lunedì 17 giugno 2013

Omelia 9 giugno 2013

Decima domenica del T. O.

La morte di quel quattordicenne che nei giorni scorsi se n’è andato nel sonno ci ha colpiti profondamente e ci porta a interrogare il vangelo che abbiamo appena ascoltato. In questa Nain quotidiana dove qualcuno ci lascia in maniera improvvisa e inspiegabile vorremo che il Signore fosse accanto a noi e ripetesse le sue parole di vita: «Ragazzo, dico a te, alzati!». E invece vediamo che le cose non vanno così e noi ci misuriamo con il dolore del distacco e la fatica di capire. Come vive il cristiano di fronte alla morte?

1.    La prima prospettiva ci porta a riconoscere la vicinanza di Dio. Il vangelo ci presenta l’incrocio di due cortei: quello di Gesù con i suoi discepoli e una grande folla e quello del funerale con la madre affranta e molta gente della città. Gesù cammina in mezzo alle vicende umane: non è un estraneo, né si estranea. E alla fine del racconto non c’è più distinzione: un corteo unico loda e benedice il Dio della vita. Il cristiano vive la morte con la stessa persuasione. Mentre essa ci inquieta con la sua macabra rappresentazione e ne condividiamo lo sconcerto umano, non dimentichiamo che abbiamo conosciuto un Dio che abita tale evento e da credenti ci chiama a rispondervi. A quale corteo ti stai accodando? La stagione culturale che stiamo vivendo ci sta mostrando tutta la fatica della morte e del morire. Se il Trionfo della morte, rappresentato in innumerevoli affreschi, voleva metter in guardia l’uomo medievale dal pericolo di sentirsi padrone della propria vita e aprirlo alla speranza eterna, oggi alla morte è accordato un nuovo trionfo: quello del nostro disincanto, quello di considerarla l’unica chance per le fatiche del vivere, quello di favorirne l’azione per cancellarne tutte le domande. Anche noi, vicino alla porta della città, ci ricordiamo che il vangelo che abbiamo ricevuto non segue un modello umano, né l’abbiamo ricevuto o imparato da uomini. Abbiamo ricevuto il vangelo della vita.

2.    Come funziona la vita di Dio? Essa comincia dalla compassione e continua con una serie di gesti e di parole. Gesù si avvicina, tocca la bara infrangendo la legge della purità che rendeva immondo chi avesse accostato un morto. C’è un contatto reale, anticipo di quel confronto con la morte che Gesù avrebbe stabilito con la propria morte. E quel verbo “alzati” [egheiro] sarà quello stesso che il Nuovo Testamento ripeterà per 144 volte per dire la risurrezione di Gesù. La morte non è cancellata dai crocevia umani, ma Gesù ti fa capire che è stata vinta, che non è più intoccabile. Negli abissi della morte Cristo ne ha distrutto il potere. E se la morte sta ancora sull’uscio della porta è perché in essa l’uomo partecipi della stessa battaglia. Perché trovi la verità del vivere e non si senta onnipotente. Perché ricordi che la vita è sempre dono e non conquista. Perché quel dono lo riceva da colui che glielo può dare. Dio che ci ha creato senza di noi, non ci salva senza di noi e niente più della morte ci aiuta a ricordarlo. Ecco perché Dio non la spazza via dalle nostre vicende umane: forse perché è l’ultima occasione che ci dà per essere noi stessi.

3.    Ma, dopo che Gesù ha riportato in vita quel bambino, compie un altro gesto. Lo restituì a sua madre. Perché continui ad averne cura, perché sia partecipe di una nuova cultura di risurrezione e di vita. Certo, anche a noi piacerebbe poter fare lo stesso gesto quando una madre perde un figlio. Ma in questo gesto di amore Gesù ci sta dicendo: ricordati che quello che distrugge il potere della morte è l’amore. Opera in questa direzione e vedrai che la morte ha i giorni contati. Pensate a quella donna inglese che nei giorni scorsi è intervenuta a Londra dopo l’omicidio del soldato britannico, parlando con l’assassino che ancora teneva in mano il coltello sanguinante, impedendo che la strage continuasse e mettendo a rischio la propria vita. Ha detto due frasi che hanno molto colpito l’opinione pubblica: «Ho visto un ragazzo sconvolto». «Meglio io che un bambino». Anche in questo caso è l’amore di una madre che viene attivato. Madre che non vede un fanatico omicida, ma un ragazzo disorientato. E madre che pensa ad altri bambini come se fossero suoi, tanto da prendere il loro posto. Ecco in che modo sconfiggiamo la morte anche se ci appare col machete in mano: vivendo gesti d’amore. Perché qui gesti né si pérdono, né ci pérdono.

Il cristianesimo non è buoni consigli. È annuncio di risurrezione e di vita nella pagina più terribile che possiamo trovare: quella della morte. Continueremo a misurarci con tale realtà ma con la consapevolezza che la danza macabra può finire quando inizia la danza dell’amore.

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