Ventinovesima domenica del T. O.
Un giocatore del
Napoli dopo una partita a Cesena che non era finita molto bene per la squadra
partenopea ha detto: «Su questo campo ci
si stanca di più». Non so quali conformazioni rendano un terreno di gioco
meno faticoso di un altro, ma anche nella vita di fede c’è un campo che ci
stanca: quello della preghiera. Iniziamo a pregare ma poi ci perdiamo, la testa
va altrove, ci sembra che ci siano delle cose più importanti e che Dio gradisca
più le nostre azioni che le nostre riflessioni. E così abbandoniamo la
preghiera e consegniamo la nostra vita alla superficialità o ad altre
occupazioni. Gesù, invece, oggi afferma chiaramente la necessità di pregare sempre senza stancarsi. Che cosa vuol dire?
1.
Vuol dire anzitutto fare i conti con la fede. Gesù infatti
chiude la sua riflessione proprio con una domanda che riguarda questo
fondamentale atteggiamento: «Il Figlio
dell’uomo quando ritornerà troverà ancora fede sulla terra?». La preghiera
è un campo che ci stanca perché siamo abituati a condurre il gioco da soli, a
controllare la palla senza passarla, ad arrivare in porta a prescindere dai
compagni anche se sappiamo che si tratta di un dribbling fallimentare. Alcuni
sociologi parlano oggi della fede come del “possibile
non sicuro” (Castegnaro). Dio è un riferimento nel momento in cui ci sembra
ragionevole, nel momento in cui asseconda il nostro gioco. Ma quando chiede di
allargare lo sguardo rimaniamo perplessi e attingiamo dalle nostre risorse. Ma
quando conosci il tuo compagno di gioco? Non quando fai le tue supposizioni su
di lui, bensì quando gli passi la palla. Invece di aspettare le prove per
iniziare a pregare Dio, prova a pregarlo e vedi se si muove qualcosa.
2.
Che cosa? Qui si apre un’altra
riflessione: a che serve la preghiera? A
realizzare quello che abbiamo in mente? Pregare nel greco con cui è scritto il vangelo
si dice proséuchesthai. Pros è una preposizione che dice la
necessità di un’uscita. Euchomai vuol
dire desiderare, guardare a qualcosa
di bello. La preghiera è uscire da sé, andare nel mondo di Dio e desiderare ciò
che lui desidera. Quella vedova che va dal giudice e con insistenza dice le sue
ragioni continua a sognare un mondo giusto, non come quello di chi le ha rubato
i soldi e la sta mandando in miseria. La preghiera è la ricerca dello sguardo
di Dio su di noi, sul mondo, sulla vita. È capire quello che conta veramente. A
volte noi preghiamo rimanendo prigionieri di noi stessi e del “sia fatta la mia volontà”.
3.
Rimane però un problema. A volte la nostra
preghiera è giusta, come quella della vedova. E tuttavia sembra che il giudice
non ascolti. Guarda che Dio non è così, assicura Gesù. Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e
notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro
giustizia prontamente. Ecco è questo prontamente
che non ci convince. Dov’è finito Dio nelle nostre necessità? Dov’è finito quando
qualche innocente soffre? Forse la risposta c’è ma non è quella che pensiamo. Ce
lo fa capire Mosé: quando alza le mani verso il cielo, l’esercito di Israele
vince sui nemici. Quando cadono a terra prevale Amalek. E allora cosa fanno
Aronne e Cur? Sostengono le mani di Mosè. E Israele vince. Ecco Dio a volte vuole
questo. L’efficacia della preghiera non sono i miracoli che assomigliano a
magie ma i miracoli che uniscono gli uomini, che rendono le loro mani fatte di
cielo. Certo che la Siria è bombardata, ma il miracolo saranno mani di uomini
che si alleano e sostengono progetti di pace. Certo che una malattia ti
sconvolge ma il miracolo saranno mani che sono vicine al malato, che gli
consentono di rimanere uomo e di sentirsi voluto bene. Ecco perché Dio non
cambia certe situazioni,: perché vuol cambiare il nostro cuore, che diventi
come il suo. E la preghiera insistente genera questa umanità. In te e attorno a
te. Prega senza stancarti, perché Dio non si stanca di risponderti notte e
giorno. E per il fatto che tu non lo vedi non vuol dire che già non ci sia.
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