giovedì 31 dicembre 2015

Omelia 27 dicembre 2015


S. FAMIGLIA


Avete visto quella pubblicità del nonno che pranza a Natale da solo e, preso dalla solitudine, a un certo punto manda ai figli l’annuncio della sua morte? 
(ecco il link https://www.youtube.com/watch?v=8ghn_QEOCAs)
I figli, tutti personaggi in carriera, ricevendo quella comunicazione, sono presi dallo sconforto, dal rammarico di non aver dedicato tempo con il loro padre e si precipitano al funerale. Ma quando arrivano in casa il vecchio vivo li sorprende e dice: devo arrivare a questo per vedervi tutti? E si compone una bella tavolata.

Ecco, in questo spot l’elemento famigliare è molto sviluppato. Per quanto la famiglia oggi sia oggetto di varie interpretazioni e di varie situazioni, la pubblicità che fruga nei nostri meandri più reconditi sa di trovare una verità insopprimibile nella voglia di incontrarci, di stare insieme, di recuperare le corrette relazioni della vita. Qualche volta puoi perdere di vista quel progetto, ma esso non perde te e ti invita a recuperarne senso e misure. L’episodio dello smarrimento di Gesù al tempio è una vicenda che ci aiuta a leggere i nostri disorientamenti e i nostri ritorni.


1.    Anzitutto la perdita di Gesù. Maria e Giuseppe non se ne rendono conto subito, ma dopo tre giorni, presupponendo che il ragazzo fosse nella carovana, magari in compagnia di amici e conoscenti. Ecco, nella carovana della vita a volte dai per presupposto che tutto funzioni normalmente. E invece stai perdendo dei pezzi importanti. Come quando si trascurano i messaggi che l’altro ci manda in nome di una visione della vita che procede dai nostri presupposti. Tu sei preso in un vortice di occupazioni e non ti accorgi che tua moglie si sta vedendo con un altro: messaggini, sguardi, gentilezze... Eppure ti ha detto che ha bisogno di te, ti fa capire che da un pezzo non le rivolgi un apprezzamento, un’affettuosità, ma sei persuaso che le tue performances di tanto in tanto possano sopperire la tua latitanza: dove ne trova un altro come te? E invece l’altro esiste e te la sta portando via. Due sono i casi: o continui a guardare il tuo film, che presto finisce o torni a Gerusalemme per vedere che cosa è successo. Dove ci siamo perduti?

2.    Un altro passaggio importante è la necessità di coinvolgersi entrambi. Maria e Giuseppe partono insieme alla ricerca di Gesù. E nel momento in cui lo trovano, le domande sono fatte in prima persona plurale: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Il progetto perduto lo si trova se lo si cerca insieme e se si cerca oltre se stessi. A volte si crede di risolvere la difficoltà di coppia giocando al ping-pong delle colpe. E ci si fa ancora più male: sei stato tu, è colpa tua... No. Si deve ritornare sul progetto iniziale, convergere sulle soluzioni e farsi aiutare. Sia che si tratti della relazione reciproca, sia che si tratti di un figlio. A volte non lo si fa, convinti che l’altro stia esagerando o che il problema non sussista. Ma solo perché l’altro ti dice di vederlo, il problema va affrontato! Pensate anche all’importanza della comunicazione: ci sono dei percorsi che ci aiutano a comunicare correttamente. Nella domanda di Maria c’è l’affermazione di una relazione (=figlio), c’è un corretto coinvolgimento (=tuo padre e io), c’è l’interrogativo (=perché), c’è spazio per i sentimenti (=angosciati). I problemi si risolvono non per magia, ma gestendoli attentamente e facendolo insieme.

3.    Infine le problematiche affrontate correttamente ti spingono di fronte a nuove acquisizioni: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Maria e Giuseppe non colgono il senso di queste parole ma capiscono che in gioco c’è più di loro, più di quello che immediatamente afferrano: qualcosa che ha a che fare con Dio. A volte la vicenda di una famiglia è lo spazio di questa nuova comprensione. Come quando ti nasce un figlio con qualche difficoltà. Nei giorni scorsi la cassazione ha respinto il ricorso di una coppia che aveva intentato una causa contro l’Asl di Lucca perché aveva sbagliato la diagnosi prenatale ed era nato un bambino con sindrome di down e dunque, secondo i genitori con una vita «indegna di essere vissuta». La famiglia sta in piedi non con i tuoi criteri ma coni criteri di Dio che a volte ti regala bellezza anche nell’impossibile.



Nessun commento:

Posta un commento