sabato 17 novembre 2012

Omelia 18 novembre 2012

Trentatreesima domenica del T. O.

Ormai ci siamo. La fine del mondo secondo il calendario Maya è prevista il 21 dicembre prossimo. E a confermarla sarebbe anche un asteroide vagante, grande come il Texas, che forse precipiterà sulla terra.
Ogni tanto simili previsioni tornano a evocare panorami apocalittici, a chiusura dell’umana vicenda. Li ascoltiamo inizialmente con una leggera apprensione che, in genere, si trasforma in battuta o in una scrollata di spalle. Gesto saggio da un certo punto di vista, che ci mette in guardia dai profeti di sventura e da visioni catastrofiste, ma non fino al punto da credere che un confronto su questo capitolo dell’esistenza non sia necessario. Non con i Maya o un asteroide, ma col vangelo, con quello che Gesù ci suggerisce in relazione a tale evenienza.

1.    Un primo aspetto su cui riflettere è proprio la conclusione della vicenda umana sulla terra. In quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo. Il sole per l’uomo biblico è il segno della vita che cresce e risplende, la luna scandisce l’avvicendarsi dei mesi e delle stagioni, le stelle indicano l’orientamento dell’uomo. La vita tra tempo e spazio: è l’esistenza umana e i suoi contorni essenziali. Gesù sta dicendo: non dimenticarti che l’orizzonte e i giorni in cui ti muovi sono sempre esperienza penultima e dunque destinata a finire. L’orizzonte ultimo, il giorno vero sono io. È una visione che non vuole farci paura, ma restituirci le corrette proporzioni della vita contro le strettoie di un secolarismo egemone che, se un tempo non ci consentiva di riconoscere l’oltre, oggi ci illude di essere i padroni dell’universo. Padroni della scena politica tanto da pensare di essere insostituibili, padroni della protesta tanto da trasformarla in devastazione, padroni di chi protesta, tanto da ricorrere alla violenza. Come stai vivendo i tuoi giorni? Hanno oscurato il giorno di Dio o gli lasciano ancora un posto?

2.    Un altro aspetto riguarda l’incontro di quel giorno. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con potenza e gloria grande. La fine del mondo è l’incontro con Gesù, non la catastrofe. Ed è interessante che Marco, il primo evangelista a raccontarci di Gesù, non aggiunga ulteriori riferimenti apocalittici, né introduca la scena del giudizio finale, come farà Matteo più tardi. A Marco preme rassicurare i cristiani ai quali scrive il suo vangelo che la bella notizia è proprio questa: Gesù ritornerà. E lo farà con la meticolosa preoccupazione di cercare tutti i suoi fratelli. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dall’estremità della terra all’estremità del cielo. Gesù cerca ogni uomo che ha creduto e sperato in lui: non perde nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato. E manda i suoi angeli, un’immagine che corrisponde non solo al ritorno glorioso, ma a qualcosa che lo anticipa, nel momento in cui un angelo ci gira intorno e ci porta o ci riporta da Gesù. Il papa in questi giorni ha pubblicato il messaggio che accompagna la prossima GMG a Rio. Ricordando la celebre statua del Cristo Redentore sul Corcovado con le sue braccia aperte e accoglienti, il Papa dice ai ragazzi: "Siate voi il cuore e le braccia di Gesù! Andate e testimoniate il suo amore, siate i nuovi missionari animati dall'amore e dall'accoglienza!". Ecco, ogni volta che qualcuno ci riporta a Cristo o quando siamo noi a portargli qualcuno, noi affrettiamo e anticipiamo l’incontro finale.

3.    Un’ultima riflessione è legata all’immagine del fico e ai suoi germogli che preludono l’estate. Con essa Gesù ci restituisce il senso e il valore del tempo che stiamo vivendo. È la stagione del germoglio, diversa da quella rigida dell’inverno e da quella in cui si possono assaporare i frutti. Il cristiano si muove sulla scena del mondo facendo attenzione alle gemme nei quali Dio racchiude la sua novità. Sono i germogli che racchiudono qualche versetto del vangelo, la parola che non passa! Come quelli liberati nei giorni scorsi dai colleghi di lavoro di Mariangela, una commessa di 44 anni di Cagliari che, colpita da un ictus, era stata messa in mobilità, anticamera del licenziamento: «Noi siamo convinti che possa farcela e siamo pronti a impegnarci con tutte le nostre forze per aiutarla in ogni modo. Siamo convinti che anche una multinazionale, che deve preoccuparsi di mercati e bilanci, abbia un cuore: non può lasciare sola una sua lavoratrice che, a causa di un ictus, per il momento non può essere la stessa.  Mariangela è una donna capace e leale, sempre pronta al consiglio. Abbiamo rischiato di perderla quel maledetto 23 maggio e non vogliamo perderla mai più». Le difficoltà di Mariangela sono innegabili, ma i suoi colleghi puntano sul futuro, sul germoglio. E anche loro diventano un germoglio che sottrae interesse alla spasmodica domanda sulla fine del mondo, perché quello che conta non è la fine, ma il fine, il senso che dai alle cose. E quando liberi una parola di vangelo quel fine già comincia a realizzarsi e noi iniziamo a vederlo: In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. E non c’entrano i Maya, ma i discepoli di Gesù, che, in attesa del ritorno glorioso del Signore già ne scorgono i segni e su quei segni continuano a investire speranza.

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