venerdì 20 aprile 2018

Omelia 15 aprile 2018


Terza domenica di Pasqua

Un fantasma. È una presenza che abita il nostro immaginario oscuro e che si intromette anche nell’incontro tra i discepoli e il Risorto: Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. La fede a volte può trasformarsi nella sensazione che si tratti di fantasmi o di ritenere che i credenti siano una sorta di strani ghostbuster che invece dei film popolano le chiese. Gesù invita i suoi discepoli a non inseguire fantasmi né a lasciare che gli altri pensino che questa sia la nostra attività. E si fa riconoscere in tre esperienze importanti: toccare, mangiare, testimoniare.

1.    La fede pasquale innanzitutto passa attraverso le mani. «Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Uno dei problemi che oggi incontra il cristianesimo è la sua evanescenza, perché i discepoli del Signore non scendono nella concretezza della vita e delle scelte, ma anche perché a livello culturale va bene così. Un cristianesimo dei valori sui quali tutti possono andar d’accordo, salvo poi dimostrare se in quei valori ci sia davvero il vangelo. Pensate alla pace, primo dono di Gesù risorto. Pace a voi. E chi non vuole la pace? Gli scenari di guerra in Siria ci danno però l’idea di quanto questa parola possa essere fraintesa, da un regime criminale ma anche da chi ha fretta di fare pulizie per motivi che forse non sono del tutto nobili e umanitari. Toccare, suggerisce Gesù. Capire cosa sta capitando. Capire che la prima vittima del conflitto forse è proprio la verità. Così anche nella situazione del nostro paese: se un tempo i discorsi che si facevano erano legati alla necessità di intervenire su alcune problematiche ora sembra che il problema sia il gioco delle sedie. Sedersi accanto a chi? E i problemi possono aspettare. Non perdere il contatto con la realtà, con le famiglie, con la denatalità. I cristiani nel mondo richiamano questa esigenza, ivi compreso il nostro comune e coloro che si preparano ad amministrarlo. Fate in modo che i problemi della gente e della comunità non retrocedano rispetto al problema delle sedie.

2.    Poi Gesù apre una seconda esperienza. Avete qui qualche cosa da mangiare? E gli offrirono una porzione di pesce arrostito. Mangiare insieme è riconoscersi famiglia, è condividere la vita. I cristiani sono uomini e donne di incontro e di relazione. Il Risorto abita in questi crocevia della convivialità. Ieri mattina mentre varia gente veniva a prendersi qualcosa da mangiare alla Caritas, mi è venuto in mente che in frigo avevo parecchi yogurt. Ho chiamato un giovane papà africano e l’ho invitato ad aspettare. Sono sceso con i miei yogurt e glieli ho dati. Ho visto che si è commosso e si asciugava gli occhi. «Che succede, gli ho chiesto?». «Grazie della gentilezza», mi ha detto. Ho capito che quegli yogurt per lui erano differenti, anche da quelli che la Caritas dà con l’intenzione di fare del bene. I cristiani non sono artefici di prestazioni, ma di relazioni. Erano yogurt che avevano il sapore dell’incontro. Una porzione di pesce arrostito. Non il pesce e basta, ma il pesce che ha il sapore della griglia di casa tua, di una famiglia che si apre. Così scopri il risorto.

3.    Infine il vangelo si chiude con un invito. Di questo voi siete testimoni. Non basta sperimentare, toccare, sincerarsi; non basta neanche mangiare insieme. C’è un terzo verbo che fa spazio al risorto: testimoniare. E testimoniare vuol dire ricordare il vangelo, liberarlo nella vita, prendere posizione anche quando occorre sfidare la mentalità corrente. Pensate al caso di Alfie Evans il bambino inglese che un ospedale britannico non vuole più mantenere in vita nonostante l’opposizione dei suoi genitori che continuano a sperare per il loro figlio. Il giudice, dimostrando la stessa freddezza dei medici, ha dichiarato che la vita di Alfie era “futile”, “inutile”, perché il bambino era in stato vegetativo ovvero non più un essere umano. “Non andava bene dargli del cioccolato”, come ha fatto la mamma per vedere se il bambino reagiva, ha detto il giudice, perché “il cioccolato sporca, interferisce con l’igiene dell’ospedale”. Certo, l’accanimento terapeutico è ingiusto, ma altrettanto ingiusto è commissariare e, di fatto, pretende di esautorare l’amore di due genitori che non compiono nessun misfatto e chiedono semplicemente di stare vicino al proprio bambino e di accudirlo sino alla morte, senza precipitarla. Di questo voi mi sarete testimoni. Di che cosa? Della vita che vince sulla morte, della dignità del dolore umano, del rispetto dovuto a due genitori e al loro bambino. Se dimentichiamo questa testimonianza, diventiamo testimoni dei soprusi e dell’ingiustizia e artefici di un mondo che alla fine di umano avrà ben poco. Perché qualcuno si sentirà autorizzato a decidere della vita altrui.

In che Dio credi, in un fantasma evanescente o in colui che abita le vicende umane e in esse ti dà appuntamento? 

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