sabato 7 settembre 2013

Omelia 8 settembre 2013

Ventritreesima domenica del T. O.

I quanti non sono solo un problema della fisica, ma anche il coefficiente che segna le nostre valutazioni, l’efficacia delle iniziative, le tendenze che prevalgono. Quanti ce n’erano alla manifestazione? Quanti sono i sostenitori di tale schieramento? Quanti cristiani vengono in chiesa? E ci ritroviamo a determinare i nostri assetti con la calcolatrice in mano. Il vangelo di oggi inizia con la descrizione di una folla numerosa che andava con Gesù, ma egli non sembra particolarmente entusiasta del dato quantitativo. Anzi, il verbo strepho/voltarsi che ritorna spesso nella descrizione degli atteggiamenti di Gesù, indica l’esigenza di guardare e di dirigersi altrove. Il cristianesimo non è dato dalla quantità di gente che vi aderisce ma dall’effettiva accoglienza del vangelo nella vita. E Gesù precisa le condizioni.

1.    Se uno non viene a me e non mi ama più di quanto ami… Il cristianesimo, anzitutto, non è statistica, non è regolamentazione, non è concetto intellettuale: è una questione d’amore. E se Gesù riordina gli amori terreni, non è per negarne il significato o l’importanza ma per garantirne le misure piene e la natura vera. Perché i tanti amori non devono perdere di vista l’amore, quello che insegna e dona lui. Qui c’è una questione nodale che riguarda la gestione familiare dell’amore, ma anche la sua comprensione sociale. Pensate ad esempio a come l’affetto possa diventare soffocante. Alla mostra del cinema di Berlino, l’Orso d’oro quest’anno è andato a un film (Il caso Kerenes) dove una madre con un amore viscerale verso il figlio ne teneva in scacco la vita. A volte l’amore può diventare prigione; non sempre dorata. Ma c’è una questione ben più seria che riguarda il riconoscimento dell’amore sul piano pubblico. Ci sono  molti amori che oggi rivendicano diritti di cittadinanza. Non ci sono motivi per negare il diritto all’amore se l’osservazione si limita a tale insorgenza del sentimento. Ma la garanzia dell’amore è nell’adeguare la tua idea e le emozioni che essa porta con sé ad un progetto più grande, perché l’amore è autentico quando accetta di crescere secondo misure assolute, quelle di Dio. Che è amore.

2.    Colui che non porta la croce dietro di me. Non è l’identificazione del cristianesimo con la sofferenza ma l’esigenza percorre la strada di Cristo, fidandosi di lui, anche quando occorre andare controcorrente. Croce vuol dire incrociare una strada differente da quella che il mondo in maniera troppo rapida vuole indicare nelle sue logiche. Ce ne ha dato prova la vicenda di Filemone al quale Paolo restituisce lo schiavo Onesimo perché lo riaccolga in casa dopo la fuga, ma non più come schiavo, bensì come fratello. Oggi ci troviamo nuovamente a un crocevia di questo tipo rispetto allo scenario di guerra in Medioriente. Mentre ti verrebbe da sganciare qualche “regalino” aereo a chi si è macchiato di orrendi crimini di guerra, papa Francesco ci invita alla preghiera per la pace. Non sappiamo ancora come andrà a finire, ma intanto “la croce ha incrociato” le nostre scorciatoie giustizialiste e ci ha fatto intravedere un’altra logica e un’altra umanità. Ecco chi è il discepolo. E l’adesione planetaria che c’è stata alla proposta del pontefice ci fa capire che i discepoli di Gesù sono più numerosi degli stessi cristiani. Ecco perché è pericolosa la logica dei “quanti”: perché puoi essere sorpreso per eccesso e non solo per difetto!

3.    La terza condizione, quella su cui ancora una volta insiste, è quella della rinuncia a tutti i beni. Se uno non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo. Il verbo apotassomai ha il significato di lasciare, dire addio come quando ci si congeda da qualcuno. Come gli affetti terreni possono sostituirsi a Dio, così anche i beni possono prendere il suo posto. E così non cammini più perché non ti distacchi. Gesù sa bene che i suoi discepoli avranno a che fare anche con l’uso dei beni, ma la questione è la libertà dalla loro egemonia. Su Voci d’Impresa, tempo fa c’era la testimonianza di un imprenditore sardo che ha rinunciato a portare la sua impresa altrove. Scatolette di tonno. E diceva: un operaio in Thailandia costa 30 centesimi al’ora, in Portogallo 5,40 €, in Italia 22. Ma io ho deciso di investire sui miei dipendenti. E la scelta gli ha dato ragione. Attento alla tirannia delle cose, dell’economia perché il vangelo è strada di libertà per te e per gli altri.

Le indicazioni di Gesù sono avvalorate però anche da due parabole: quella della torre e quella del re che va in guerra. Sono due immagini con cui egli ci sta dicendo: il cristianesimo che stai vivendo è solido? Sta in piedi? Può resistere agli attacchi con cui si misura? Da’ forza alla tua costruzione e sta attento alle regole che impieghi perché non ne va di qualche consiglio, ma della vita. Quella che ha vissuto lui e quella che apre a ciascuno di noi.

Omelia 1 settembre 2013

Ventiduesima domenica del T. O.

