domenica 11 settembre 2011

Omelia 11 settembre 2011

Ventiquattresima domenica del T. O.

11 settembre è una data che reca con sé la memoria della tragedia di dieci anni fa e non mancano in questi momenti considerazioni su quei fatti che hanno cambiato la storia del mondo. E forse ricorderete anche l’esultanza di molti americani di fronte alla morte di Bin Laden. Sentimenti comprensibili in un popolo che è stato colpito al cuore, nei suoi affetti, nella sua vita pubblica, nelle sue istituzioni. «Giustizia è stata fatta», ha detto il due maggio scorso il presidente degli Stati Uniti, vedendo crescere la sua popolarità. Ma la domanda che qualcun altro si faceva mentre si festeggiava la morte del nemico era proprio se giustizia fosse davvero stata fatta e se il mondo fosse diventato più sicuro. Perdonare Bin Laden suonerebbe quasi paradossale, ma esultare della sua morte è una strada percorribile?
Cambiamo scenario e arriviamo a casa nostra. Non c’è terrorismo e non ci sono le proporzioni della tragedia americana, ma a Sovico, un paesino nel Monzese, una madre ha avuto il coraggio di perdonare un ragazzo sudamericano che con una bottiglia di vetro rotta su un muretto ha sgozzato suo figlio. «Perché sono cristiana, ha commentato la donna, e perché non deve vincere il male».
Due situazioni assai diverse, ma con un’unica problematica: come reagire di fronte al male, fino a che punto può giungere il perdono? Fino a sette volte? A Pietro sembrava già un buon risultato, ben in linea con la tradizione biblica che considera il “sette” numero della pienezza. Ma la risposta di Gesù è disarmante: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». Come si fa a perdonare così? È realistico?

1.    Perché perdono ci sia è importante che perdono si chieda. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il male commesso domanda consapevolezza poiché esso corrisponde ad una sorta di debito, più o meno grande, che uno contrae. Se non si riconosce il debito esistente si crea uno squilibrio che smentisce non solo i rapporti con gli altri ma anche la propria identità: credo di essere quello che non sono e ritengo di poter agire come se niente fosse, con l’arrogante o furbesca pretesa di cancellare l’ingiustizia di cui sono stato artefice o di attribuirla ad altri. Pensate al caso Battisti, l’ex militante dei proletari armati per il comunismo, che non pago della protezione inusitata che gli accorda il Brasile si permette tutta una serie di considerazioni che non rinnegano il passato da terrorista che ha sulle spalle. Chiede perdono come responsabile politico, per le vittime degli attentati, ma non vuol sentir parlare di pentimento: «Non mi piace, è una ipocrisia, sinonimo di delazione, è legata alla religione». E allora che ce ne facciamo di una richiesta di perdono se non passa attraverso la distanza dal crimine e dall’ideologia che l’ha sostenuto? Non è solo questione di chi ha premuto il grilletto ma della legittimazione di un certo modo di fare che ha insanguinato l’Italia. Ecco il debito, che se non è riconosciuto può trasformare il criminale in un eroe o in un perseguitato e alterare i rapporti, anziché chiarirli.

2.    Un altro aspetto è la considerazione delle proporzioni. Diecimila talenti sono una cifra spropositata. Lo storico greco Polibio narra che Scipione impose ai Cartaginesi sconfitti un pagamento di 10.000 talenti d'argento in 50 rate annuali. Non c’è paragone con il secondo debito: cento denari che corrispondono a cento giornate lavorative di un salariato. Occorrevano 6000 denari per fare un talento. Ecco, qualche volta il perdono è difficile: perché ci sfuggono le misure della faccenda. Il debito degli altri viene ingigantito oltremodo e si decretano misure drastiche dalla sospensione dei rapporti alla ritorsione, covando il desiderio di vendetta. Se un ragazzo tredicenne di genitori divisi, dopo una giornata trascorsa col padre, torna a casa e confida alla madre che “si è divertito e col papà si sta bene”, nel momento in cui la madre risponde: “Si vede proprio che non lo conosci”, da che cosa è ispirata una simile valutazione? Dal desiderio di aprire gli occhi all’incauto preadolescente o da quello di togliersi alcuni sassolini. Ma quei sassolini rischiano di diventare pietre, non solo contro l’ex ma anche contro il figlio. Sicura, sicuro di non aver nulla da farti perdonare? Rancore e ira sono cose orribili e il peccatore le porta dentro. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore?

3.    Resta tuttavia da mettere in conto la grandezza del gesto. Non a caso la parabola mette in relazione il perdono degli uomini con il perdono di Dio. Quando perdoni c’è qualcosa di divino che prende forma. Infatti Gesù non si limita a raccomandare il perdono, ma il perdono dato di cuore al fratello. Prima abbiamo detto che, perché ci sia perdono, occorre chiederlo, ma tu lo chiedi se lo vedi, se esso ti sorprende. Gesù è morto in croce quando non ci veniva neanche in mente di chiedere perdono. Solo perché abbiamo visto il suo gesto a quel gesto abbiamo attinto! E allora il vangelo di oggi è una sfida: attingi al perdono per poter perdonare: prendi coscienza del debito che ti è stato rimesso. E comincia a perdonare perché anche l’altro domandi perdono. Non è la prassi più diffusa, è vero. Ma è l’unica a contrastare l’odio. Come ha insegnato la mamma di Lorenzo ai suoi funerali.

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