lunedì 29 agosto 2016

Omelia 28 agosto 2016


Ventiduesima domenica del tempo ordinario

Il Gran Premio riparte dal Belgio e Kimi Raikkonen parlando del circuito di Spa-Francorchamps ha detto: «Possiamo fare una buona gara. Qui si può sorpassare». Non è che forse questo è proprio il mito che inseguiamo? Sorpassare: in strada, negli ambienti di lavoro, nelle tante circostanze in cui la vita ci mette in fila. Ci infastidisce addirittura che le mamme con i bambini abbiano una corsia privilegiata nella prenotazione degli esami clinici: io ero arrivato prima!

A volte però scopriamo che la nostra velocità non serve e che su alcune strade i sorpassi sono impossibili. Anzi, a volte non ci sono neppure le strade!

Quello che è capitato ad Amatrice in questi giorni ce lo fa capire: un terremoto che velocemente ha spazzato via la vita di quasi trecento persone, ha distrutto case, ha rubato speranze.

Questi eventi portano con sé la grande domanda su Dio: dov’è quando succedono queste vicende? Ma, come osservava il vescovo di Ascoli, forse c’è anche un’altra domanda che più realisticamente possiamo farci: dov’è l’uomo? E non solo per le responsabilità in fatto di sicurezze e prevenzione antisismica, ma anche per il senso che attribuiamo alla vita, ai nostri giorni, alla natura e ai beni che possediamo. A volte dimentichiamo i limiti che ci appartengono e viviamo in un delirio di onnipotenza come se le nostre sgommate ci rendessero invincibili. Figlio – diceva il Siracide - quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Gesù oggi vuole restituirci alle corrette misure dell’esistenza e l’occasione è un banchetto in cui egli registra una spasmodica volontà di sorpasso: Notando come gli invitati sceglievano i primi posti. La voglia di apparire, di emergere, di scalare le classifiche sociali e professionali per poter affermare se stessi. Sta attento perché, anche se non arriva il terremoto di Amatrice, il terreno in cui costruisci può essere insidioso, specie se è il sorpasso a condurre la tua vita.

Cosa suggerisce Gesù?

1.    Quando sei invitato a nozze. Ecco lo sfondo dell’esistenza che Dio ha in mente: un banchetto nuziale. È quello che lui ha imbandito con l’umanità regalandoci il suo Figlio ed è quello a cui vorrebbe che partecipassimo. A volte la nostra esistenza traballa perché ci siamo dimenticati di questa festa e ci serviamo reciprocamente i bocconi avvelenati della nostra cattiveria. L’altro mi ha tradito: non ho rotto il matrimonio ma non ho neppure accolto il suo pentimento. E gli somministro dosi costanti di perfidia, di volgarità, di meschinità, di violenza con l’esatto intento di fargliela pagare. “Voglio che senta tutto il male che mi ha fatto”. E uso attentamente i bambini per tenere in prigione la mia vittima, senza considerare che anche per i bambini la vita sta diventando un inferno. In questi casi è meglio la separazione. Ecco il terremoto che ci travolge: distruggere la festa e lasciare che qualcuno lo faccia. Abbiamo dimenticato le nozze!

2.    Altro consiglio per reggere il terremoto. Non metterti al primo posto. Gesù non ci invita a fuggire le responsabilità ma ad allontanarci dalla spasmodica ricerca di visibilità e di considerazione: “Che bravo che sei!”. Perché? Non perché la gratificazione non sia importante, ma perché rischi di legare la tua identità, la tua verità e consistenza al giudizio degli altri. Una ricerca di rassicurazione che alla fine ti trasforma in un mendicante di affetto, di stima, di riconoscimento. Pensate a tutte le volte che cambiamo l’immagine di profilo su Fb o inseriamo le nostre foto contando i like che arrivano. E se non arrivano, che succede? Tu vali di meno? È un problema di legittimazione sociale che oggi riguarda gli acquisti che facciamo, i locali che frequentiamo, i programmi che seguiamo dove si stabilisce una sorta di linea di demarcazione tra chi vale e chi non vale, tra fighi e sfigati. Come ha detto una ragazzina di seconda media a un’animatrice al campo: «Mi sembri tanto normale». Certo, perché se tua madre ti dà dietro fard e maskara da usare al campo, io preferisco essere normale! Sta attento a ciò che questa società indica come il top, perché l’occhio di bue che prima o poi illumina la tua vita, si sposta altrove. E allora: o hai una luce interiore o resti al buio. Vai all’ultimo posto: fai vedere che vali perché sei e non perché ci fai.

