Luisa Zardo in Pegoraro (4
feb. 2020)
(Is
25,6.7-9 / Lc 24,13-35 )
Che
sono questi discorsi che state facendo tra voi? Si fermarono col volto triste. E pensando a Luisa, un po' di tristezza affiora anche dal nostro cuore e dal cuore di chi maggiormente le ha voluto
bene. Una vicenda che non ci lascia indifferenti, che ci scuote e che interroga Dio e i suoi disegni: Tu solo sei così forestiero da non
sapere cos’è successo? A volte il Signore sembra estraneo alle nostre fatiche, incurante del nostro disorientamento, delle speranze che abbiamo perduto.
Noi tutti speravamo. Verbo all’imperfetto a indicare un’azione in
balia di un passato che non ha ancora finito di inquietarci. Dove sei, Signore?
Dove sono le tue promesse? Dov’è l'amore nel quale è riconoscibile la tua
presenza?
Ma il Signore non risponde subito, non ha fretta: la sua vicinanza si fa
ascolto dei suoi amici, cammino condiviso, accoglienza della tristezza e dello
smarrimento che abita l’anima e offusca lo sguardo. Non importa, ci vede lui: per Dio le tenebre sono come luce.
E mentre i due di
Emmaus raccontano, anche noi oggi vorremmo raccontare. Raccontare anzitutto Luisa, di prima. Prima di quel
terribile momento in cui la malattia avrebbe segnato inesorabilmente i suoi
giorni. Prima non era così. Prima Luisa era una donna energica e
volitiva, determinata, piena di coraggio e di iniziativa.
Terza di quattro
fratelli, da piccola aveva pativo parecchio per la perdita della mamma, a sette
anni. A dispetto di tale distacco, però, aveva tirato fuori grinta e intraprendenza,
andando a lavorare un paio d’anni a Monza e investendo poi nuovamente nella
famiglia, la sua. Aveva conosciuto Giovanni frequentando la parrocchia, l’aveva
invitato al suo diciottesimo quando tali feste si facevano non in discoteca, ma sotto il barco, mangiando carrube e bagigi, forse con la musica di un
mangiadischi. Manovre di avvicinamento con vari movimenti, fino al 1969, quando
lei si era presentata al giuramento di lui, con la febbre addosso, a Casale
Monferrato. Quattro anni dopo don Bortolo li avrebbe sposati.
E ne è uscita una
bella famiglia arricchita dall’arrivo di Enrico e Francesco, ma anche una
famiglia più grande, fatta di parenti, di amici e da tanta gente che Luisa
teneva insieme. Aveva la capacità di vedere le esigenze degli altri, di anticiparle,
di rispondere con disponibilità, soprattutto mettendosi ai fornelli, dato che, complice il lavoro all'Istituto Alberghiero, in cucina dava il meglio di sé. Anche la nostra parrocchia le è grata, per
quello che ha fatto in numerosi campi estivi, in cui ha messo bravura, vivacità
e tanta amicizia.
Diceva poco fa il
profeta Isaia: Preparerà il Signore Dio
su questo monte un banchetto per tutti i popoli. È il banchetto della fraternità,
della condivisione, della gioia. Credo che di quel banchetto Luisa sia stata un
certo anticipo e ce ne abbia fatto assaporare la particolare bellezza.
E questo è quello che
noi speravamo: che questa pagina continuasse, che Luisa potesse regalarci
ancora momenti così intensi e carichi di vita.
Invece la vita
riservava qualcos’altro e, guarda il gioco beffardo del destino, proprio con i
primi segnali che arrivano nel corso di un campo estivo parrocchiale, in casa alpina. Era l'agosto del 1999 e una mattina, Luisa faceva fatica a capirsi, anche nelle cose più
semplici, come accendere il fuoco, prendere una pentola e metterci a bollire il
latte. Erano le avvisaglie di un male che ancora non si conosceva bene, ma che
progressivamente avrebbe divorato la consapevolezza e la memoria, consegnando i giorni alla
ripetitività, all’incertezza, a tante domande.
Ecco, forestiero
sulla strada di Emmaus, ecco le nostre domande: perché? Perché il male ci ruba
quanto di più bello possediamo: la voglia di esserci e quella di fare, i
legami, la gioia di condividere, il sogno di invecchiare insieme?
Ed
egli disse loro: «Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!
Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?».
Bisognava. Perché
bisognava? Non abbiamo risposte risolutive rispetto al male; ne paghiamo e ne patiamo la
misteriosa provocazione come tutti gli uomini. Quel bisognava però ci dice che Dio, rispetto al male non fugge: lo
abita, lo prende su di sé e, partecipe di tale situazione, consente agli uomini
di capire qualcosa in più, con pazienza, continuando a camminare.
Allora
spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui. Cosa
ha voluto dirci il Signore attraverso Luisa e questi vent’anni di malattia?
Qualcosa ci ha detto attraverso di lei, qualcosa attraverso la sua famiglia.
- Ci
ha detto anzitutto che la vita è fragile: fragile è l’ammalato ma fragile è
anche chi gli sta accanto. Perché quando passi mesi e anni accanto ad un
infermo, senti che nessuno è così fermo
come crede. La malattia ci ricorda la nostra debolezza, ci ricorda che la vita
è fatta di pagine non sempre scoppiettanti, che i ritmi incalzanti spesso sono ingannevoli, anche se sono quelli del lavoro. Calmati, rallenta, ritrova la verità dei giorni. Non disperderli e non lasciarti
travolgere. Onnipotente è qualcun altro, non sei tu. Ogni tanto fa’ una visita
in ospedale, va a trovare un malato. Fa bene a lui e fa bene a te.
- Ci
ha detto che ogni uomo continua ad essere tale, fino alla fine. E questo
Giovanni e i suoi figli lo hanno sempre affermato e difeso, seguendo con
premura Luisa, anche quando sarebbe stato più semplice scaricare altrove il problema
o portarlo a veloce conclusione. Ma è una strada pericolosa, perché se ci
mettiamo noi a dire dove c’è un uomo e dove non c’è, dove c’è vita e dove non
c’è, potrebbe capitare che qualcuno metta in discussione anche la nostra stessa
esistenza. E allora è sempre meglio restituire a Dio questa valutazione e lasciare ad ogni uomo che ci vive accanto la possibilità di interrogarci e di disturbarci, anche quando non sembra più tale, anche quando non ha più parole per poterlo fare. Cerco l'uomo. Forse il malato ci è dato per questo.
- E
infine attraverso la vicenda di Luisa e della sua famiglia il Signore ci ha
restituito una pagina preziosissima: quella della compassione e della carità. Perché l'uomo da cercare non è solo nel malato, ma anche in chi gli sta accanto, in chi, sulla strada da Gerusalemme a Gerico si lascia convincere dalla misericordia, come il Buon
Samaritano. Nel vangelo di Emmaus si dice che il Signore, ad un certo punto, fece come se dovesse andare più lontano. Ecco, il malato ci è dato per andare più lontano, per raggiungere le terre dell’amore, quelle che ci restituiscono a noi stessi, quelle da cui proveniamo e verso cui siamo in cammino.
Rimani
con noi, Signore, perché si fa sera. Non lasciarci prigionieri dell'oscurità.
Aiutaci ad abitare i giorni con fiducia e aprili al giorno senza tramonto al quale ora
affidiamo Luisa e la speranza di ciascuno di noi.
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