S. FAMIGLIA 2018
I
tuoi figli non sono figli tuoi.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Sono
i versi dedicati ai figli dell’opera Il
Profeta, celebre testo del poeta libanese Kahil Gibran. Versi che si
chiudono con un’immagine: Tu sei l’arco
che lancia i figli verso il domani. Non è per niente facile questa
operazione. Oggi nei confronti dei figli c’è in genere un atteggiamento di
protezione che da un lato mette al riparo i ragazzi rispetto ai pericoli che
possono incontrare, dall’altro li imprigiona in un rapporto simbiotico dove non
è il ragazzo ad avere bisogno del genitore, quanto piuttosto il contrario. Tu
sei l’arco, dice Gibran, i tuoi figli sono le frecce. Invece succede che il
cordone ombelicale sembra trattenere ogni possibilità di crescita e di
autonomia. Avete mai visto bambini vestiti come le loro mamme o come i loro
papà? È il segnale che qualcosa non funziona. Avete visto mamme che non mollano
il figlio, né a nonne né ad amiche, anche quando avrebbero bisogno di aiuto?
Chi ha bisogno di chi?
L’episodio
di Maria e Giuseppe che non trovano più Gesù con loro per recuperarlo dopo tre
giorni di ricerca a Gerusalemme è l’occasione per riflettere sul compito dei
genitori e di come essere adulti accanto a dei ragazzi che crescono.
1.
Credendo
che egli fosse nella comitiva. Maria e Giuseppe pensano
che il loro figlio sia nel gruppo famigliare, in una realtà conosciuta. Primo
atteggiamento importante è superare la presunzione di sapere, di avere la
situazione sotto controllo. A volte la presunzione è legata all’estensione del
frame. Un’immagine della pellicola viene confusa con l’intero film. Tuo figlio
a casa è tranquillo ed educato, di conseguenza pensi che sia sempre così. E ti
sembra strano se l’insegnante ti rivela la sua aggressività o la sua chiusura.
Pensate al fenomeno di bullismo capitato ad Abano Terme a fine novembre.
Ragazzi di tredici anni che pestano un loro compagno di scuola. Non parla il
bullizzato, non parlano i bulli finché non parlano gli ematomi. E allora gli
adulti increduli, da una parte e dall’altra, iniziano a interrogarsi: a mettere
insieme i pezzi che prima avevano trascurato: chiusura, isolamento, improvviso
calo del rendimento scolastico. Soprattutto dichiarano la loro sorpresa: «Sì,
abbiamo sentito ciò che è successo. Pensavamo che certe cose si potessero
vedere solamente in televisione». Ecco la carovana: tu pensi
che tuo figlio sia quello di sempre, invece sta capitando qualcosa di
importante. Ci sei? Dove sei? Prova a sentire anche le impressioni degli altri:
se qualcuno ti dice qualcosa su tuo figlio che non ti piace, forse non è un
nemico, ma qualcuno che ti sta dando una mano.
2.
Cammina e cammina, chissà con quali
sentimenti in cuore, dopo tre giorni lo
trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri. E a quel punto la
domanda: «Figlio, perché ci hai fatto
questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ecco, nella
relazione educativa le domande sono importanti, per trovarsi e per capirsi.
Domande corrette, pertinenti, aperte a una risposta che non è quella che ho già
in mente. Non è facile: a volte infatti abbiamo paura di fare domande perché le
risposte ci fanno paura; altre volte facciamo domande aggressive, sarcastiche
che non cercano risposte ma l’affermazione di sé e delle proprie idee. Pensate
alle domande inutili: Come è andata oggi
a scuola? O a quelle ironiche: Per
venire a casa da scuola devi passare per Via Motte? O a quelle indagatrici:
Cos’è sta puzza di fumo che ti porti
addosso? Chi è quello là con cui parlavi? Guardate alla domanda di Maria.
Innanzitutto alla domanda segue la comunicazione di uno stato d’animo. Angosciati, ti cercavamo. Fai capire che
c’è qualcosa che ti sta a cuore, che c’è amore in quello che dici. Poi Maria
coinvolge anche Giuseppe: Tuo padre e io.
Mai agire per conto proprio, sempre in sintonia. Poi rimanere sul fatto,
non sulle sue interpretazioni: Perché ci
hai fatto questo? Non dice: perché sei fuggito, perché ci hai dimenticato,
perché te ne impippi di noi… Non è detto che a quel punto avrete le risposte
che state cercando, ma a quel punto voi avrete agito con rispetto e avrete dato
un segnale di disponibilità.
3.
Poi c’è la risposta di Gesù. Perché mi cercavate? Non sapevate che io
devo occuparmi delle cose del Padre mio? Alle domande di Maria e Giuseppe,
Gesù risponde con altre domande. Mi pare interessante per due motivi questa
risposta. Primo, perché non devi mai cessare di interrogarti su quello che Dio
sta suggerendo alla tua famiglia. Perché tu ti comporti in una maniera che ti
sembra buona, non è detto che vi sia il disegno di Dio. Allontano i figli dai
nonni perché non si sono comportati bene. È proprio quello che ti dice il
Signore o ti dice il tuo orgoglio? Secondo: anche tu puoi rispondere ai tuoi
figli con le domande: Non voglio più
andare a messa, i miei amici non fanno più religione. Credere è da sfigati. Sei proprio sicuro che sia la scelta
migliore? Sei sicuro che in duemila anni di storia il cristianesimo abbia
seminato scemenze? E continui a girare il risotto, facendo capire che forse c’è
un pezzo di strada in più da fare. Proprio così: alla fine non ci sono risposte,
ma la strada verso Nazaret, quella in cui Gesù, Maria e Giuseppe accolgono
quella loro particolare famiglia e in essa continuano a capire e a capirsi, a cercare e a trovare, come a casa
nostra, come in ogni famiglia disposta a lasciarsi condurre da un progetto più
grande del proprio.