domenica 6 maggio 2012

Omelia 6 maggio 2012

Quinta domenica di Pasqua

Esce in questi giorni, edito da Garzanti, il libro Soldaten, una serie di agghiaccianti conversazioni di soldati tedeschi prigionieri in campi inglesi e americani, che non sapevano di essere intercettati. Dai lori discorsi emerge la pragmatica determinazione nel portare a compimento una logica folle che non rispondeva solo a degli ordini ricevuti ma anche ad una personale convinzione.
“Il tenente ci diceva, ammazzatene venti, così avremo un po’ di pace, alla minima loro sciocchezza via altri cinquanta. Ra-ta-ta-ta con le mitragliatrici, lui urlava, “crepate, maiali”, odiava gli italiani con rabbia”. Anche altrove: “In Caucaso, se uccidevano uno di noi, il tenente non aveva bisogno di impartire ordini. Pistole pronte, donne, bambini, tutto quel che vedevamo, via!”.
L’uomo può essere vittima di una follia nella quale perde se stesso. Una follia che parte dallo sbarramento delle strade di Dio proprio perché quel superuomo che il Terzo Reich aveva in mente era un uomo perfettamente autonomo, che di Dio non aveva bisogno perché era Dio a se stesso.
Comprendiamo la verità della parole di Gesù. Rimanete in me. Il tralcio non porta frutto se non rimane nella vite. Senza di me non potete far nulla.
Che cosa vuol dire mantenere tale contatto? Come si rimane uniti alla vite, perché il fuoco con ci bruci come seccume? La seconda lettura appartiene alla stessa scuola del quarto vangelo e forse ci può suggerire qualcosa di interessante.

1.    Fratelli amiamo non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Si rimane uniti a Gesù se si ama. Ma è interessante l’articolazione dell’amore che trova bilanciamento in quelle due prospettive che vengono indicate: fatti e verità. I fatti salvano l’amore dall’inflazione parolaia: l’amore è donare qualcosa di sé, è reale partecipazione alla vita dell’altro. La verità dice la coerenza dell’amore rispetto alla sua natura, alla sua identità compiuta. Oggi a livello culturale siamo deboli su questo secondo versante: nessuno mette in discussione l’amore ma siamo incerti su che cosa sia, sulla sua verità. Adozioni: sono un gesto d’amore. E lo possono fare tutti, anche i single, anche una coppia omosessuale. Che amore c’è in gioco? Ma pensate allo sguardo parcellizzato delle scienze mediche. È importante che un medico ci curi, ma l’efficacia della cura – che è un atto d’amore – non è slegata dalla verità dell’uomo tutto intero. Perché quella cura può diventare accanimento o intervento tecnico che dimentica l’importanza della relazione. Ecco l’amore che cerca la verità, un progetto, uno sguardo compiuto.

2.    Ma la ricerca dell’amore non ci risparmia dall’esperienza del limite e del fallimento. Volevamo aiutare una persona e le nostre forze si sono esaurite. Volevamo dar forma a una famiglia ma il progetto si è interrotto. Ebbene, rimanere uniti a Gesù come tralci alla vite, significa ricordare che se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. È un’indicazione che ci riconsegna a una prospettiva di fiducia e ci rimette in gioco. Dio è più grande. Dei tuoi fallimenti, delle tue autoanalisi, delle tue imputazioni, del rammarico o del rimorso in cui ti maceri. E conosce ogni cosa: quello che c’è dentro di te, ma anche quello che c’è fuori, quello che ti aspetta, quello su cui ancora puoi intervenire. In questi giorni noi ci misuriamo con questa comprensibile ma insensata logica dei suicidi a motivo della crisi. E i loro funerali accompagnati dagli applausi. Rispetto verso la persona, per quello che ha patito: questo è doveroso. Ma chi si toglie la vita non è un eroe e il suo gesto cristianamente dice una fuga e un’assenza di fiducia di chi è più grande di ogni tua condizione. Cosa diciamo a un ragazzo che sta crescendo: guarda, se ti va male, resta sempre aperta questa uscita di sicurezza? O c’è qualcuno che continua ancora a credere in te? Tu rimani attaccato alla vite, se ti ricordi che la vite è più grande del tralcio e che cresce anche quando una potatura ti fa pensare alla perdita di qualcosa di essenziale. Dio è più grande anche della crisi.

3.    E questo ci porta a una terza considerazione. Questo è il suo comandamento. Che crediamo nel suo amore. Rimaniamo uniti se ostinatamente crediamo in lui, nel suo modo di impostare la vita, nel suo amore che da lui scorre in noi come linfa dalla vite ai tralci. Mi ha fatto riflettere il numero di contatti che ha avuto in questi giorni il sito istituito dal ministero delle finanze per segnalare gli sprechi. Oltre 40 mila. In Italia siamo ormai ossessionati dalla crisi e non senza motivo. Ma il “suo” comandamento è un altro: che crediamo nel suo amore. Che continuiamo a pensare a una politica degna di questo nome, a una logica di servizio, a disegnare il tessuto delle nostre comunità con quell’amore che ha disegnato la nostra civiltà occidentale. Perché quando abbiamo finito di intercettare gli sprechi non ci troviamo in mezzo al deserto, ma in una casa abitabile. Una casa dove la vigna si diffonde e continua a portare frutti, per quell’umanità che la costituisce e per quell’umanità che raggiunge.



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