Esequie Mamma Gioconda Vielmo Omelia – 4 febbraio
2023
Rm 8, 28-30 - Gv 2,1-11
La presenza di uno zio sacerdote, poi vescovo,
che ogni tanto rientrava a casa, portava il senso del sacro, della vita di
fronte al Signore; il legame e la frequente corrispondenza con la zia Gesualda,
monaca di clausura, aiutavano una ragazza che cresceva, che si sarebbe
fidanzata e avrebbe costruito una sua famiglia, a individuare le cose
importanti, a fuggire quelle pericolose, soprattutto a sentirsi sempre in
compagnia di Gesù e della Vergine Maria. E il Santuario di Monte Berico, meta
di frequenti pellegrinaggi, di Avemarie e di candele accese, era il luogo cui
tornare e da cui ripartire, fonte cui attingere non solo un sorso d’acqua ma il
senso stesso dei giorni, ancora una volta nascosto in quelle parole: «Fate quello che lui vi dirà».
Che cosa ha detto il Signore alla mamma? Quali
parole le ha suggerito?
1.
Le ha detto anzitutto parole di famiglia, quelle che l’hanno portata a condividere con
il papà un progetto ricco di amore, fedeltà, di responsabilità. Le scriveva la
zia suora nel Natale del 1960, quando la mamma era in Svizzera a lavorare: «Nel tuo fidanzamento sii sempre seria,
gentile e buona, non apparentemente, ma concretamente. Ti raccomando, come al
principio così sia la fine». E la mamma c’è stata, dal principio alla fine, con la concretezza di
chi non amava a parole ma con i fatti, di chi timbrava il cartellino ma solo
per passare dalla fabbrica al lavoro di casa, di chi non aveva paura dei
sacrifici se diventavano opportunità per i figli. Poche spese fuori posto, per
lei e per noi. La ricchezza andava cercata altrove: facendo il proprio dovere, custodendo
il contatto con il Signore e mantenendo la concordia. Le gioie per la mamma erano queste, insieme a quella, di vederci tutti a tavola, fino agli ultimi giorni,
in quelle nozze di Cana del quotidiano dove proprio le madri sono garanzia del
vino buono custodito fino alla fine. Non tutto filava liscio, perché la vita a volte è faticosa, perché gli
imprevisti non mancano, perché non sempre ci si capisce. E anche alla mamma a
volte venivano i fumi; ma, senza che queste situazioni durassero a lungo,
cercava e indicava sempre strade di pace, di comprensione in quella tessitura
segreta del bene in cui le ragioni non prendono il posto della verità e la
considerazione della propria fragilità aiuta a comprendere anche quella degli
altri.
2.
Ma l’orizzonte familiare,
così importante per la mamma, sconfinava in uno più ampio. Andata in pensione, “sistemati”
noi figli, aveva trovato una famiglia più grande in una esperienza che le consegnava nuove opportunità e nuova felicità:
quella del
volontariato. Noi ci siamo resi conto
fino ad un certo punto di questa realtà e in buona parte l’abbiamo scoperta
solo in questi giorni, quando altre persone che condividevano il medesimo
impegno ce l’hanno fatto capire. Ogni giovedì c’era la Caritas cittadina, la
sistemazione e la distribuzione dei vestiti. Ogni tanto tornava contrariata con
quelle domande che a volte la solidarietà ti pone tra aiuto che puoi dare e
responsabilità che dovresti chiedere. Ma nel dubbio propendeva per il dono,
allestendo anche a casa una piccola Caritas, tutta sua, dove arrivavano altri
bisognosi e dove la mano sinistra non sapeva ciò che faceva la destra. Per una
quindicina d’anni è andata anche all’Iris, Centro diurno che accoglie chi
sperimenta l’infermità della mente. La mamma, portando la sua testimonianza in
un convegno dell’Associazione, scriveva a riguardo: «Mi sento a pieno titolo inserita in questa realtà
anche se quello che dono è ben poca cosa; quello che ricevo è molto di più. Quando
arrivano gli ospiti è una gioia vederli, il loro sorriso si fa grande, ci
baciano, ci prendono le mani, si sentono al sicuro, come in famiglia». Una bella pagina di carità, di compassione e
di cura, acqua trasformata in vino, di cui non voglio dire niente di più perché
la mamma rifuggiva dalle benemerenze terrene e portava la segreta persuasione
che sarebbe stata questa famiglia allargata, così la chiamava, ad aprirle le
porte del cielo.
