Funerale Lina
Guidolin (11 marzo 2015)
Dt 8,2--10 – Rm 8, 31-39 - Mc
15,29-39
Quarant’anni.
Un’età impensabile per poter parlare di morte, specie se essa incrocia il
fiorire della vita, un marito, una figlia, un lavoro, il futuro. Quarant’anni
di gioia e speranza che, oggi, sembrano dissolversi e contraddire ciò che di
bello un uomo può realizzare. Come l’erba
sono i giorni dell’uomo, come il fiore del campo, così egli svanisce.
Ma
quarant’anni sono anche la cifra simbolica di un cammino già noto, nel quale
anche i quarant’anni di Lina trovano un senso. È l’esperienza dell’esodo, di
quel percorso che Israele compie uscendo dall’Egitto per entrare nella terra
che Dio ha promesso. È un viaggio che il popolo non può dimenticare e che Mosè
rammenta, prima di varcare i nuovi confini: Ricordati
di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi
quarant'anni per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi
nel cuore. Che c’era nel cuore di Lina in
questi suoi quarant’anni, che cosa le ha fatto conoscere il Signore di lui, dei
suoi progetti, della vita?
1. I quarant’anni di Lina sono stati tempo di intraprendenza
operativa e professionale. Lina non amava una vita in panchina. Le piaceva il
suo lavoro e in esso poneva la sua professionalità, la sua determinazione, la
sua passione. Quel reparto medico al quinto piano dell’ospedale era diventato
casa sua e gli ultimi istanti di vita passati in quel luogo, dalla parte del
malato, sembravano riaffermare una convinzione da cui Lina non si schiodava: la
necessità di immedesimarsi nella situazione dell’altro, di aprire la
professione agli slanci della missione, di mettere insieme terapia e vicinanza,
intelligenza e cuore. Il
tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato
durante questi quarant'anni. Il lavoro ci logora
quando lo facciamo senza coglierne il senso, quando lo priviamo della sua
capacità di parlarci di un progetto, della possibilità di sognare qualcosa di
nuovo per noi e per gli altri. La terra promessa per il cristiano non è solo
l’aldilà ma anche un aldiquà, un mondo capace di promuovere e di ospitare il
vangelo e una differente umanità. E Lina ci provava ogni giorno con
determinazione e cura.
2. Ma i quarant’anni di Lina sono anche lo spazio degli affetti e
in particolare della famiglia, quella d’origine e quella che nasce dal
matrimonio con Stefano e dall’arrivo di Beatrice. L’esperienza della maternità
rappresenta però il crocevia tra la gioia e la preoccupazione perché è proprio
da tale momento che Lina comincia a confrontarsi con il suo male. Eppure le
prospettive oscure, che certo a Lina non sfuggivano, non le impediscono di
avere e di dare coraggio, contando sulla forza che le proveniva da quanto aveva
di più caro: suo marito e sua figlia. Uno può anche chiedersi che senso ha
tutto questo, se poi ti viene tolto. Forse il senso non sta nell’essere tolto,
ma nell’essere stato donato perché una madre potesse essere tale e potesse
sperimentare la forza dell’amore vero. L’amore ha questa capacità: di farti abitare
le contraddizioni e le desolazioni, di farti rimanere in piedi anche quando
l’equilibrio è precario, senza essere travolto dall’oscurità. Quando si ama si
mette mano all’impossibile. Perché? Perché nell’amore si tocca il mistero di
Dio. E a lui nulla è impossibile. Lina ci è stata rubata da una brutta malattia
ma l’amore di cui è stata capace non può essere vinto, neanche dalla morte. Ce
l’ha assicurato Gesù che la morte l’ha vista in faccia ma che dalla morte non è
stato inghiottito. Chi ama, nell’amore continua a vivere, rimane nel cuore di
chi lascia e trova la pienezza dell’amore nel mistero di Dio. Chi potrà mai separarci dall’amore di Dio in
Cristo Gesù?
3. Infine i quarant’anni di Lina sono avvolti dalla prova. Per umiliarti e metterti alla prova, per
sapere se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Il cammino dell’esodo è
un tempo di tentazione, in cui Dio sembra sparire dalla vista. Proprio come
Gesù sulla croce: Ha salvato gli altri,
non può salvare se stesso. Scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ma Gesù
non scende dalla croce; grida il suo sconcerto: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E rimane in quella
collocazione, persuaso che Dio possa essere tale anche quando le circostanze
sembrano smentirne l’azione. Lina è rimasta sulla croce con Gesù e non ha perso
la sua fede. Anzi, sabato, appena sono arrivato in camera sua, il respiro era
affannoso e angosciato, quasi un grido. Mi sono presentato e le ho dato una
carezza; le ho detto di non aver paura e poi abbiamo recitato una preghiera con
i famigliari. E il respiro si è normalizzato, quasi vivesse ormai la sua
consegna al Signore.
Detto questo le nostre domande non sono esaurite. Ma insieme ad
esse rimane la persuasione che i quarant’anni non sono trascorsi per nulla. E
che la terra promessa di risurrezione e di vita non mancherà. Con la sorpresa
di Dio e con quel legame di comunione che neppure la morte riesce a cancellare.
Veglia su Stefano e Beatrice, Lina, sui tuoi genitori e
famigliari e veglia anche sulla nostra fede perché la speranza non venga meno e
la tua testimonianza non vada perduta.
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