S. FAMIGLIA
Avete visto quella
pubblicità del nonno che pranza a Natale da solo e, preso dalla solitudine, a
un certo punto manda ai figli l’annuncio della sua morte?
(ecco il link https://www.youtube.com/watch?v=8ghn_QEOCAs)
I figli, tutti
personaggi in carriera, ricevendo quella comunicazione, sono presi dallo
sconforto, dal rammarico di non aver dedicato tempo con il loro padre e si
precipitano al funerale. Ma quando arrivano in casa il vecchio vivo li
sorprende e dice: devo arrivare a questo per vedervi tutti? E si compone una
bella tavolata.
Ecco, in questo
spot l’elemento famigliare è molto sviluppato. Per quanto la famiglia oggi sia
oggetto di varie interpretazioni e di varie situazioni, la pubblicità che fruga
nei nostri meandri più reconditi sa di trovare una verità insopprimibile nella
voglia di incontrarci, di stare insieme, di recuperare le corrette relazioni
della vita. Qualche volta puoi perdere di vista quel progetto, ma esso non
perde te e ti invita a recuperarne senso e misure. L’episodio dello smarrimento
di Gesù al tempio è una vicenda che ci aiuta a leggere i nostri disorientamenti
e i nostri ritorni.
1.
Anzitutto la perdita di Gesù. Maria e
Giuseppe non se ne rendono conto subito, ma dopo tre giorni, presupponendo che
il ragazzo fosse nella carovana, magari in compagnia di amici e conoscenti.
Ecco, nella carovana della vita a volte dai per presupposto che tutto funzioni
normalmente. E invece stai perdendo dei pezzi importanti. Come quando si
trascurano i messaggi che l’altro ci manda in nome di una visione della vita
che procede dai nostri presupposti. Tu sei preso in un vortice di occupazioni e
non ti accorgi che tua moglie si sta vedendo con un altro: messaggini, sguardi,
gentilezze... Eppure ti ha detto che ha bisogno di te, ti fa capire che da un pezzo
non le rivolgi un apprezzamento, un’affettuosità, ma sei persuaso che le tue
performances di tanto in tanto possano sopperire la tua latitanza: dove ne
trova un altro come te? E invece l’altro esiste e te la sta portando via. Due
sono i casi: o continui a guardare il tuo film, che presto finisce o torni a
Gerusalemme per vedere che cosa è successo. Dove ci siamo perduti?
2.
Un altro passaggio importante è la
necessità di coinvolgersi entrambi. Maria e Giuseppe partono insieme alla
ricerca di Gesù. E nel momento in cui lo trovano, le domande sono fatte in
prima persona plurale: «Figlio, perché ci
hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Il
progetto perduto lo si trova se lo si cerca insieme e se si cerca oltre se
stessi. A volte si crede di risolvere la difficoltà di coppia giocando al
ping-pong delle colpe. E ci si fa ancora più male: sei stato tu, è colpa tua...
No. Si deve ritornare sul progetto iniziale, convergere sulle soluzioni e farsi
aiutare. Sia che si tratti della relazione reciproca, sia che si tratti di un
figlio. A volte non lo si fa, convinti che l’altro stia esagerando o che il
problema non sussista. Ma solo perché l’altro ti dice di vederlo, il problema
va affrontato! Pensate anche all’importanza della comunicazione: ci sono dei
percorsi che ci aiutano a comunicare correttamente. Nella domanda di Maria c’è
l’affermazione di una relazione (=figlio), c’è un corretto coinvolgimento (=tuo
padre e io), c’è l’interrogativo (=perché), c’è spazio per i sentimenti
(=angosciati). I problemi si risolvono non per magia, ma gestendoli
attentamente e facendolo insieme.
3.
Infine le problematiche affrontate
correttamente ti spingono di fronte a nuove acquisizioni: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del
Padre mio?». Maria e Giuseppe non colgono il senso di queste parole ma
capiscono che in gioco c’è più di loro, più di quello che immediatamente
afferrano: qualcosa che ha a che fare con Dio. A volte la vicenda di una
famiglia è lo spazio di questa nuova comprensione. Come quando ti nasce un
figlio con qualche difficoltà. Nei giorni scorsi la cassazione ha respinto il
ricorso di una coppia che aveva intentato una causa contro l’Asl di Lucca
perché aveva sbagliato la diagnosi prenatale ed era nato un bambino con
sindrome di down e dunque, secondo i genitori con una vita «indegna di essere
vissuta». La famiglia sta in piedi non con i tuoi criteri ma coni criteri di
Dio che a volte ti regala bellezza anche nell’impossibile.
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