arrestava la corsa lavorativa e ritrovava se stesso, la sua interiorità, la semplicità del bambino che osserva e si stupisce. Perché, quando scendeva, i suoi racconti erano ricchi di paesaggi, di monti e torrenti, di aquile, di camosci, di meticolose descrizioni delle sue traiettorie. L’aliante. Catturare le correnti e salire in alto, lasciarsi portare da una forza che non generiamo, che non ci appartiene. Sembra la metafora della vita con Dio perché anche lui è un appassionato di volo e attraverso le sue correnti ci porta in alto. Non sappiamo bene quale fosse il rapporto di Angelo con il Signore, ma forse il suo ultimo volo ci ricorda un’ascensione più elevata di quella stabilita dall’altimetro dell’aliante, quella dei nuovi cieli e della nuova terra che Dio tiene in serbo per noi. Quando sabato Angelo tardava a rientrare, qualcuno diceva: «Forse ha trovato la corrente giusta». Qual è la corrente giusta? È quella che non ci schiaccia e sempre ci ricorda che la nostra vita è fatta ci cielo, di varchi oltre il visibile, di residenze non costruite dalle mani degli uomini. Al Cielo affidiamo dunque Angelo; Dio lo liberi da ogni zavorra che può aver appesantito la sua vita, gli apra gli orizzonti dell’eterno e restituisca anche a noi tutti un po’ di passione per il volo, per non essere imprigionati dalla terra e affidarci sempre a correnti ascensionali. Quelle che Dio ci regala e nelle quali continua a darci appuntamento. 

sabato 16 giugno 2018

Omelia funerale Bertilla Stangherlin


Funerale Bertilla Stangherlin (14 giu. 2018)

(Is 43,1-7 / Mt 11, 25-30)

Il medico che l’ha ricoverata la scorsa settimana ha chiesto: «Quanti anni ha?». «Ottantuno». «Povera donna, ha aggiunto senza conoscerla: ottant’anni di sofferenza». E in realtà era proprio così, perché Bertilla è nata con un ampio angioma che le occupava quasi interamente il volto, segnando pesantemente la sua esistenza. Inizialmente, con l’incoscienza dei bambini, cercava la normalità delle frequentazioni, delle amicizie, della vita in paese. Poi, complici anche ignoranza e cattiveria di parecchia gente, degli stessi coetanei, non è più uscita di casa, facendo coincidere il suo mondo con quello delle pareti domestiche, con un lavoro di sartoria abilmente imparato e con l’accoglienza che fratelli, sorelle, nipoti e alcune persone care non le hanno fatto mancare.

La sua vita corre su un crinale sottile tra la paura e il desiderio di uscire, tra le umiliazioni subite e la voglia di poter acquisire un diritto di cittadinanza in questo mondo talvolta crudele. «Va’ ti, che mi sto ben anca casa», diceva a chi la invitava ad uscire. Ma non era vero che stava bene, perché talvolta rimaneva prigioniera dello specchio, quasi ad interrogare i suoi giorni e la sua condizione. E aveva elaborato alcune strategie per ritornare nel mondo degli uomini, come quando si faceva accompagnare in macchina alla sagra del paese. E senza scendere dall’auto rimaneva a breve distanza dallo stand musicale, per udire le orchestre e vedere la gente che ballava. Per lei non c'erano danze. 

Ecco, di fronte, a questa vicenda umana, molte domande di Bertilla sono anche le nostre e, ragionevolmente ci chiediamo: cosa avrà voluto dirci il Signore attraverso questa sorella, di cui forse qualcuno si era anche dimenticato?

1.    Il Signore ci dice che ogni vita, in ogni condizione, è preziosa ai suoi occhi ed è degna di stima e di accoglienza. Oggi, ci ricorda spesso papa Francesco, viviamo pesantemente segnati dalla cultura dello scarto che ha imprigionato anche Bertilla tra gli scartati della terra. La cultura dello scarto nasce dalla selezione della specie, alimentata non solo da criminali di passati regimi, ma anche dai criteri dittatoriali con cui anche oggi dividiamo il mondo in belli e brutti, in fighi e sfigati, in gente libera di circolare e in chi se ne deve stare a casa sua. Abbiamo lo sguardo annebbiato e non riusciamo più a cogliere nelle persone il fuoco sotto la cenere, la dignità dell’uomo oltre le sue apparenze. E dimentichiamo quello sguardo divino che va all’essenziale: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni… Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo». Bertilla è un appello a guardare l’uomo in maniera diversa, a guardare talvolta anche se stessi in maniera diversa, perché l’uomo vede l’apparenza, il Signore guarda il cuore.

2.    Un altro messaggio che Bertilla ci rivolge è quello di non trascurare la forza del male. Di quello che la vita porta con sé e che ci lascia talvolta senza parole, senza spiegazioni plausibili. Ma anche del male di cui noi siamo artefici, che passa non solo attraverso i giudizi e le decisioni, ma anche attraverso i nostri sguardi, le nostre espressioni, le nostre battute. Bertilla sapeva riconoscere facilmente chi la osservava per curiosità o per compatimento e da essi si ritirava immediatamente, quasi fosse stata violentata. Ma quando coglieva uno sguardo di benevolenza, ti riversava una valanga di affetto: parlava, ricordava, interrogava, sorrideva… Sembrava in quel momento che i suoi problemi non esistessero più. E questo ci fa capire che se la forza del male è devastante, la forza dell’amore vince. Non ti dimenticare che l’amore è l’antidoto con cui Dio libera il mondo dalla cattiveria, dall’odio, dall’egoismo. Guarda che quello che ti deturpa il volto non è l’angioma ma l’indifferenza rispetto al male, la rasse-gnazione di fronte ai rapporti perduti e non più ricostruiti, la chiusura agli appelli dell’altro. Non lasciarti sconfiggere da questo morbo maligno. Libera l’antidoto che ci sottrae dalla forza della morte. Libera l’amore.

3.    Infine Bertilla ci parla con la sua morte, avvenuta in maniera inattesa e piuttosto veloce. Nonostante i suoi patimenti lei era una donna che non rinunciava alla vita. Ultimamente però, nella preghiera e nei sonni aveva spesso in mente la sorella Utelia, morta qualche mese fa, alla quale era molto legata e dalla quale si sentiva difesa. Diceva di vederla e di chiederle come stesse dall’altra parte. Suo cruccio era che la sorella non rispondesse. Chissà, forse ad un certo punto Utelia, che ben conosceva i patimenti della sorella, ha pensato di chiamarla con sé e di farlo ricorrendo ad un santo con il quale Bertilla aveva un rapporto molto stretto: S. Antonio. Non sappiamo come funzionino certe cose in paradiso, ma nella comunione dei santi le coincidenze hanno spesso misteriose ragioni. E così alla vigilia della festa di S. Antonio, Bertilla se n’è andata, cercando nei cieli quella gioia che a fatica ha assaporato sulla terra. Venite a me voi tutti che siete stanchi e affaticati e io vi darò sollievo. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore. Bertilla ha portato ogni giorno un giogo pesante. L’ha fatto con le sue fatiche e con le sue risorse. Il Signore Gesù ora le tolga quel giogo e la stringa nell’abbraccio della misericordia e della tenerezza. E le regali anche un po' di danza, nel suo paradiso.