In questi giorni di Mostra del cinema, mentre registi e attori sfilano sul tappeto rosso, comprendiamo che quella passerella è più lunga della kermesse veneziana e raggiunge ogni luogo e ogni tempo. È la voglia di visibilità, di necessaria considerazione, di pubblico riconoscimento che spesso accompagna la vita degli uomini. Anche ai tempi di Gesù le cose non erano diverse: dopo la liturgia sinagogale un fariseo invita Gesù a pranzo. Era una consuetudine diffusa che dopo l’ascolto assembleare la discussione continuasse a casa e per questo si cercava di invitare il rabbino e le persone più ragguardevoli. Una rigida etichetta stabiliva i posti di ciascuno: persone importanti al centro, accanto il padrone di casa e poi tutti gli altri, in base al loro ruolo sociale. Un banchetto, inoltre, a porte aperte che consentiva di essere visto e accostato dai passanti e anche a qualche povero che non era interessato alla teologia ma a ricevere un pezzo di pane. Ecco la passerella umana, la voglia di apparire che può smentire la logica di Dio, la parola che hai appena ascoltato, il banchetto della fraternità al quale partecipi ogni domenica. Quando l’evangelista scrive questa pagina, infatti, non c’è più un fariseo che invita a pranzo, ma c’è la comunità che celebra l’Eucaristia, evento che dovrebbe suggerire una logica diversa da quella del mondo. Cosa ci fa capire Gesù?

1.    Quando sei invitato a nozze non scegliere il primo posto. Notiamo anzitutto l’uso del singolare: tu. Il rinnovamento che Gesù ha in mente comincia dal rovesciamento di prospettiva che ciascuno può personalmente sostenere e operare. Non interessa se tutti gli altri funzionano diversamente: tu comincia a cambiare il sistema. Perché Gesù sa benissimo che talvolta ci nascondiamo dietro facili alibi e i luoghi comuni, dove generalizziamo o pretendiamo che siano gli altri a cambiare: la situazione italiana e le colpe dei politici, la mia azienda e le colpe dell’imprenditoria, la chiesa e le colpe del Vaticano. Certo, ci sono delle responsabilità che appartengono ai vertici di un’istituzione, ma questo non esime ciascuno dal ricercare le proprie, a cambiare stile. Come sta facendo papa Francesco: il pontefice sembra ben consapevole che nella Chiesa c’è talvolta uno stile poco cristiano e che qualcuno ama i tappeti rossi. Ma il cambiamento inizia a farlo lui, con semplicità, andando a celebrare una messa e preparandosi sedendosi tra la gente in fondo alla chiesa. Non lamentarti del sistema. Incomincia a cambiarlo tu.

2.    Ma perché scegliere l’ultimo posto? Perché è la logica aperta alle sorprese maggiori. Se sei all’ultimo posto hai tutto da guadagnare, non corri il rischio che ci sia qualcuno che ti spiazza e ti costringa a retrocedere: puoi solo avanzare. Amico, vieni più avanti. In questi giorni ho incontrato una persona che per motivi professionali segue ragazzi e giovani che si stanno affermando nel mondo dello sport. Ed emerge la presenza di genitori che caricano i loro figli di una serie di messaggi in cui la ricerca dell’eccellenza non ammette deroghe, né esitazioni. Genitori che mentre il figlio undicenne tira di fioretto con un coetaneo gli urlano: “Ammazzalo”. Genitori che inveiscono contro il mister accusato non solo di non mettere in campo il loro figlio, ma anche di non essersi accorto delle sue doti spettacolari. È vero: nello sport, come nell’arte e in qualsiasi altra attività devi crederci e non fare le cose a metà. Ma quando la prestazione prende il sopravvento sulla persona ecco che cresce l’ansia, il confronto, la frustrazione. Lo sport è importante nella vita di un ragazzo, ma possiamo lasciargli la possibilità di essere un ragazzo, di fare le sue esperienze senza dover gestire l’esigenza di affermazione del padre o della madre? Chi si umilia sarà esaltato. Ritrova l’humus, il pianeta terra: persino Dio è disceso. Mantieni sempre i tratti della semplicità, dell’immediatezza, della cordialità. Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. A questo ci serve l’ultimo posto.

3.    Infine Gesù indica una strada per crescere nell’umiltà e nella verità: cambia giro. Si cambia logica se cambiano le frequentazioni che ti imprigionano, quelle che sai già come va a finire. Io ti invito, tu mi inviti, stessi discorsi, stesse dinamiche. Tu quello di sempre. Al contrario, quando dai un pranzo o una cena invita poveri, storpi, ciechi e zoppi. Fatti una parentela nuova che ti riveli qualcos’altro di te, qualcos’altro per cui puoi essere apprezzato e accolto, anche se non cammini su un tappeto rosso. I poveri ci offrono la straordinaria occasione per ritrovare la parte migliore di noi: quella che ha a che fare con l’amore e quella che ha a che fare col futuro. Perché ci impediscono di chiuderci nelle relazioni in partita doppia e ci costringono a pensare a un banchetto un po’ più grande dalla grigliata con gli amici. Occhio al giro che frequenti perché c’è il rischio si sbagliare appuntamento. Sovverti le logiche troppo rigide del fariseo e lascia che Dio ti possa stupire con la sua novità per quello che gli altri ti possono suggerire e per quello che tu puoi essere in grado di fare.