Quinta domenica di Pasqua
Vi ricordate Il profumo del mosto selvatico?
Bellissimo film in cui ad una storia d’amore si accompagna la passione per una
vite nelle quale è racchiusa la vicenda di una famiglia. Una storia articolata
di un amore ostacolato. Il cambiamento avviene quando un improvviso incendio
devasta la vigna: sfidando le fiamme il giovane riesce a recuperare un pezzo
della radice della vite madre da cui ripartirà la nuova coltivazione e anche la
sua storia sentimentale. Ritrova la vite, ritrovi una storia d’amore e di
famiglia. Anche Gesù si serve di questa immagine carica di bellezza per
raccontarci la sua storia con noi. Io
sono la vera vite e il padre mio è l’agricoltore. Che cosa custodisce
questa simbologia?
1.
Custodisce innanzitutto l’idea di una
vita che cresce, che si diffonde, che crea legami. Il cristianesimo non è una
storiella edificante ma energia che muove l’esistenza e ne libera le misure più
alte. È capacità di pensare in maniera nuova, diversa, risorta. È uscire da
prospettive omologanti. Perché uno spacca tutto? Non sempre e non solo perché è
imbecille. Uno spacca anche per vedere oltre, quella realtà che non riusciamo a
mostrare presi come siamo a inscatolare il nostro presente. Avete visto con
quanta determinazione la mamma di Baltimora ha tirato via suo figli dagli
scontri con la polizia? Ecco una donna che indica una vita diversa e credibile,
tanto che il figlio se ne torna a casa tutto remissivo. Il cristianesimo è
breccia su una vita che sta in piedi, non sulle scimmiottature.
2.
Nell’immagine della vigna c’è poi un
verbo che ritorna per ben sette volte. Il verbo rimanere. La vite funziona se rimani attaccato ad essa, come i
tralci. Rimani attaccato a Gesù. Attaccati a lui vuol dire attaccati a quel
progetto d’amore che lui ti ha affidato. Oggi facciamo una certa fatica a rimanere e siamo attratti da
collocazioni che sono sempre altrove rispetto a dove un certo progetto ci ha
posti. Ci sentiamo in deficit di aspettativa e continuiamo a sognare la nostra
realizzazione altrove. Qualche giorno fa si rifletteva con un papà separato
sulle modalità del suo coinvolgimento nella prima comunione del figlio accanto
alla sua ex moglie. Non possiamo creare, diceva, una famiglia che non c’è più
perché questo riempie il bambino di illusioni. È vero, la vostra relazione di
coppia è venuta meno, ma la vostra realtà di padre e di madre rimane. Un bambino può aver diritto di
vedere i suoi genitori che gli rimangono
accanto in un momento importante? Può aver diritto ad un padre e una madre che
pur separati rimangono rispettosi
l’uno dell’altra? C’è un rimanere che
non viene meno anche quando si giunge ad una separazione. Altrimenti si
generano mostruosità educative, come quella di una bambina di nove anni che non
intende più andare a trovare uno dei due genitori separati perché anche lei dei
“rifarsi una vita”. Di chi sono quelle parole? Ecco il mito che ci strega:
rifarsi la vita, uscite di sicurezza. Insegna a tuo figlio ad affrontare le
difficoltà, non a fuggirle, come forse stai facendo tu, sulla scorta di alibi
indecenti.
3.
E infine l’immagine della vite
richiama quella del frutto. Chi rimane
nella vite porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.
Gesù rende fruttuosa la vita: non solo vegetazione, ma sostanza. Abbiamo visto
l’inaugurazione dell’Expo: un evento mediatico di grande impatto. Però abbiamo
sentito le parole di Papa Francesco e il monito che l’alimentazione non rimanga
“tema” ma diventi “volti”, specie di chi ha fame. Facciamo in modo che l’Expo sia occasione di un cambiamento di
mentalità, per smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane – ad ogni
grado di responsabilità – non abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o
lontano, soffre la fame. Inizia a combattere la cultura dello spreco, del
prodotto selezionato, del cane o del gatto che mangia meglio dell’immigrato. E
allora la vita porta frutto. Di altruismo e di universalità. La globalizzazione
della solidarietà.
Amiamo non a parole e con la lingua, ma con i fatti e nella
verità. La vite è
un’esperienza di verità, per ritrovare autenticamente la nostra esistenza e per
saperla promuovere anche negli altri.
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