domenica 14 dicembre 2014

Omelia 14 dicembre 2014


Terza domenica di avvento

Le testimonianze che in queste settimane arrivano dall’Iraq sono piene di violenza, odio e distruzione. Ma insieme ci raccontano di persone capaci di resistere con la forza della fede. Cristiani che hanno rifiutato la conversione all’Islam come contropartita per rimanere nelle proprie terre anche se sapevano che avrebbero perso tutto e talvolta anche la vita. E quattro adolescenti sono stati decapitati per aver replicato ai loro carcerieri che li invitavano a recitare la shahada, la testimonianza di fede nell’islam: «Amiamo Gesù e seguiamo solo Lui». Parole che scuotono la nostra fede privatizzata e a volte intorpidita e ce ne chiedono ragione. Perché sembra non sia più elegante manifestare le proprie convinzioni credenti: potrebbe creare imbarazzi, non è politically correct. La figura di Giovanni Battista ci ricorda il valore della testimonianza, termine che ritorna per ben quattro volte nel vangelo che abbiamo ascoltato, come se volesse diffondersi sui quattro punti cardinali della nostra vita e dirci che non c’è orizzonte escluso da tale esigenza. Chi è il testimone?

1.    Anzitutto è chi che non si limita a qualche forma di assenso ma che accetta di collocare l’intera sua identità in relazione alla fede: «Tu chi sei? Che cosa dici di te?». È un capitolo importante e qualche volta trascurato come se rispondere alle questioni della fede fosse opzionale. Oggi ad esempio capita con una certa frequenza che, mentre si sta costituendo una relazione di coppia, la dimensione credente venga percepita come marginale. E questo non capita solo con persone di altre religioni ma anche tra cristiani, uno dei quali si dimostra un po’ indifferente. E allora per non creare tensioni non si affronta il capitolo, lasciandolo incustodito o nascondendolo dietro all’idea che l’importante sia volersi bene e che per stare insieme sia necessario rinunciare a …qualcosa. Uno rinuncia al calcetto, l’altro rinuncia alla messa! Ma sono uguali le prospettive che dischiudono calcetto e messa? Che cosa tiene in piedi la tua vita? Che cosa indicherai a tuo figlio? C'è un documento del IV secolo che riporta il processo di un gruppo di cristiani arrestati ad Abitene per essersi riuniti di domenica. Quando il magistrato romano li interroga, essi rispondono: Sine dominico non possumus. Che vuol dire: non possiamo stare in piedi. E vanno al martirio. Non è una questione di opportunità ma di identità. Chi sei? Ritrova la tua identità in relazione alla fede.

2.    Altro aspetto su cui possiamo riflettere è il fatto che Giovanni Battista alle domande che gli vengono rivolte risponde con una serie di negazioni: «Tu chi sei?». «Io non sono… il Cristo, Elia, il profeta». Il testimone è riflesso di una luce non sua. A volte ci immedesimiamo così tanto nella parte del salvatore che rischiamo di sostituirlo. Iniziamo a fare qualcosa e ne veniamo assorbiti. A volte sono gli altri che ci mettono in questo ruolo, come un genitore che è preso sempre più dalle richieste dei figli che se ne approfittano, mentre il partner rimane un po’ indifferente. E la situazione ad un certo punto ci fa scoppiare. Anche nel volontariato può accadere: uno entra in una associazione e gli si scarica addosso tutto il lavoro o un certo tipo di lavoro, quello che nessuno vuole fare. A volte però queste consegne gravose trovano la complicità dell’interessato nel quale scatta un certo autocompiacimento, fino al paradosso di allontanare gli altri. Solo io so fare alcune cose. Ah, se non ci fossi io! Corriamo il rischio di occupare tutta la scena e di metterci al posto di Dio. Giovanni dice: In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete. Rifiuta le identificazioni con Dio e smetti di autocelebrarti. C'è qualcun altro da conoscere e da accogliere. Lui deve crescere dirà Giovanni, io diminuire.

3.    Infine il testimone è voce. A volte noi un po’ snobbiamo la testimonianza delle parole perché ci sembra che servano i fatti. Invece Giovanni sa che la voce è importante. La voce non è la parola, ma senza la voce la parola resta muta. La testimonianza ha bisogno della voce. Quale voce? Giovanni è voce che grida nel deserto. Ecco, forse oggi ci è chiesto proprio questo: nei deserti della vita, gridare le ragioni di Dio. Pensate al Natale ormai vicino, alla sua organizzazione anche a casa nostra. Lo accompagniamo con quali parole? Quelle del cinepanettone e degli acquisti o parole che dicano accoglienza, responsabilità, gratitudine, gioia? Con i figli, ad esempio. A volte è controproducente il richiamo di andare a messa, ma la voce può essere usata non solo per dire “ci devi andare”, bensì per raccontare quanto importante lo sia per la tua vita. Voce che diventa testimonianza non comandi.

Venne come testimone della luce. Ci aiuti il Signore ad essere testimoni coraggiosi e lieti. Ci aiuti a dire come quei giovani iracheni: «Amiamo Gesù, seguiamo lui solo».

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