domenica 15 gennaio 2012

Omelia 15 gennaio 2012

Seconda domenica del T. O. 2012

Monti è andato dal papa e alcuni giornali si sono meravigliati che sua moglie Elsa si sia presentata senza il velo secondo la consuetudine femminile di recarsi dal pontefice a capo coperto. A volte il cristianesimo appare per i suoi aspetti este-riori che suscitano l’interesse del gossip ma anche di chi vi vede una certa custodia della fede e una sua testimonianza. In ambito celebrativo ad esempio ci sono alcuni cristiani che apprezzano un ritorno all’antico, quando la liturgia era fatta di parole latine, di ricchi ornamenti, di gesti cerimoniali il cui significato sfuggiva ai più ma poteva aiutare a serbare un certo mistero che oggi, secondo costoro, sembra sparire.
Comprendiamo l’importanza degli aspetti simbolici dell’esistenza ma la testimonianza cristiana, la sua efficacia sembra darci appuntamento nella vita vissuta dove si giocano le nostre convinzioni e le nostre scelte. Chi è il testimone?

1.    La prima lettura ci presenta il giovane Samuele alla scuola del vecchio Eli. Il vangelo ci presenta Giovanni Battista con i suoi discepoli. Testimoni lo si è per qualcuno che ti è affidato, qualcuno cui vuoi consegnare qualcosa di importante della vita. E tra le cose importanti c’è anche la fede che consente alla vita di misurarsi con Dio perché l’uomo ne è “capace”, homo capax Dei. Funziona così per ogni uomo nel momento in cui dalla culla inizia a muoversi e a voler raggiungere un “oltre” sempre più grande che chiederà ragione della vita stessa. Da dove veniamo? Dove andiamo? Eli comprende tale inquietudine nel giovane Samuele e gli consegna una risposta: Se verrà ancora dirai: “Parla, Signore: il tuo servo ti ascolta”. La testimonianza di Eli non risolve tutti i problemi del giovane Samuele, ma gli consente di comprendere che c’è qualcun altro che si muove nella vita, a un piano differente, superiore. Qualcun altro che Samuele da quel momento in avanti imparerà ad ascoltare tanto da non lasciar andare a vuoto una sola delle sue parole. Ecco la testimonianza: si costituisce nella possibilità di dire a un figlio, a un nipote, a una persona in ricerca che non chiuda troppo repentinamente le sue investigazioni o i suoi turbamenti, ma li apra all’ascolto. Perché se quel processo di apertura di sé verso misure sempre più grandi ti ha fatto mettere in conto la possibilità di Dio, forse, coerentemente, a Dio devi consentire anche di poterti dire qualcosa. Testimone è chi riconosce a Dio la possibilità di parlare e ne garantisce le occasioni. Pensate ad esempio alla domenica, ancor più minacciata dalla logica delle liberalizzazioni che sovvertiranno i tempi del lavoro e della festa. C’è solo l’economia in gioco o qualcosa di più grande che Dio vuole dirci magari proprio in quel giorno? Parla, Signore.

2.    La testimonianza si ritrae e non si sostituisce all’altro. Eli non prende il posto di Samuele quando nel cuore della notte il giovane ripete le parole che il vecchio gli ha insegnato. E dopo che Giovanni presenta l’Agnello di Dio lui rimane al suo posto mentre i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. A volte c’è un pericoloso cortocircuito nella nostra testimonianza. Siccome l’altro non la segue, ci colpevolizziamo pensando che sia poco autentica, poco convincente. E allora alziamo i livelli di persuasione senza renderci conto che produciamo l’effetto contrario. Pensate ai figli che non vanno a messa. A volte c’è l’assenza totale di richiamo di cui in alcune età della vita c’è assoluto bisogno. Altre volte ci può essere un’insistenza che serve solo a logorare i rapporti. Gesù non ha fretta: «Rabbì, dove dimori?». «Venite e vedrete». Tu figlio non va più a messa? Tu continua ad andarci magari facendogli vedere che sei contento di farlo; trova l’occasione per dire ciò che la fede costituisce per te, con semplicità. Ricorda tuo figlio al Signore. Le quattro del pomeriggio non sono quando stabiliamo noi, ma quando giungono nell’articolato gioco tra la grazia e la libertà.

3.    Un ultimo richiamo riguarda la globalità dell’esistenza del testimone. Ce lo ha fatto capire Paolo ricordandoci che l’intera vita cristiana è animata dallo Spirito e questo lo porta a fare una riflessione sul corpo. Il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore. La parola “impurità” traduce il greco “porneia” e dunque possiamo capire di che cosa stia parlando Paolo. Corinto è una città licenziosa ma quando lui vi giunge ha conosciuto anche Tessalonica i cui scavi qualche anno fa hanno rivelato la presenza di una sorta di sexy center dell’antichità che apriva i battenti al calar del sole e offriva agli ospiti un bagno rilassante, accompagnato dalle cure di esperte massaggiatrici e spesso seguito da rapporti sessuali o altre pratiche erotiche come testimoniano immagini e oggettistica trovate. Un centro capace di accogliere circa 200 ospiti. Paolo ricorda a quei cristiani che è intervenuto qualcosa di nuovo nella loro vita: Siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo! Il testimone proclama una novità che dove non giungono parole afferma uno stile nuovo, segno di un’umanità diversa da quella delle mode o dei piaceri immediati. L’umanità di Gesù e di come lui è vissuto. E comprendiamo che non è questione di velo in testa, ma di vestirsi di Cristo e dei suoi sentimenti. Forse saremo meno coreografici ma forse anche un po’ più significativi e un po’ più autentici.

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