sabato 20 aprile 2013

Omelia 21 aprile 2013

Quarta domenica di Pasqua

Sono ancora vive nella mia mente le immagini di Piazza S. Pietro, gremita all’inverosimile da almeno ottantamila fedeli, mercoledì scorso, all’udienza di Papa Francesco. Un’assemblea di straordinarie proporzioni, ma composta e festosa, mossa dal desiderio di incontrare il successore di Pietro, di pregare con lui, di poter trovare sostegno nella fede. Sembrava la moltitudine immensa di ogni nazione, tribù, popolo e lingua di cui ci ha parlato il libro dell'Apocalisse. E la figura del Papa che, con l’immediatezza e la semplicità che gli sono proprie, diviene segno di unità, di appartenenza, di considerazione e di stima verso ciascuno.

Roma, però, in questi giorni ci ha dato anche un’altra immagine: quella della desolazione partitica e istituzionale legata all’elezione del Capo dello Stato. L’incapacità di trovare un accordo, l’incaponimento nelle proprie posizioni, la congiura e il tradimento, la provocazione irriverente, l’insulto. Se qualcuno non ti piace non c’è bisogno di scriverlo nella maglietta o di farne un panino. Il rispetto delle idee non deve mai dimenticare il rispetto delle persone.

Perché da un lato vi è un quadro di unità e dall’altro uno di frammentazione? Forse perché la figura del pastore non solo determina una relazione, quella che i cristiani hanno con il loro Signore, ma stabilisce anche uno stile, un modo di prendersi cura degli altri di cui abbiamo perso le coordinate. E il Buon Pastore oggi ritorna per ricordarci questo differente orizzonte: la dispersione alla quale ci espone la pretesa di salvare se stessi e l’esigenza di custodire gli altri che ci sono affidati. Che stile ci insegna il Buon Pastore?

1.     Le mie pecore ascoltano la mia voce. Il Buon Pastore è in azione quando si sente la sua voce. Ma è una voce carica di attaccamento e di affetto per le proprie pecore: Io le conosco ed esse mi seguono. A volte i pastori terreni non funzionano perché alzano la voce ma non vi è partecipazione alla sorte del gregge. Manca l’affetto. Può essere un politico che ha perso il contatto con la situazione del Paese. Può essere un prete che predica messaggi senza vita. Può essere anche un genitore o un educatore che dice tante parole di esortazione, di spiegazione, di raccomandazione ma senza il cuore. Se un ragazzo arriva a dire con lucido disincanto: «Non mi fido dei miei professori», che cosa ha percepito dei suoi insegnanti? Oggi ai ragazzi vengono offerte numerose opportunità scolastiche, culturali e sportive. Anche le scuole sviluppano la loro offerta su un piano di forte concorrenza con altri istituti. Ma non va perso di vista il valore della relazione educativa. E l’educazione, come ricorda d. Bosco, è cosa del cuore. Se non ci metti cuore rimane ben poco. Le pecore ti ascoltano perché le conosci. Questo è il buon pastore.

2.     Altro tratto del pastore è la prospettiva di vita che tiene in serbo: Io do loro la vita eterna. Non basta assicurare un’azione di raccolta del gregge: occorre promuovere vita e difendere quella vita. Nessuno le rapirà dalla mia mano. Festa dei sedici anni. Una famiglia benestante organizza per la figlia un ricevimento in villa. Non capita raramente nella nostra città. Ma questa volta ci sono pochi e selezionati invitati che non si limitano a trascorrere qualche ora insieme, ma è chiesto loro di interpretare un copione che vagamente richiama il ballo delle debuttanti con tanto di troupe televisiva che riprende l’evento. Che vita stiamo aprendo a questi ragazzi? E poi ci interroghiamo perché con disinvoltura, in questo tempo di crisi, i figli chiedono soldi. Perché glieli diamo. Perché non ne indichiamo il valore. Perché temiamo di esporli al confronto con gli altri e a brutte figure. Ma cosa devi realmente temere? Il timore di essere considerato un poveraccio o che tuo figlio costruisca il suo futuro sul nulla, che perda le coordinate reali della vita? Io do loro la vita eterna. Fa’ in modo che la vita che indichi a tuo figlio sia una vita in piedi, che resista agli urti. E fa’ che nessuno li strappi dalla mano della responsabilità e dal gusto delle cose sudate.

3.     Infine il Buon Pastore sa di rispondere a qualcun altro: iI Padre che me le ha date è più grande di tutti. Noi siamo sempre pastori affidatari. Il gregge è di qualcun altro. E questo la aveva ben capito Pietro che, scrivendo ai presbiteri delle prime comunità, diceva loro: “Non spadroneggiate sul gregge”. Sei pastore se ti riconosci in una missione più grande della tua e se ti ricordi a chi appartiene ogni uomo che ti è affidato. Appartiene a Dio. Non spadroneggiare. Sul mistero della vita, sull’identità della famiglia, sul diritto alla cura, alla salute e a una vita dignitosa. Ci possono essere le personali convinzioni, ci può essere una logica di opportunità o di convenienza ma ci sono dei valori non negoziabili che hanno lo scopo di inserirci in un orizzonte più grande ed evitare il rischio di metterci al posto di Dio. Perché  quando si toglie tale riferimento non si è più liberi o più laici: si è schiavi di altri potentati o egemonie, a cominciare dalla pretesa di autodeterminare giusto e sbagliato, giusti e sbagliati.

Le mie pecore ascoltano la mia voce. Non è una voce gridata quella di Gesù. Oggi meno che mai. Ma è la voce di chi conosce, di chi vuol bene e in quel bene nasconde una promessa di vita che è aperta a tutti e che dura per sempre.

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