domenica 21 giugno 2015

Omelia 21 giugno 2015


Dodicesima domenica del T. O.

Tra i mosaici di San Marco c’è anche la raffigurazione del vangelo che abbiamo appena ascoltato. Mare agitato, barca e discepoli e Gesù che però viene rappresentato due volte: a prua della barca, mentre dorme e a poppa, accanto al timone, solennemente in piedi e vigile.
Ma i discepoli vengono rappresentati tutti con lo sguardo in avanti, preoccupati e infastiditi dal Gesù che dorme, incapaci di osservare quello che in piedi, dietro di loro, li accompagna nel momento drammatico del viaggio.
Ecco, le tempeste sono una pagina della nostra vita e, quando si avvicinano, anche noi siamo come i discepoli che riprendono un Dio addormentato: «Maestro, non ti importa niente che siamo perduti?».
Dove sei Dio quando scoppia la tempesta della malattia? Quando un’attività non funziona e mette a repentaglio il futuro di una famiglia o di un’azienda? Dove sei Dio quando la barca travolta non è quella metaforica ma è il battello che porta dei disperati da un continente all’altro? Cosa ci dice il Signore?

1.    Innanzitutto c’è un invito cui prestare attenzione: Passiamo all’altra riva. Non si tratta solo di una dislocazione geografica: è un passaggio esistenziale. Gesù si sta muovendo dalla riva palestinese del lago a quella straniera, da una terra conosciuta a una nuova realtà. I discepoli di Gesù non vivono in una baia tranquilla, ma cercano le grandi percorrenze, l’uscita. Perché? Perché le terre di sempre possono essere un rifugio ma anche una prigione: ti rassicurano e ti possono incatenare. Gesù ha in mente qualcosa di nuovo, qualcosa che ti fa diventare più uomo. Il dramma dell’immigrazione costituisce la nuova riva che Gesù sta indicando. Ma non solo ai disperati che cercano un approdo nelle nostre coste, anche a noi che rischiamo di costruire muri anziché ponti, come se il nostro continente non ne avesse già conosciuto il dramma. Passiamo all’altra riva: della solidarietà, della fraternità. Come sono lontane certe considerazioni sull’imbastar-dimento della razza che abbiamo sentito in questi giorni da quella visione che ci suggerisce Papa Francesco nella sua nuova enciclica: ecologia integrale, non solo dell’ambiente, ma anche dell’uomo e della società.

2.    Un altro aspetto interessante è il gesto che i discepoli fanno senza rendersene conto. Lo presero con sé, così com’era, nella barca. Dalla tempesta esci solo se prendi Gesù così com’è. S. Paolo dice ai Corinti: Se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Che Gesù ospiti nella tua vita? A volte lo inscatoliamo nelle nostre categorie umane, vorremmo che facesse quello che desideriamo noi, che corrispondesse ai nostri schemi. Ma bisogna vedere se questo Gesù che hai in mente ti salva. Nel mosaico di S. Marco, Gesù che dorme è raffigurato con la mano sull’acqua. Il mare per Israele è il luogo delle potenze oscure, della morte. Ma Gesù ti fa capire con quel gesto che lui quell’acqua la conosce bene perché egli è disceso nell’abisso e dall’abisso ti libera. È quello che è successo nel battesimo: siamo stati liberati dall’onda della morte. Se Gesù ti ha preso in quel momento, ti abbandonerà? Nella malattia, nella fragilità, nei rapporti che sembrano perduti… «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

3.    E infine quelle parole di Gesù: «Taci, calmati». Gesù con la sua Parola zittisce la boria impertinente dei flutti. Ma quelle parole Gesù non le riserva solo alla tempesta: in un’altra circostanze vengono rivolte all’indemoniato. Per dirci che il mare della vita qualche volta è anche nei flutti umani: voci da zittire per ascoltare una Parola differente. Una persona in questi giorni mi raccontava tutto lo sconcerto per una malattia dolorosa da sopportare. Ma ciò che la inquietava maggiormente non era il male bensì la poca sensibilità della gente, la curiosità camuffata da interesse, le chiacchiere scambiate come diagnosi. Ecco, a volte dalle tempeste si esce anche con questa forza di dire “Taci, calmati” alle chiacchiere che risuonano dentro e fuori di noi e che ci fanno perdere di vista Dio, cercando altre parole, di vicinanza, di fede, di speranza. Parole che ci aiutino a sentire che il Signore è vicino, anche nel fratello che ci aiuta a ritrovare un po’ di orizzonte e un po’ di condivisione. E allora non rimarremo più rivolti solamente al Gesù che dorme, ma avremo la possibilità di voltarci e di accorgerci che lui tiene saldamente il timone mentre con forza comanda ai venti e al mare.

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