lunedì 10 febbraio 2020

Omelia Luca Fochesato


Funerale Luca Fochesato (10 feb. 2020)

(Rom 8,31-35.37-39 / Mc 4, 35-41)

Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino e dormiva.

Sembra la descrizione di quello che stiamo vivendo in questi giorni, di quello che vive una famiglia che ha perso un figlio. Una tempesta, improvvisa e devastante, che scatena la sua furia non in mezzo ad un lago, ma sulle rive di una giornata di lavoro, in autostrada, mentre sta sorgendo il sole. E la notizia che si rincorre nei notiziari, nei blog, nelle teste e nei cuori, seminando sconcerto, rabbia, tristezza e soprattutto domande. Perché quando capitano fatti del genere è difficile comprendere e ci resta l’inquietante sensazione di essere in balia di forze oscure e forse di un Dio che, se c’è, ha smesso di interessarsi di noi.

Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». Domanda piena di risentimento, di sarcasmo, di rassegnazione all’ineluttabile. È finita. Destati, Signore. perché dormi? (Sal 44,24)

Ma il sonno di Dio non è la sua assenza. Quel sonno sulla barca è l’anticipo di un altro sonno, quello ultimo, quello che appartiene ad ogni uomo, quello che anche Gesù vive consegnandosi alla morte, unico modo per poterla incontrare ed affrontare. Il sonno di Gesù è il segnale di una battaglia ormai prossima, quella che lui combatterà in casa della morte, per strapparci dalle sue catene. La morte è la grande nemica. Tu non la puoi evitare, non puoi alterarne i tempi, la sua arrogante provocazione. Ma la puoi vincere, fidandoti di Gesù, partecipando alla sua lotta, sapendo che, dove le nostre forze vengono meno, lui agisce, dove facciamo fatica a vedere, lui ci vede bene: Nemmeno le tenebre per te sono oscure e la notte è chiara come il giorno: per te le tenebre sono come luce (Sal 139,12). Questa è la duplice verità che i cristiani custodiscono: che la morte è la comune destinazione degli uomini ma che dalla morte uno è tornato, scombinando per sempre i registri contabili degli inferi e segnando conti in perdita. E infatti, l’evangelista nota che Gesù si destò. In greco: diégheiro, il verbo della risurrezione, come se Gesù volesse dirci: non aver paura, abbiamo vinto; non lasciarti inquietare, ti porto fuori.

Come si vince la morte?

1.    La si vince rimanendo uniti a Gesù. Anche Luca è stato unito a Gesù, nel giorno del Battesimo. La vita a volte ci porta a dimenticarcene, a percorrere altre strade, ma Dio non ci perde. La sua fedeltà rimane per sempre, anche oltre i nostri andirivieni. Una delle esperienza più belle che ha accompagnato la vita di Luca è stata quella del canto, con il Moviechorus che aveva iniziato a frequentare quando era andato a lavorare a Rubano. Una passione gioiosa, avvolgente, contagiosa. E nei canti di Luca, quelli che gli piacevano, ci sono spesso le tracce di Dio. 9.000 (Nain thousand) days è il testo che ricorda i 27 anni di carcere di Nelson Mandela e la poesia di Henley che lo sosteneva nella terribile prova. Dal profondo della notte che mi avvolge, nera come un pozzo da un estremo all'altro, ringrazio qualunque dio ci sia per la mia anima invincibile. Qualunque Dio. Anche Luca era un cercatore di Dio e per questo aveva intrapreso anche il cammino di Santiago, esperienza della quale diceva: Finché non l’hai fatto, non sai che vuol dire. Ecco, noi siamo viandanti alla ricerca di assoluto, alla ricerca di Dio; ma mentre lo cerchiamo, lui ci ha già trovato. Ce lo diceva S. Paolo: Chi ci separerà dall’amore di Dio in Cristo Gesù? A volte siamo cercatori inquieti, pensiamo che Dio sia lontano e non ci rendiamo conto che lui ci porta in braccio e che stiamo camminando con le sue gambe. Prima di decretare la sua assenza prova a guardarti intorno, prova a spingere la porta, fosse anche la porta della prima chiesa che incontri nel tuo pellegrinare.

2.    Ma c’è un altro antidoto potentissimo contro la morte: l’amore. Quante volte Luca ha cantato Dolce sentire? Dolce sentire come nel mio cuore, ora umilmente sta nascendo amore. La morte regna dove c’è chiusura, odio, distanza, indifferenza, cattiveria. Gesù ha portato in casa della morte qualcosa di diverso: l’amore. Anche quello per i nemici, anche quello per chi l’ha messo in croce. Di fronte all’amore la morte perde la sua forza. Luca era un ragazzo che sapeva voler bene, sensibile, altruista, generoso. Sapeva cogliere nell’altro i bisogni nascosti e vi rispondeva con dolcezza e simpatia. Non a caso c’è un altro testo che lui interpretava e che gli piaceva proprio tanto: Seasons of love.

525. 600 minuti, 525. 600 momenti a noi cari
Come lo misuri, misuri un anno?
In luce, in tramonti, in mezzanotti, in tazze di caffè?
In centimetri, in miglia, in risate, in litigi?

Come misura l'anno di una vita?

Perché non in amore?

Misuralo in amore, stagioni d'amore.

Mi pare un bel messaggio, cui Luca ha dato consistenza con i suoi gesti d’altruismo, con le adozioni a distanza, con la decisione di donare anche i suoi organi. Della nostra vita resta soltanto questo: quello che abbiamo fatto per amore. Non quello che metti in tasca, ma quello che riesci a tirare fuori. Dio si nasconde nell’amore e quando c’è amore c’è già anticipo di paradiso.

3.    Infine di Luca ci rimane la gioia per la vita. come cantava: Perché son parte di una immensa vita, che generosa risplende intorno a me. E anche lui contribuiva a questa generosità: con la sua leggerezza, con la solare vicinanza che arricchiva di sorrisi non solo gli amici, ma anche l’ambiente di lavoro. Ci rimangono il suo rispetto, la sua discrezione, l’assenza di cattiveria perché Luca, appena percepiva che la conversazione diventava pericolosa e che qualcuno ne poteva diventare il bersaglio, cambiava discorso o simpaticamente diceva: Tasi, pensa par ti. Come Gesù che sgrida il mare: Taci, calmati. La morte è alleata dei giudizi malevoli, delle chiacchiere inutili, delle parole che feriscono. Luca non solo non bestemmiava ma circondava di rispetto e di fiducia la vita di ogni persona che incontrava. Dice la poesia di Mandela. Non importa quanto stretta sia la porta / Quanto impietosa sia la vita, / Io sono il padrone del mio destino: / Io sono il capitano della mia anima. Rimani capitano di te stesso, sembra dirci Luca, senza lasciare che qualcuno ti rubi l’anima, saccheggi i tuoi giorni e si impossessi della speranza che porti nel cuore.

Tale speranza ora si apre all’eterno e forse da quella grande bonaccia, Luca ci rivolge le stesse parole di Gesù: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?

Aiutaci, Signore, ad attraversare con te il grande mare della vita, ricordaci che tu hai vinto la morte, regalaci la certezza che i nostri cari non sono perduti e che su quella riva di eterno aspettano anche noi.

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