lunedì 5 settembre 2011

Omelia 4 sttembre 2011

Ventitreesima domenica del T. O.

È uno strano paese l’Italia. Da un lato andiamo a caccia delle inadempienze, delle infedeltà o delle iniquità degli altri, facendo dell’intercettazione uno degli sport più praticati e della gogna mediatica uno strumento di controllo. Dall’altra vi è un garantismo ad oltranza per cui non vi sono più colpevoli e tutto è ricondotto a una privacy dove a nessuno è più lecito dire ciò che è bene e ciò che è male. Non è solo un problema sociale. È anche un problema relazionale ed educativo; pensate a casa nostra: a volte siamo spietati nei confronti degli altri e rinfacciamo a non finire le loro colpe, come nel caso del coniuge. Altre volte le trascuriamo come nel caso di un figlio, dicendo: Beh, in fondo sono ragazzi.
Gesù vuole aiutarci ad uscire da questa schizofrenia e lo fa con alcune indicazioni che riguardano la vita con gli altri.

1.    Se il tuo fratello commetterà una colpa. Ci sono due dati importanti in questa proposizione ipotetica. Il fratello e la colpa. L’altro di cui si parla non è un estraneo, ma uno che ci appartiene, uno di famiglia. L’obiettivo che Gesù fa intravedere è quello di rigenerare tale relazione: se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello. Avrai guadagnato. Tu. Non lui. Se consideri l’altro un estraneo e ti metti ad accusarlo indiscriminatamente a perderne non sarà solo lui: sarai tu. Sarai più povero di fraternità. Ora, questo fratello può commettere una colpa e una colpa contro di te. Gesù non ci invita a trascurare questa realtà, a chiudere gli occhi su di essa, ma a chiamarla per nome, perché la colpa sferra anche un colpo che destabilizza, che rischia di minare i rapporti. Credi che sia insignificante e invece cova segretamente, ti raffredda, ti rende più vulnerabile o a tua volta più aggressivo. A volte abbiamo la presunzione di dominare il male mentre esso segretamente ci gioca. Bisogna che quella colpa in qualche modo venga elaborata per guadagnare una fraternità nella quale siamo costituiti. Noi e il fratello.

2.    Un secondo avvertimento riguarda la gradualità dell’intervento. Tra te e lui solo. Una due persone. L’assemblea. Vi è la ricerca di un’efficacia che non passa sopra l’accaduto ma neppure trascura il rispetto, la fiducia, la pazienza di fronte ai tempi dell’altro. Uno stile ben diverso dalla logica Wikileaks che non è solo quella di questo sito sconsiderato che pubblica 250 mila cablogrammi diretti da tutto il mondo al Dipartimento di Stato americano, ma è anche la nostra. Perché quando uno sul lavoro agevola un amico può essere un’azione iniqua. Ma se tu, amico di entrambi, vai dal titolare dell’azienda e lo informi di ciò che è stato fatto a sua insaputa, per carità hai difeso la giustizia, ma hai saltato almeno due passaggi. E hai perso due fratelli. Forse, non ti interessava tanto la giustizia, ma farla pagare a qualcuno. Trovare qualcuno in fallo ci fa sentire forti, invincibili. Ma è il grande inganno del male che estende le sue conseguenze anche a te che credi di esserne immune o di esserne fuori. Ti dà l’arrogante sicurezza di chi si sente sopra le parti, mentre finisci per esserne trascinato. Prova a confrontarti con qualcuno prima di combattere il fratello: forse quei passaggi che Gesù indica possono renderti un po’ più obiettivo.

3.    Ci può essere però anche il caso che tutte queste raccomandazioni non portino a nulla e l’altro rimane nelle sue posizioni. Sia per te come il pagano e il pubblicano. Che non vuol dire “cancellalo dalla tua vita”. Vuol dire esattamente il contrario come fanno capire i due detti che seguono: legare e sciogliere e pregare insieme. È esattamente la riproposizione della fraternità creduta “ad oltranza”. Se tuo fratello commette la colpa e in quella colpa si ostina, tu ostinatamente continua a sentirlo legato a te e alla tua vita. Non scioglierlo mai. Custodiscilo nei tuoi affetti, nei tuoi pensieri, nelle tue preoccupazioni. E prega per lui. Fallo anche con altri perché la preghiera divenga il segno di quella fraternità che Dio ha in mente per i suoi figli. E proprio perché agli occhi di Dio questa fraternità è il modo con cui egli pensa agli uomini suoi figli, Dio non può trascurare questa preghiera: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Anzi Dio stesso abita tale esperienza: dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Nei rapporti, spesso tesi tra gli uomini, Dio ci ha posto come sentinelle, perché il male non vinca sulla fraternità e perché in ogni comunione vi sia un riflesso della presenza di Dio.

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