venerdì 28 ottobre 2011

Omelia 23 ottobre 2011

Trentesima domenica del T. O.

A cinquant’anni dall’inizio del Concilio, papa Benedetto ha proclamato per ottobre 2012 l’indizione dell’Anno della fede. Che ne abbiamo fatto della fede? Questa GMM ci pone ancora una volta di fronte all’esigenza di rendere ragione di quel tesoro di convinzioni e di esperienze che sostiene la nostra vita. La domanda è resa più viva da una decisa scristianizzazione che sta attraversando il continente europeo. In questi giorni ero a Varese a un colloquio internazionale sulla situazione della catechesi e ci facevano riflettere la facilità con cui si perde ogni riferimento religioso e anche quella con cui si passa dall’uno all’altro. In Germania ogni anno diverse migliaia di cristiani aderiscono all’Islam non solo a motivo di matrimoni, ma anche attratti da un’esperienza religiosa che sembra più interessante di quella cristiana: per un certo mistero che porta con sé, per la cultura dei paesi nei quali si è diffusa, per la convinzione dei suoi membri. Mi chiedo se a fronte di questa perdita di interesse non ci sia la mancata comprensione di quanto ci appartiene. Già. Cosa ci appartiene? Qual è il nocciolo della nostra fede. Il vangelo di oggi ci aiuta a ritrovare questa strada. Maestro, nella Legge qual è il grande comandamento?

1.    La risposta di Gesù è nella direzione dell’amore. Amerai il Signore tuo Dio… Amerai il tuo prossimo. Il cristiano si inserisce in una tradizione di fede nella quale l’amore è il principio unificante. E quando si dice amore si dice l’esistenza di un incontro e di un rapporto interpersonale. Se pensi che il cristianesimo sia un insieme di convinzioni, di riflessioni tutto il resto della vita rimane escluso dalla fede. Se pensi che sia una prassi, un operare, un darsi da fare, rischi di non capire perché lo stai facendo. O per chi lo stai facendo. L’amore cristiano non è una massima che illustra bei sentimenti.. Ha sempre un complemento oggetto: amerai il …Signore …il prossimo. Perché? Perché il cristianesimo è persuaso che unicamente stabilendo dei rapporti l’uomo sta in piedi. Quando si isola, quando pretende di diventare autosufficiente, sedotto dalle cose o dalle idee o anche dal distacco da tutto e da tutti, l’uomo in realtà ha già perso se stesso. Il grande comandamento è amore, perché l’amore ti consente di capire che tu da solo non vai da nessuna parte e hai bisogno dell’altro. Chi è quest’altro da amare?

2.    L’altro, dice Gesù, è anzitutto Dio. Da accogliere con il coinvolgimento dell’intera esistenza e di ciò che la compone. Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Non è l’indicazione di uno sforzo volontaristico, quanto piuttosto di una misura da custodire. Se hai scoperto che è l’amore che ti tiene in piedi come uomo, vedi di non ridurlo mai. Dio ti consente di ricordare queste misure, di esercitarle perché non vengano liofilizzate. Con tutto il cuore. Fa’ in modo che nei tuoi sentimenti trovi spazio un legame vero, il desiderio dell’incontro e della festa, il perdono, la generosità. Un amore se non ha tutto il cuore diventa una società per azioni, un condominio. Con tutta la tua anima. L’anima è ciò che ti anima, le tue passioni, i tuoi desideri di bene, di realizzazione, di felicità. Porta quello che ti sta a cuore nelle misure di Dio, nei suoi progetti: supera la funzionalità, il tornaconto, il benessere e pensa al bene tuo e dell’umanità. Con tutta la mente. È l’amore che diviene intelligenza aperta e disponibile, per andare più a fondo, più lontano. Pensate alla questione Dio: proprio il pensarlo consente ai nostri pensieri di esercitarsi, di non chiudersi. Ma solo se pensiamo con amore i pensieri trovano una via d’uscita. Perché l’amore non ti conduce di fronte a un rebus o a un enigma, ma di fronte che nell’amore si dona.

3.    E poi l’amore del prossimo. Amerai il tuo prossimo come te stesso. L’amore verso Dio consente di ritrovare l’amore vero, non i surrogati. L’amore verso il prossimo consente di ritrovare se stessi. Amare l’altro come se stessi non vuol dire semplicemente trasferire la cura che abbiamo di noi all’altro ma vuol dire fare dell’altro la possibilità per ritrovarci per quello che veramente siamo. Pensate alla tragica pagina che ha messo fine alla vicenda di Gheddafi. Un uomo che ha perso gli altri e ha perso se stesso. Ma il modo in cui è stato ucciso, il modo torbido con cui le scene della sua esecuzione ci vengono proposte non dice che c’è un altro uomo che sta perdendo se stesso? La ragione non può mai essere allontanata dalla pietà perché c’è il rischio che possa diventare ostaggio di tiranni più grandi di quelli che si vorrebbero eliminare: i tiranni dell’odio, del rancore, della vendetta della giustizia sommaria, come quella di un diciottenne che si improvvisa giustiziere.

Ecco il cristianesimo. Si inserisce nei circuiti dell’amore e li vive non solo sull’indicazione di questi comandamenti ma secondo il comandamento di Gesù: come io ho amato voi. Continuiamo ad affermare questo, nonostante qualcuno ci abbandoni, convinti che è quello che dobbiamo offrire al mondo e che sia questa testimonianza d’amore l’autentica Giornata Missionaria Mondiale.

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