sabato 16 giugno 2018

Omelia funerale Bertilla Stangherlin


Funerale Bertilla Stangherlin (14 giu. 2018)

(Is 43,1-7 / Mt 11, 25-30)

Il medico che l’ha ricoverata la scorsa settimana ha chiesto: «Quanti anni ha?». «Ottantuno». «Povera donna, ha aggiunto senza conoscerla: ottant’anni di sofferenza». E in realtà era proprio così, perché Bertilla è nata con un ampio angioma che le occupava quasi interamente il volto, segnando pesantemente la sua esistenza. Inizialmente, con l’incoscienza dei bambini, cercava la normalità delle frequentazioni, delle amicizie, della vita in paese. Poi, complici anche ignoranza e cattiveria di parecchia gente, degli stessi coetanei, non è più uscita di casa, facendo coincidere il suo mondo con quello delle pareti domestiche, con un lavoro di sartoria abilmente imparato e con l’accoglienza che fratelli, sorelle, nipoti e alcune persone care non le hanno fatto mancare.

La sua vita corre su un crinale sottile tra la paura e il desiderio di uscire, tra le umiliazioni subite e la voglia di poter acquisire un diritto di cittadinanza in questo mondo talvolta crudele. «Va’ ti, che mi sto ben anca casa», diceva a chi la invitava ad uscire. Ma non era vero che stava bene, perché talvolta rimaneva prigioniera dello specchio, quasi ad interrogare i suoi giorni e la sua condizione. E aveva elaborato alcune strategie per ritornare nel mondo degli uomini, come quando si faceva accompagnare in macchina alla sagra del paese. E senza scendere dall’auto rimaneva a breve distanza dallo stand musicale, per udire le orchestre e vedere la gente che ballava. Per lei non c'erano danze. 

Ecco, di fronte, a questa vicenda umana, molte domande di Bertilla sono anche le nostre e, ragionevolmente ci chiediamo: cosa avrà voluto dirci il Signore attraverso questa sorella, di cui forse qualcuno si era anche dimenticato?

1.    Il Signore ci dice che ogni vita, in ogni condizione, è preziosa ai suoi occhi ed è degna di stima e di accoglienza. Oggi, ci ricorda spesso papa Francesco, viviamo pesantemente segnati dalla cultura dello scarto che ha imprigionato anche Bertilla tra gli scartati della terra. La cultura dello scarto nasce dalla selezione della specie, alimentata non solo da criminali di passati regimi, ma anche dai criteri dittatoriali con cui anche oggi dividiamo il mondo in belli e brutti, in fighi e sfigati, in gente libera di circolare e in chi se ne deve stare a casa sua. Abbiamo lo sguardo annebbiato e non riusciamo più a cogliere nelle persone il fuoco sotto la cenere, la dignità dell’uomo oltre le sue apparenze. E dimentichiamo quello sguardo divino che va all’essenziale: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni… Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo». Bertilla è un appello a guardare l’uomo in maniera diversa, a guardare talvolta anche se stessi in maniera diversa, perché l’uomo vede l’apparenza, il Signore guarda il cuore.

2.    Un altro messaggio che Bertilla ci rivolge è quello di non trascurare la forza del male. Di quello che la vita porta con sé e che ci lascia talvolta senza parole, senza spiegazioni plausibili. Ma anche del male di cui noi siamo artefici, che passa non solo attraverso i giudizi e le decisioni, ma anche attraverso i nostri sguardi, le nostre espressioni, le nostre battute. Bertilla sapeva riconoscere facilmente chi la osservava per curiosità o per compatimento e da essi si ritirava immediatamente, quasi fosse stata violentata. Ma quando coglieva uno sguardo di benevolenza, ti riversava una valanga di affetto: parlava, ricordava, interrogava, sorrideva… Sembrava in quel momento che i suoi problemi non esistessero più. E questo ci fa capire che se la forza del male è devastante, la forza dell’amore vince. Non ti dimenticare che l’amore è l’antidoto con cui Dio libera il mondo dalla cattiveria, dall’odio, dall’egoismo. Guarda che quello che ti deturpa il volto non è l’angioma ma l’indifferenza rispetto al male, la rasse-gnazione di fronte ai rapporti perduti e non più ricostruiti, la chiusura agli appelli dell’altro. Non lasciarti sconfiggere da questo morbo maligno. Libera l’antidoto che ci sottrae dalla forza della morte. Libera l’amore.

3.    Infine Bertilla ci parla con la sua morte, avvenuta in maniera inattesa e piuttosto veloce. Nonostante i suoi patimenti lei era una donna che non rinunciava alla vita. Ultimamente però, nella preghiera e nei sonni aveva spesso in mente la sorella Utelia, morta qualche mese fa, alla quale era molto legata e dalla quale si sentiva difesa. Diceva di vederla e di chiederle come stesse dall’altra parte. Suo cruccio era che la sorella non rispondesse. Chissà, forse ad un certo punto Utelia, che ben conosceva i patimenti della sorella, ha pensato di chiamarla con sé e di farlo ricorrendo ad un santo con il quale Bertilla aveva un rapporto molto stretto: S. Antonio. Non sappiamo come funzionino certe cose in paradiso, ma nella comunione dei santi le coincidenze hanno spesso misteriose ragioni. E così alla vigilia della festa di S. Antonio, Bertilla se n’è andata, cercando nei cieli quella gioia che a fatica ha assaporato sulla terra. Venite a me voi tutti che siete stanchi e affaticati e io vi darò sollievo. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore. Bertilla ha portato ogni giorno un giogo pesante. L’ha fatto con le sue fatiche e con le sue risorse. Il Signore Gesù ora le tolga quel giogo e la stringa nell’abbraccio della misericordia e della tenerezza. E le regali anche un po' di danza, nel suo paradiso. 


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