3.     Infine: Quando fai un pranzo non invitare quelli che ti invitano. Se vuoi reggere nella vita devi trovare nuovi equilibri non dettati da tornaconti troppo statici. Pensate proprio al terremoto: oltre la tragedia ci sta facendo capire che c’è una grande risorsa che appartiene al nostro Paese: quella della solidarietà. Ecco il nuovo equilibrio che ti permette di stare in piedi su una base più ampia del tuo personale benessere, di quello della tua famiglia, di amici e conoscenti. Prova a investire in questa direzione e scoprirai che quel sentimento reca con sé una nuova ricompensa, quella del Regno dei cieli, dove il terremoto non arriva. Non ci sono solo gli equilibri terreni: è il cielo che regge la terra.

Gli eventi di questi giorni ci mettono alla prova: ma abbiamo capito che non si tratta solo di scosse telluriche. E’ della nostra vita che ancora una volta ci viene chiesto conto, per renderla più solida e più credibile.

venerdì 26 agosto 2016

Omelia Bertilla Bobbato


Bertilla Milani ved. Bobbato (23 ago 2016)

1Tess 4,13-18 – Lc 2, 36-38

C'era anche una profetessa, Anna, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno.

La descrizione della profetessa Anna richiama molto il profilo di Bertilla, non solo per la vedovanza e la corrispondenza anagrafica, ma anche perché entrambe non si allontanavano mai dal tempio. Bertilla aveva sposato Mario Bobbato, sacrestano della chiesa parrocchiale, ben sapendo che tale servizio avrebbe segnato non poco la sua vita e la famiglia che si andava costituendo. Ma questo non era un problema, anzi: diventava una missione dove lavoro, fede, famiglia, parrocchia erano un orizzonte che non conosceva interruzioni. E ben lo si capiva quando Bertilla, in questi ultimi anni, facendo del deambulatore un normale mezzo di trasporto, entrava e usciva di casa e di chiesa senza soluzione di continuità e teneva tutto sotto controllo, magari chiamando anche il parroco, non importa a che ora, per dire che qualche luce era rimasta accesa...

Che cosa ci racconta questa sorella con la sua vita? Ci racconta la vicenda di una parrocchia, sua e nostra, una parrocchia fatta di mattoni, di volti, di fede.

1.    La prima parrocchia è quella dei mattoni che danno forma a questo edificio. Mattoni che Bertilla aveva visto posare finché, nel 1956, era stata inaugurata la nuova chiesa. E, accanto al giovane sacrestano che con orgoglio custodiva, puliva e ornava il tempio in un servizio che non conosceva né riposo né ferie, c’era anche Bertilla: la chiesa in un certo senso era un’estensione della loro dimora, tanto che mentre essi erano affaccendati tra banchi da spolverare e fiori da assestare, i loro figli rimuovevano la cera dai portacandele o scorrazzavano con il triciclo da un capo all’altro della navata. È bello questo legame tra la chiesa e la casa, perché oggi qualche volta ci illudiamo di poter sostituire le murature ecclesiali con un assetto cristiano più disinvolto che trascura la realtà dell’uomo e la verità dell’incarnazione. Abbiamo bisogno di una casa perché l’uomo trova se stesso in spazi ben precisi che raccontano la sua vita. E abbiamo bisogno di una casa perché Dio stesso ha abitato le case degli uomini e in esse ha dato loro appuntamento. La casa di Nazaret, la casa di Pietro, la casa con quella stanza al piano superiore dove mangia l’ultima cena. Bertilla oggi ci restituisce questo luogo perché in esso c’è buona parte della nostra storia e la possibilità di rinnovare un incontro con Dio che ama raggiungerci anche attraverso i mattoni degli uomini.

