domenica 28 aprile 2013

Omelia 28 aprile 2013

Quinta domenica di Pasqua

Ieri le ho contate, perche nel portafoglio non ci stavano più. Ed erano una quindicina. Sono tessere e carte che identificano l’esistenza. Ci sono quelle delle banche che consentono i pagamenti, quelle del lavoro che scandiscono l’orario d’ufficio, quelle della palestra, dell’autobus, del fisco e della sanità. E poi quelle dei negozi: un’infinità. E i negozi, ogni volta che passi la carta alla cassa, ti danno dei vantaggi, ma soprattutto essi ne hanno vantaggio: ti tengono legato, colgono i tuoi gusti, sanno quali sono gli orari che preferisci, capiscono come dosare i prodotti. Dimmi che carte hai e ti dirò chi sei.
Anche Gesù ci dà una carta di riconoscimento. Ma non sta nel portafoglio: sta nei gesti e negli atteggiamenti, negli orientamenti e nelle scelte della vita. Ed è la carta dell’amore. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. Ci sono religioni che parlano con la forza dell’ascesi e della purificazione, altre con la meditazione, altre con l’irruente presa di posizione nei confronti del mondo. I cristiani invece si riconoscono dall’amore. Di che amore si tratta e come funziona?

1.     Anzitutto Gesù anticipa questi discorsi parlando di gloria: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui». La gloria è il mondo di Dio, la realtà che ne custodisce il mistero. Ma la gloria divina non se ne sta nei cieli: essa si manifesta attraverso Gesù e il dono di sé che egli fa nella croce. La gloria di Dio è amore totale, libero e disinteressato. I discepoli di Gesù Cristo vivono l’amore perché il Dio che hanno conosciuto è così. È quello che Andrej Rublev cercava di dirci con l’icona della Trinità: tre persone sedute a tavola, con un lato del banchetto aperto per ospitare l’osservatore, per ricordargli che anche lui ha un posto in quella medesima realtà. Chi vede la carità vede la Trinità. Forse avete sentito che Magdi Allam, noto giornalista che si era convertito dall’Islam al cristianesimo, ha lasciato la chiesa. Se ne è andato perché non accetta un’impostazione “buonista” che, a suo dire, ha messo da parte l’esigenza di affermare la verità di Gesù Cristo e di combattere contro la “dittatura del relativismo”. Non gli va, inoltre, lo stile di dialogo che questo papa ha incoraggiato, ricevendo addirittura la delegazione islamica. Ma qual è la verità del cristianesimo, se non l’amore? La gloria di Dio appare in questo modo.

2.     Un altro aspetto dell’amore è che corrisponda a un comandamento. Ha una forza obbligante, come ogni comandamento. Ma è un comandamento nuovo, poiché l’obbligo non deriva dalla coercizione, ma dall’adesione, dall’aver intuito qualcosa di bello e promettente. È quello che molti percepiscono in relazione all’attuale pontefice: vedi che i suoi gesti di affetto, di accoglienza, di carità costituiscono per lui una sorta di imperativo. Ma è un imperativo che gli esce spontaneamente e al quale ci crede. A volte noi facciamo dell’amore un consiglio opzionabile o un comandamento senza adesione interiore. Nel primo caso lo riduciamo a una prerogativa part-time, legata ad alcuni interventi filantropici, nel secondo poniamo dei gesti senza troppo coinvolgimento. Dobbiamo sempre vigilare perché, quando non accogliamo il comandamento dell’amore, altri comandamenti sono in agguato. Dell’opportunismo, del calcolo, del moralismo, del ritorno pubblicitario, della convenienza. Ma queste derive non solo ci rendono poco solidali con gli altri: tradiscono quello che siamo. Perché se siamo stati creati da un Dio che è amore, di amore siamo fatti e di amore ci alimentiamo. Il comandamento non salvaguarda una nobile altruistica propensione, ma salvaguarda la nostra identità. Non amiamo per risolvere i problemi dell’umanità, ma per evitare di perdere la nostra. Ecco perché è così importante.

3.     Infine l’amore cristiano ha un termine di riferimento costante: come io ho amato voi. Come. Il cristiano trova le misure dell’amore nelle misure di Gesù. È una tensione inesauribile, ma salutare, che impedisce all’amore di confondersi, di sottosvilupparsi. Perché può capitare che le nutrie divengano più importanti degli uomini e che a Treviso la loro causa trovi più spazio nei giornali più di quanto non ne abbia il neonato centro d’ascolto delle parrocchie cittadine. Ma, per cercare questioni più rilevanti: quello che sta accadendo in Francia, con il riconoscimento dato ai matrimoni omosessuali, pratica dell’adozione compresa, è in sintonia con il “come” di Gesù? E anche in Italia il tentativo di far passare l’idea che siamo un paese retrogrado perché non ci apriamo a simili conquiste di civiltà. Come io ho amato. L’amore di Gesù è dono, reciprocità, rispetto. E lo è di tutti, anche di un bambino che ha diritto ad un padre e a una madre e non è l’oggetto delle tue rivendicazioni e conquiste.

Il comandamento nuovo di cui ci parla il vangelo trova oggi una singolare corrispondenza con quei cieli e terra altrettanto nuovi di cui ci parla l’Apocalisse. Cieli e terra crocevia di quella città che scende dal cielo e ridisegna la convivenza degli uomini. Il comandamento dell’amore allora non è poesia per cuori romantici, ma la modalità con cui i discepoli di Gesù partecipano alla costruzione del suo Regno e con lui dicono: Ecco, io faccio nuove tutte le cose.

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