Terza domenica di avvento
Le testimonianze
che in queste settimane arrivano dall’Iraq sono piene di violenza, odio e
distruzione. Ma insieme ci raccontano di persone capaci di resistere con la
forza della fede. Cristiani che hanno rifiutato la conversione all’Islam come
contropartita per rimanere nelle proprie terre anche se sapevano che avrebbero
perso tutto e talvolta anche la vita. E quattro adolescenti sono stati
decapitati per aver replicato ai loro carcerieri che li invitavano a recitare
la shahada, la testimonianza di fede nell’islam: «Amiamo Gesù e seguiamo solo Lui». Parole che scuotono la nostra
fede privatizzata e a volte intorpidita e ce ne chiedono ragione. Perché sembra
non sia più elegante manifestare le proprie convinzioni credenti: potrebbe
creare imbarazzi, non è politically
correct. La figura di Giovanni Battista ci ricorda il valore della
testimonianza, termine che ritorna per ben quattro volte nel vangelo che
abbiamo ascoltato, come se volesse diffondersi sui quattro punti cardinali della
nostra vita e dirci che non c’è orizzonte escluso da tale esigenza. Chi è il
testimone?
1.
Anzitutto è chi che non si limita a
qualche forma di assenso ma che accetta
di collocare l’intera sua identità in relazione alla fede: «Tu chi sei? Che cosa dici di te?». È un
capitolo importante e qualche volta trascurato come se rispondere alle
questioni della fede fosse opzionale. Oggi ad esempio capita con una certa
frequenza che, mentre si sta costituendo una relazione di coppia, la dimensione
credente venga percepita come marginale. E questo non capita solo con persone
di altre religioni ma anche tra cristiani, uno dei quali si dimostra un po’
indifferente. E allora per non creare tensioni non si affronta il capitolo,
lasciandolo incustodito o nascondendolo dietro all’idea che l’importante sia
volersi bene e che per stare insieme sia necessario rinunciare a …qualcosa. Uno
rinuncia al calcetto, l’altro rinuncia alla messa! Ma sono uguali le
prospettive che dischiudono calcetto e messa? Che cosa tiene in piedi la tua
vita? Che cosa indicherai a tuo figlio? C'è un documento del IV secolo che
riporta il processo di un gruppo di cristiani arrestati ad Abitene per essersi
riuniti di domenica. Quando il magistrato romano li interroga, essi rispondono:
Sine dominico non possumus. Che vuol
dire: non possiamo stare in piedi. E vanno al martirio. Non è una questione di
opportunità ma di identità. Chi sei? Ritrova la tua identità in relazione alla
fede.
2.
Altro aspetto su cui possiamo
riflettere è il fatto che Giovanni Battista alle domande che gli vengono
rivolte risponde con una serie di negazioni: «Tu chi sei?». «Io non sono… il Cristo, Elia, il profeta». Il testimone è riflesso di una luce non sua. A volte ci
immedesimiamo così tanto nella parte del salvatore che rischiamo di
sostituirlo. Iniziamo a fare qualcosa e ne veniamo assorbiti. A volte sono gli
altri che ci mettono in questo ruolo, come un genitore che è preso sempre più
dalle richieste dei figli che se ne approfittano, mentre il partner rimane un
po’ indifferente. E la situazione ad un certo punto ci fa scoppiare. Anche nel
volontariato può accadere: uno entra in una associazione e gli si scarica
addosso tutto il lavoro o un certo tipo di lavoro, quello che nessuno vuole
fare. A volte però queste consegne gravose trovano la complicità
dell’interessato nel quale scatta un certo autocompiacimento, fino al paradosso
di allontanare gli altri. Solo io so fare
alcune cose. Ah, se non ci fossi io! Corriamo il rischio di occupare tutta
la scena e di metterci al posto di Dio. Giovanni dice: In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete. Rifiuta le
identificazioni con Dio e smetti di autocelebrarti. C'è qualcun altro da
conoscere e da accogliere. Lui deve
crescere dirà Giovanni, io
diminuire.
3.
Infine il testimone è voce. A volte noi un po’ snobbiamo la testimonianza
delle parole perché ci sembra che servano i fatti. Invece Giovanni sa che la
voce è importante. La voce non è la parola, ma senza la voce la parola resta
muta. La testimonianza ha bisogno della voce. Quale voce? Giovanni è voce che
grida nel deserto. Ecco, forse oggi ci è chiesto proprio questo: nei deserti
della vita, gridare le ragioni di Dio. Pensate al Natale ormai vicino, alla sua
organizzazione anche a casa nostra. Lo accompagniamo con quali parole? Quelle del
cinepanettone e degli acquisti o parole che dicano accoglienza, responsabilità,
gratitudine, gioia? Con i figli, ad esempio. A volte è controproducente il
richiamo di andare a messa, ma la voce può essere usata non solo per dire “ci
devi andare”, bensì per raccontare quanto importante lo sia per la tua vita. Voce
che diventa testimonianza non comandi.
Venne come testimone della luce.
Ci aiuti il Signore ad essere testimoni coraggiosi e lieti. Ci aiuti a dire
come quei giovani iracheni: «Amiamo Gesù, seguiamo lui solo».
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