lunedì 30 gennaio 2017

Omelia 29 gennaio 2017


Quarta domenica del Tempo Ordinario

Lord Richard Layard è un economista inglese formatosi a Cambridge, che ha messo in relazione la percezione della vita da parte delle persone e lo sviluppo del paese. E ha elaborato quella che oggi viene chiamata l’economia della felicità, teoria in cui si dimostra che l’impegno nel migliorare il modo con cui i cittadini leggono la loro vita e il futuro migliora anche le condizioni del paese. E in Inghilterra la teoria si è trasformata in un programma di accompagnamento e di sostegno a persone che attraversano momenti di incertezza e di fragilità.

Ebbene, anche Gesù oggi presenta la sua economia della felicità, un discorso programmatico in cui descrive la sua visione dell’uomo e del mondo, il presente e il futuro e soprattutto le condizioni che rendono un uomo felice.

1.    Partiamo proprio da questa parola: beati. In ebraico essa risuona col termine ‘shr che significa camminare, andare avanti. Come dire: Avanti i poveri in spirito, avanti gli affamati di giustizia, avanti i misericordiosi… L’economia della felicità divina appartiene a gente disposta a camminare. Ieri sera un giovane animatore, raccontando la sua esperienza di fede, ha detto che ad un certo punto ha preso le distanze dai suoi genitori che gli martellavano di andare a messa. «Voglio essere io a decidere cosa fare e dove andare. Però – ha concluso con disincanto – dopo cinque anni ho visto che la mia vita non era andata da nessuna parte».

La beatitudine di Gesù è un cammino. Il cristianesimo è un cammino dato che ancora prima di chiamarsi così si chiamava semplicemente “la via”. Lasciati scomodare dalla vita, dal Signore. Forse c’è qualcosa in più del sistema che ti sei creato.

2.    Altro aspetto della felicità divina è nei suoi contenuti. Sembra che i beati del regno dei cieli siano gente cui manca qualcosa o che vive un certo scarto rispetto alla felicità del mondo. Dove sta allora la felicità? La felicità ha bisogno di vuoti da riempire e di lotte da esercitare: se hai già tutto o tutto è scontato, che te ne fai di Dio? Il beato che lui ha in mente è un uomo che patisce la mancanza di qualcosa di vitale, che lotta per averlo, che non teme i giudizi del mondo per affermarlo. In questi giorni a Ferrara è stato inaugurato il Museo delle domande. Si tratta di un luogo dedicato alla tragedia delle deportazioni nei lager nazisti. Nella vita di ogni giorno noi cerchiamo risposte, magari immediate e convenienti. Lo sterminio nazista invece è il luogo delle domande. E un luogo dove ci si svuota e si cerca una verità diversa da quella del buon senso, da quella dei potenti della storia, da quella dei discorsi di circostanza. Ecco, sembra dirci Gesù, la mia beatitudine la trovi quando ti metti dalla parte dei poveri, quando non acconsenti alla violenza, quando senti nel tuo cuore la stretta della compassione e della misericordia, quando non smetti di lottare per la giustizia. Ma lo sai che sta succedendo a Belgrado? Hai visto il dramma di quei disperati racchiusi in una morsa di gelo nella vecchia stazione della città? Primo Levi scrisse Se questo è un uomo a partire dalla sua esperienza nel campo di concentramento di Monowitz, ma le parole di quel libro interpretano anche i drammi di questo nostro tempo:

«Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango

Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no».

La beatitudine è nuovamente nascosta nella capacità di esserci con i sentimenti di Dio, di interrogare la nostra superficialità, di stabilire vicinanza e di liberare.

3.    Infine la beatitudine è un dono ridistribuito. Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Vedendo le folle Gesù chiama i discepoli e li rende espressione della sua beatitudine. La tua felicità è essere felicità per qualcun altro. Prova a decentrarti da te stesso e dalla tua pretesa di felicità. Mi fa riflettere ad esempio il modo con cui i diciottenni ultimamente festeggiano la maggiore età. Stessa festa nello stesso locale con la stessa gente, lo stesso abbigliamento, le stesse pose nei selfie. E la sensazione che si faccia di tutto per apparire felice ma senza esserlo davvero. Prova a vedere se diventare grande non può aprirti strade diverse: prova a vedere se riesci a far felice qualcuno. Forse è anche quello che noi adulti dobbiamo e possiamo indicare aiutando un figlio a fare questo passaggio. Pensate a quella vicenda, di quel ragazzo che supportato da un avvocato e dalla sua famiglia, cita in giudizio la scuola perché gli ha sequestrato il cellulare. Prova a supportare tuo figlio nell’apertura agli altri e alla vita non nella difesa di discutibili diritti cui non corrispondono i doveri. Beati! Non perdere un appuntamento importante, perché ne va della tua vita e della tua felicità.

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