2.    Ma le pietre degli edifici cristiani alludono ad una costruzione ben più importante: quella della pietre vive. La parrocchia è fatta non tanto di muri, ma di volti, di mani che si incontrano e si stringono, di relazioni. E Bertilla ci teneva moltissimo. Mentre Mario era piuttosto riservato, lei era più espansiva, facile al contatto, desiderosa di stabilire rapporti. E così, se qualcuno arrivava in paese, lei cercava di orientarlo, chi aveva bisogno d’aiuto poteva contare su un discreto emporio che Bertilla gestiva a suo modo, organizzando i sacchi del vestiario giunti fuori tempo massimo, quando c’erano le raccolte missionarie. E prima che sulla porta della sacrestia apparisse la scritta “kinder”, il “kinder” era Bertilla stessa che soccorreva mamme e papà i cui figli preferivano stare sul sagrato piuttosto che in chiesa: «Ndè messo voaltri chel ceo sta qua co mi». E li faceva giocare a casa sua. Scene oggi impensabili, ma che ci aiutano a ricordare che una parrocchia è la possibilità di pensare ad una famiglia più grande: di figli e di fratelli, di gente che si vuole bene. Un insegnamento importante, non sempre compreso da questa nostra società che vorrebbe chiuderci in un individualismo presuntuoso e autosufficiente. La chiesa nel mondo ci sta come segno di una comunione che Dio vuole realizzare tra tutti gli uomini e Bertilla ce l’ha ricordato.

3.    Infine la parrocchia è una vicenda di fede, di interiorità, di adesione a Dio. Per Bertilla la parrocchia non sostituiva il Signore, ma era l’occasione per incontrarlo. In particolare nella messa. Era il suo punto di riferimento, tanto che anche in questi ultimi tempi quando con la testa non sempre c’era, ti diceva convinta: «Par fortuna so za ndata messa stamatina». E la sua preoccupazione era che ci andassero anche gli altri: «Sito ndato messa oncò?». A che ci serve la messa? A volte trascuriamo questo appuntamento dimenticando che esso ci consegna l’orizzonte più grande che possiamo incontrare: quello della risurrezione. È come se la fragile imbarcazione dell’esistenza fosse sottratta alle secche in cui la storia a volte si incaglia e prendesse il largo verso l’eterno. Non andiamo a messa perché siamo più bravi degli altri ma perché ci stanno a cuore i confini della vita, perché crediamo che l’oscura prospettiva della morte è stata cancellata dal Signore della Vita: Non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affiggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Cristo Gesù sia risuscitato. Alla risurrezione del Signore affidiamo anche Bertilla, perché la fede e la speranza che l’hanno accompagnata in questa vita siano ora per lei la gioia dell’eterno e per noi l’invito a custodire una preziosa eredità, a raccoglierne i frutti, a reimpiegarla sulle strade del nostro quotidiano.  

sabato 13 agosto 2016

Omelia 14 agosto 2016


Ventesima domenica del Tempo Ordinario



Leonardo Sciascia, scrittore siciliano che conosceva bene il vangelo, pur con posizioni lontane dalla chiesa, scrive ad un certo punto: «Io mi aspetto che i cristiani qualche volta accarezzino il mondo in contropelo». È un commento significativo alle parole di Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra». Non il fuoco della violenza, della guerra, del terrore che colpisce gli innocenti. Ma il fuoco dell’audacia, dell’opposizione al male, di chi non si lascia sottomettere da sistemi iniqui che cancellano la verità e con essa gli uomini. Un cristianesimo che non asseconda il pelo delle mode, il politically correct, ma si pone come elemento di critica, di distanza e, se occorre, di rottura. In che modo? Le letture ci suggeriscono tre ambiti di osservazione.



