Trentesima
domenica del T.O. GMM
C’è
una trasmissione, una nuova serie coreana seguita da milioni di persone in
tutto il mondo. È un gioco tragico in cui dei poveracci indebitati vengono
messi in competizione con la promessa di un premio in denaro che porrà fine
alla loro povertà. Solo che chi è eliminato dal gioco non va a casa, ma viene
ucciso. Squid game. Il gioco del calamaro.
Ciò che mi impressiona non sono solo la brutalità con cui si esce dal gioco o
la sinistra competizione che si crea tra i partecipanti, ma la loro
trasformazione, determinata dal denaro. Se infatti ad un certo punto, dopo le
prime eliminazioni, chi volesse potrebbe andarsene, di fatto in molti rimangono
o ritornano per giocare di nuovo, attratti dal monte premi che cresce e modificati
nelle loro stesse convinzioni, nei valori in cui credevano: la vita, la
dignità, la libertà, il rispetto di ogni individuo. E chi muove il gioco lo sa
e si diverte a tenerti in scacco, a cambiare le tue convinzioni, a usurpare il
luogo più sacro che ti appartiene: la tua coscienza. Eccolo qui il calamaro.
Che ti schizza il nero in faccia, che ti impedisce di vedere, che ti oscura la
verità, che ti cattura e ti mangia.
Quel
cieco di cui ci parla il vangelo di oggi un tempo ci vedeva. E infatti dice a
Gesù: Rabbuni, che io veda di nuovo. Ma
qualcosa ha spento i suoi occhi. Non è che anche noi stiamo perdendo la vista?
La vista della fede, del vangelo, di quella vita buona che Gesù sogna per noi?
Proviamo a raggiungere il cieco e a metterci accanto a lui. Per capire, per gridare,
per guarire, com’è capitato a lui.
1. Bartimeo
vive a Gerico, oasi nel deserto, città di frontiera dove c’erano molte seconde
case e un tenore di vita medio-alto a motivo dei fiorenti commerci che
transitavano. Ma Bartimeo è un poveraccio ed è là col mantello raccolto sulle ginocchia
per raccattare qualche moneta che gli veniva gettata dai mercanti di passaggio.
Bar-timeo è il figlio di Timeo. Timè in greco è l’onore. Bartimeo è il figlio di
un onore che non c’è più, costretto
com’è a vivere di elemosina. A volte anche noi assomigliamo a Bartimeo e mendichiamo
elemosina. L’elemosina è una dipendenza malata. Da tua madre che continua a
mantenerti perché non trovi lavoro: però il lavoro manco lo vai a cercare o non
è mai quello che vorresti. L’elemosina del mantenuto. Ragazzi isolati che
iniziano a frequentare i bulli e che diventano bulli a loro volta perché così
acquistano rispetto; chi non mi ama almeno mi tema: l’elemosina del branco.
L’elemosina dell’apprezzamento che non hai avuto da piccolo e che ancora ti
porta a essere geloso di tuo fratello e a covare di risentimento. L’elemosina
della ripicca, del puntiglio, di chi gliela fa pagare per essere appagato. Senza
riuscirci. Ad un certo punto Bartimeo si alza e butta via il mantello. Ecco
l’operazione da fare: alzati in piedi, riprendi in mano la vita, smettila di
raccattare monetine e ricordati che sei figlio dell’onore, della dignità, di
una bellezza che Dio continua a scorgere dentro di te. Lui è la luce. Esci dalla
nube di inchiostro e impara a guardarti come ti guarda Dio.
2. C’è
un’altra dinamica importante per essere guariti dal calamaro. Cercare alleati,
persone che ti ascoltino nella tua ricerca di luce e ti aiutino ad arrivare a Colui
che è la luce. Perché non è detto che succeda così. Quando infatti il cieco
grida, qualcuno interviene per farlo star zitto. Molti lo rimproveravano perché tacesse. È quello che capita anche oggi,
quando uno cerca sentieri di verità, di fede, di vangelo. Taci, cosa ti inventi?
Un ragazzo di separati che chiede di andare a messa e il padre che gli dice: ci
vai quando sei con tua madre. Non mi fare più questi discorsi. Gesù potrebbe
chiamare il cieco e risolvere direttamente la questione, ignorando la folla.
Invece il suo intervento cerca ugualmente una mediazione, cerci i discepoli ai
quali dice: Chiamatelo. E costoro si premurano di andare dal cieco per dirgli: «Coraggio, alzati, ti chiama». Perché
Gesù non si arrangia? Perché sa che dev’essere guarito il cieco e devono essere
guariti anche i discepoli. Dall’inerzia, dalla rassegnazione, dall’indifferenza
o dalla vergogna quando qualcuno ti chiede di aiutarlo a crescere nella fede.
Oggi celebriamo la Giornata Missionaria. Ed essa porta questo messaggio: Profeti e testimoni. Non possiamo tacere.
Come i due genitori di quel sedicenne di Cosenza che, quando hanno scoperto che
era il loro figlio l’autore del pestaggio a sangue di un coetaneo, lo hanno
portato dai Carabinieri per l’autodenuncia. Non facciamo altro
che chiederci dove abbiamo sbagliato, dopo aver vissuto tutta la vita, e il
nostro essere famiglia, guidati dai valori dell’accoglienza, della correttezza
e del senso di responsabilità… Non so se avremo mai risposta a questa domanda,
ma, proprio sulla base dei valori che ci guidano, riteniamo giusto che nostro
figlio impari ad assumersi le sue responsabilità ed a rispondere delle sue scelte
e delle sue azioni, sebbene ancora minorenne. Il ragazzo sopraffatto
dal rimorso aveva confessato e loro quel grido sommesso lo hanno preso sul serio.
Non possiamo tacere.
3. E
infine quella richiesta. Rabbuni, che io
veda di nuovo. Mi pare una bella provocazione per chiederci dov’è che dobbiamo
tornare a vedere di nuovo. Vedere di nuovo qualcuno? O vedere in modo nuovo qualcuno? O vedere la vita
in maniera più attenta. Una relazione alla Settimana Sociale di Taranto ci ha
messo di fronte ai cambiamenti climatici che interesseranno l’Italia dal 2050.
Troppo vicina questa data per non lasciarci inquietare e non cercare di vedere
di nuovo le responsabilità che ci appartengono, anche quelle che mettono in
discussione i nostri stili.
E subito vide di
nuovo e lo seguiva lungo la strada. Il cieco guarito riprende
il cammino e ci fa capire che è anche il nostro cammino perché il calamaro non
vinca e perché la luce ci sia, per noi e per ogni mendicante di verità.
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