3.
E infine le parole della croce. L’episodio di Cana risuona dell’ora di Gesù.
Donna, non è ancora
giunta la mia ora. E quell’ora ad un certo
punto è arrivata, mettendo a soqquadro la nostra famiglia. Non bastava la
malattia del papà, l’amianto respirato alla Fervet, che aveva compromesso la
salute sua e di tanti colleghi di lavoro. Appena dopo la sua morte, nel luglio
del 2020, anche alla mamma veniva diagnosticata la stessa patologia, per aver
lavato i suoi indumenti di lavoro, rimanendone contaminata. Una malattia
beffarda, insidiosa, malefica. Una pagina passata sottotraccia, di cui troppo
poco si parla, che interroga la storia dell'industrializzazione castellana, la
coscienza collettiva e lascia l’amarezza a chi, cercando di portare a casa il
pane quotidiano, ha talora portato a casa un pane avvelenato. Ma questi sono
oscuri pensieri miei. Alla mamma non appartenevano e se li ha fatti non ne è
stata vittima, andando avanti giorno per giorno con fiducia, speranza, voglia di
esserci ancora per noi figli, i nipoti, le persone care, facendo in modo che la
paura di morire non le impedisse di vivere.
E non era la ricerca di una confort-zone, non ignorava la realtà
che le apparteneva. Solo che lei la viveva con il Signore: nella preghiera,
nella messa, nella comunione che la domenica sera le portavo a casa,
nell’unzione degli infermi che ha voluto rinnovare anche nei giorni scorsi.
E forse da tale frequentazione derivava quell’affermazione che ha
ripetuto a più di qualcuno, con sorprendente tranquillità: Mi so pronta. Era arrivata l’ora e lei lo sapeva. L’esile
crocifisso africano, ricavato da un ramo di un albero, posto sulla testiera del
letto sembrava riconoscibile anche un po’ più in basso, tra le membra di un
corpo stremato cui, in questi ultimi giorni, potevamo dare solo un sorso
d’acqua. Riempite
d’acqua le giare. Era quello che il Signore
chiedeva anche a noi perché potessimo credere ancora una volta che lui era
capace di trasformazione, che anche la vita di una madre, di una sorella, di
una nonna sarebbe stata riempita di risurrezione.
Una decina di giorni fa, mentre alzavo le persiane della camera,
dicevo: «Mamma, hai
visto, sono fioriti gli ellebori che ti piacciono tanto». E lei aveva chiosato: «So mi che no fiorisso altro». Ma poi, come se quell’affermazione fosse
spiritualmente troppo spericolata di fronte al figlio sacerdote, aveva
aggiunto: «No. Fiorisso
da naltra parte». E con il dito indicava il
cielo.
Diceva poco fa S. Paolo: Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono chiamati
secondo i suoi disegni. A
volte è difficile intravedere i disegni di Dio: ci sembrano strani, oscuri. Ma tutto concorre al bene e con la mamma custodiamo la persuasione che
valga la pena fidarsi del Signore e che le sue fioriture non siano finite. Da
Cana ai nostri giorni, dal quotidiano che ci è dato all’eterno che ci sta
innanzi.
Sei un grande don per quello che ti ho consciuto si vede da dove arriva tutta la tua umilta ' hai avuto una bella famiglia e unagrande Mamma mi dispiace molto m
RispondiEliminaGrazie D
RispondiEliminaGERARDO .. L OMELIA DESCRIVE ILSERVIZIO MOLTO IMPORTANTE NELLA FAMIGLIA E NELLA Missione Grazie per la Tua famiglia e la Tua presenza fra noi a Godego
Grazie don Gerardo
RispondiEliminaPerdere la madre è una ferita che solo pregare cicatrizza..
RispondiEliminaSiamo vicine con la nostra preghiera... cara cugina Gioconda ti ricordiamo caramente... Gabriela e Vilma Vielmo
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