1.    La resistenza in famiglia. «D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre». Il cristianesimo qualche volta può chiedere di discostarsi da alcune logiche, anche se interessano i legami più sacri, anche quelli famigliari. A Finale Ligure, nei giorni scorsi, una madre ha denunciato il proprio figlio diciassettenne perché ha scoperto che nascondeva marijuana in dosi idonee allo spaccio o al consumo di gruppo. Madre coraggiosa. Ma non sempre è così: le forze dell’ordine dicono che quando qualche ragazzo viene identificato per il possesso di sostanze, molto spesso i genitori intervengono per proteggere il figlio, addirittura prendendosela con gli agenti, colpevoli – a detta loro - di non andare ad arrestare i criminali veri. E così la gravità di una situazione viene annacquata in un garantismo che sottrae l’uomo alle sue responsabilità. Un figlio cresce quando lo poni di fronte alle proprie respon-sabilità non quando lo sottrai. Ci sono altre distanze salutari che dobbiamo stabilire a casa nostra? Una ragazza al campo mi ha raccontato di aver detto ai suoi genitori che non accettava il divieto di recarsi dai nonni. La risposta: «Sei troppo piccola per capire». «È così?», le ho chiesto. «Ho capito che non vogliono chiedersi scusa». A volte invece i piccoli capiscono e i grandi, proprio perché sono grandi, presumono di non avere più nulla da capire. Qui devi prendere distanze, aiutando a ritrovare il vangelo, mantenendo le rotte della verità e non il zigzag dei tuoi compromessi.



2.    La tenacia sulla pubblica scena. Abbiamo ascoltato nella prima lettura la vicenda di Geremia, profeta perseguitato che viene gettato in una cisterna perché annuncia una parola scomoda: Scoraggia il popolo! In realtà Geremia sta dicendo a chi era rimasto a Gerusalemme che sarebbe finito in esilio come gli altri deportati, dato che l’infedeltà ancora regnava in Israele. Parole che disturbano e che decretano la condanna del profeta. Anche i cristiani disturbano, altrimenti non sono cristiani. Adozioni dei minori: l’Organismo unitario dell’avvocatura, realtà giuridica che dovrebbe rappre-sentare tutti gli avvocati italiani ha preso posizione presso la Commissione giustizia della Camera perché una nuova legislazione preveda l’apertura delle adozioni anche a single e coppie omosessuali. E così al 'supremo interesse' del minore ad avere un papà e una mamma, si sostituisce il 'supremo diritto' degli adulti ad avere un bambino per soddisfare il loro desiderio di genitorialità. Una scelta che si adegua alla mentalità dominante in cui però i primi a reagire sono stati gli avvocati, per niente consultati dalla loro organizzazione, in una questione di simile portata. Oggi noi siamo succubi di una mentalità basata sul politically correct che modifica in maniera il nostro patrimonio genetico senza che ce ne accorgiamo. Anzi sembra che la denuncia sia contro il popolo, contro la libertà, la felicità e la democrazia. Ma la libertà è per tutti, anche per un bambino che forse riceve un po’ di più da un padre e da una madre che da due uomini o da due donne. E il vangelo è sempre dalla parte dei piccoli.



3.    La testimonianza nella comunità. Ce lo diceva la seconda lettura: circondati da una moltitudine di testimoni. A volte le cose non cambiano perché abbiamo l’impressione di essere da soli. Guardati intorno, forse c’è qualcun altro che accarezza il mondo in contropelo. Inserisciti nella rete della testimonianza, guarda che non sei da solo. Papa Francesco ha incontrato a sorpresa, nell'ambito dei “venerdì della Misericordia”, venti donne che sono state liberate dalla schiavitù del racket della prostituzione, ospiti della struttura romana della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. Forse c’è qualcuno che lotta per un mondo diverso: prova a vedere se c’è una rivista, un’associazione, un contatto che ti convinca che il mondo di Dio è possibile.

Forse non sarà il mondo che riscuoterà gli applausi del web, ma sarà più vivibile e vero.


Omelia 7 agosto 2016


Diciannovesima domenica del T. O.



Abbiamo visto l’accensione della fiamma olimpica, un simbolo che vorrebbe ricordarci una dimensione differente dello sport, più grande di quella degli scandali che qualche volta lo caratterizzano o del denaro che sembra ingoiarlo. Fa’ che lo sport risplenda in maniera nuova, che diventi incontro, ricerca di una meta cui tendere, capacità di sorprendere il mondo per quello che sai raggiungere con la tua determinazione, il tuo allenamento, la tua costanza.

Anche Gesù vangelo di oggi ci parla di luce: Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese. Si può vivere un’esistenza travolti dalle cose e dalle situazioni e si può vivere cercando di illuminare quello che avviene, di cercarne il senso. Quale luce ci affida il Signore, cosa vuole che impariamo a vedere?



