lunedì 19 dicembre 2011

Omelia 18 dicembre 2011

Quarta domenica di Avvento
In Italia secondo i dati Caritas almeno ottocentomila persone sono cadute in povertà dopo la separazione e fra loro si contano tanti uomini che, pur con un lavoro remunerativo, ora sono diventati nuovi poveri perché i soldi se ne vanno per assegni di mantenimento, psicologi e avvocati. A Milano, presso i padri oblati di Rho, è sorta una struttura dove è possibile soggiornare al costo di 200 euro mensili per circa un anno, il tempo di stabilizzare la propria posizione.
«Ho dormito anche in un furgone insieme ai miei materiali di lavoro – racconta uno di loro – e ho provato la convivenza con altri in un appartamento, ma mi sentivo come uno studente universitario senza legami. Qui, a Rho, c’è invece un entusiasmo diverso, contagioso». È una vita rimessa in gioco, una casa che si apre dopo che un’altra casa si è chiusa. E, pur nei limiti di queste situazioni, c’è in esse qualcosa di divino simile alla vicenda di Davide raccontata nella prima lettura. Il re vuole costruire una casa per il Signore, ma sarà il Signore a costruire una casa per il re. Una nuova possibilità di vita e di alleanza destinata a durare nel tempo. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre. Ecco, in questo tempo di avvento, mentre anche noi cerchiamo di fare una casa per Dio, in realtà è lui che ci fa una casa, che ci rende la sua casa. Come avviene per Maria, abitazione nella quale Dio prende dimora. Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Come si diventa casa per Dio? Come le nostre costruzioni talvolta in rovina possono trovare nuova possibilità di stare in piedi?

1.    È una casa che nasce anzitutto da un invito alla gioia. È una dimensione che oggi talvolta ci sfugge quando costruiamo una casa, primo perché farlo è diventato un’impresa difficile, secondo perché gli aspetti tecnici ed economici prendono il sopravvento. Ma una casa è anzitutto esperienza di gioia di chi rilegge se stesso, la propria famiglia, le relazioni, il futuro, il modo con cui accosterà la vita. La fatica con cui una famiglia oggi può accedere ad una casa propria, soprattutto in città, riduce gli spazi della gioia, rischia di aumentare le preoccupazioni e appesantire il carico dei giorni. Così a volte anche con Dio. Vivere nella sua casa a volte ci sembra più un onere che una gioia, tributi da pagare più che bellezza che ridisegna la vita. Ma l’angelo a Maria non dice: prega, studia, impara, impegnati. Dice: Rallegrati. Dio ostinatamente vuol essere bella notizia. Perché? L’angelo lo dice immediatamente: piena di grazia. Puoi essere nella gioia perché sei riempito dalla simpatia, dalla vicinanza, dalla tenerezza di colui che ti ama da sempre. Se mi ama da sempre – osserva qualcuno – che mi tolga le mie sofferenze: allora sarò nella gioia! Dio non percorre questa strada, perché non porta da nessuna parte, perché di sofferenze, di richieste, di desideri ne avresti sempre e non troveresti mai la gioia. Dio invece abita il tuo presente e lo sostiene, se solo gli permetti di entrare. Entrando da lei disse: Rallegrati. Se ti barrichi nella tua tristezza, nella tua solitudine, nella tua commiserazione, nella tua autosufficienza, non c’è posto per lui, né per la sua casa, né per la sua gioia.

2.    È una casa fatta di attenzione, di spessore, di comprensione e discernimento. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. Dio costruisce con chi si interroga e riflette non con la superficialità. Un fenomeno interessante di questi giorni è un film muto: The artist. E i giornali si interrogano sul fatto che la gente va a vederlo e ne rimane affascinata. Chissà perché. E chissà che proprio quei giornali non ne siano la causa. Perché forse c’è oggi un eccesso di comunicazione e l’eccesso non comunica più ma nasconde. Apparentemente per affermare ragioni, verità. Vince chi grida di più. Ma quel grido non ci convince del tutto e torniamo ad affermare l’esigenza di riflettere, di capire. Le parole che valgono sono quelle pesate, quelle che nascono dal silenzio, dalla possibilità di capire i fatti e le ragioni non quelle che si nutrono di luoghi comuni, della contrapposizione e della polemica. Nell’ascolto attento Maria accoglie la Parola vera ne diviene dimora. Senza tale atteggiamento alberghi solo te stesso.

3.    E infine la casa di Dio allarga i suoi confini. Vedi Elisabetta tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio. La casa che Dio vuol fare è sempre un po’ più larga della tua. Ci domanda la sua realizzabilità anche intorno a noi. In questi giorni finalmente si è aperto qualche spiraglio per il mondo del carcere, per una situazione di sovraffollamento non più tollerabile. A volte questo mondo è circondato da stereotipi che popolano anche i discorsi dei cristiani. “Sono in albergo”. Certo, anche il bagno in camera; peccato che sia una turca maleodorante. “Non fanno niente dalla mattina alla sera”. Certo, perché non possono accedere programmi di reinserimento per i quali mancano i fondi. “Se si comportavano bene non sarebbero lì”. Ma il carcere non ospita più detenuti di forte pericolosità sociale, ma gente che nel 70% proviene da zone di emarginazione e povertà. Carcere che è diventato manicomio, ricovero, centro di accoglienza. La casa di Dio forse riguarda anche questa gente, almeno da guardare con occhi diversi e di cui parlare con maggior cognizione, se non con misericordia.
Il Signore Dio ti farà una casa. Ancora una volta lui prende dimora. Non come villeggiante, ma come coinquilino. Per indicarci un’umanità possibile e una convivenza nuova.

Nessun commento:

Posta un commento