1.    Osserva i confini della vita e a chi appartengono. Siate simili a coloro che attendono il padrone quando arriva e bussa. Ecco, a volte noi ci dimentichiamo che la nostra vita appartiene a qualcuno e viviamo con una pretesa di onnipotenza come se in questo mondo dovessimo vivere in eterno. Abbiamo visto nei giorni scorsi la vicenda di quel diciannovenne di Martellago stroncato da un cocktail letale di alcol e droga assunto durante un rave party sul Tagliamento. Sentite cosa scriveva La Tribuna il giorno dopo: È scattata la caccia al pusher: chi ha ceduto al giovane la sostanza fatale? Era forse stata tagliata male? La posizione dello spacciatore, qualora fosse individuato, potrebbe in tal caso aggravarsi. Quando capitano vicende del genere la grande preoccupazione è quella di cercare il colpevole, chi ha venduto la morte, assicurandolo alla giustizia. Ma raramente ci chiediamo che vita cerchiamo e stiamo suggerendo. Anzi, ce ne guardiamo bene, specialmente quando queste domande toccano gli interessi del divertimento, di un’industria che fa da padrona sulla vita dei giovani, che si accaparra fette di parlamento cercando di convincere gli italiani che la legalizzazione delle sostanze sia il modo per sconfiggerle nonostante tutte le comunità terapeutiche denuncino tale follia. Beati quei servi che al suo ritorno troverà ancora svegli. Stai attento alla tua vita, a chi vende fumo, perché quando lo compri sei già stato narcotizzato. Il padrone è un altro.



2.    Smetti di pensare solo a te stesso. Gesù descrive un servo che ad un certo punto pensa solo a se stesso, a mangiar, bere e ubriacarsi. Gli altri servono unicamente per assecondare tale sistema, addirittura con le percosse. Il padrone, assicura Gesù, lo punirà con rigore, assegnandogli la sorte degli infedeli. La tua vita è luminosa quando sai uscire da te stesso e stabilire corrette relazioni. Nei giorni scorsi è uscito un importante documentario di Erik Gandini: La teoria svedese dell’amore. La Svezia è il Paese conosciuto da tutto il mondo per avere una società perfettamente organizzata, basata sull’autonomia delle persone. Gli esiti di questa “autonomia istituzionalizzata”, in cui nessuno deve chiedere agli altri favori o aiuti, sono che quasi metà della popolazione abita oggi in appartamenti singoli e sempre più donne scelgono di affrontare la maternità attraverso l’inseminazione artificiale. Eppure questo modello non convince molti giovani che stanno ritornando a fare comunità nei boschi per riappropriarsi della vita insieme. La tua vita è luminosa se qualcun altro la abita, se qualcuno ti appartiene e se tu appartieni a qualcuno. E forse noi italiani così attratti da alcuni miti del Nord-Europa che ci sembrano il futuro, dovremmo rivalutare alcune esperienze famigliari, senza lasciarcele rubare da una sorta di complesso di inferiorità che ci priva del tesoro più bello che abbiamo: la relazione con l’altro.



3.    Accogli l’imprevisto. Se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. La tua vita è con la lampada accesa se ogni tanto metti da parte l’orologio della tua programmazione e fai posto all’inatteso. È quello che sperimentano i nostri ragazzi al campo, specie quelli che hanno fatto fatica ad aderirvi. Il campo rivela qualcosa che non pensavi e di cui anzi avevi paura. La stessa scoperta non appartiene sempre a noi adulti che non ci fidiamo, che diciamo che sarebbe bello poter andare in casa alpina come i figli, ma poi di fatto alla proposta aderiscono solo tre famiglie. Fidati un po’ di più del Signore e degli appuntamenti che ti può riservare! Le iniziative che ti vengono proposte, le collaborazioni che ti vengono chieste, negli eventi che la vita ti riserva: forze c’è un’opportunità. E così si impara ad aver fiducia, anche nell’appuntamento ultimo con Dio che cesserà di impaurirti e ti raggiugerà come una sorpresa. Anche quella di un Dio che non ti aspetta per consegnarti al buio, ma per accoglierti a tavola e servirti lui stesso, di quella comunione nella quale accoglie tutti i suoi figli.



Ecco l’olimpiade cristiana. Non serve andare a Rio, ma giocarsi giorno per giorno, illuminando il presente con il vangelo, attendendo con speranza il futuro.