domenica 16 ottobre 2016

Omelia 16 otttobre 2016


Ventinovesima domenica del T. O.



Un giocatore del Napoli dopo una partita a Cesena che non era finita molto bene per la squadra partenopea ha detto: «Su questo campo ci si stanca di più». Non so quali conformazioni rendano un terreno di gioco meno faticoso di un altro, ma anche nella vita di fede c’è un campo che ci stanca: quello della preghiera. Iniziamo a pregare ma poi ci perdiamo, la testa va altrove, ci sembra che ci siano delle cose più importanti e che Dio gradisca più le nostre azioni che le nostre riflessioni. E così abbandoniamo la preghiera e consegniamo la nostra vita alla superficialità o ad altre occupazioni. Gesù, invece, oggi afferma chiaramente la necessità di pregare sempre senza stancarsi. Che cosa vuol dire?



1.    Vuol dire anzitutto fare i conti con la fede. Gesù infatti chiude la sua riflessione proprio con una domanda che riguarda questo fondamentale atteggiamento: «Il Figlio dell’uomo quando ritornerà troverà ancora fede sulla terra?». La preghiera è un campo che ci stanca perché siamo abituati a condurre il gioco da soli, a controllare la palla senza passarla, ad arrivare in porta a prescindere dai compagni anche se sappiamo che si tratta di un dribbling fallimentare. Alcuni sociologi parlano oggi della fede come del “possibile non sicuro” (Castegnaro). Dio è un riferimento nel momento in cui ci sembra ragionevole, nel momento in cui asseconda il nostro gioco. Ma quando chiede di allargare lo sguardo rimaniamo perplessi e attingiamo dalle nostre risorse. Ma quando conosci il tuo compagno di gioco? Non quando fai le tue supposizioni su di lui, bensì quando gli passi la palla. Invece di aspettare le prove per iniziare a pregare Dio, prova a pregarlo e vedi se si muove qualcosa.



2.    Che cosa? Qui si apre un’altra riflessione: a che serve la preghiera? A realizzare quello che abbiamo in mente? Pregare nel greco con cui è scritto il vangelo si dice proséuchesthai. Pros è una preposizione che dice la necessità di un’uscita. Euchomai vuol dire desiderare, guardare a qualcosa di bello. La preghiera è uscire da sé, andare nel mondo di Dio e desiderare ciò che lui desidera. Quella vedova che va dal giudice e con insistenza dice le sue ragioni continua a sognare un mondo giusto, non come quello di chi le ha rubato i soldi e la sta mandando in miseria. La preghiera è la ricerca dello sguardo di Dio su di noi, sul mondo, sulla vita. È capire quello che conta veramente. A volte noi preghiamo rimanendo prigionieri di noi stessi e del “sia fatta la mia volontà”.



3.    Rimane però un problema. A volte la nostra preghiera è giusta, come quella della vedova. E tuttavia sembra che il giudice non ascolti. Guarda che Dio non è così, assicura Gesù. Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ecco è questo prontamente che non ci convince. Dov’è finito Dio nelle nostre necessità? Dov’è finito quando qualche innocente soffre? Forse la risposta c’è ma non è quella che pensiamo. Ce lo fa capire Mosé: quando alza le mani verso il cielo, l’esercito di Israele vince sui nemici. Quando cadono a terra prevale Amalek. E allora cosa fanno Aronne e Cur? Sostengono le mani di Mosè. E Israele vince. Ecco Dio a volte vuole questo. L’efficacia della preghiera non sono i miracoli che assomigliano a magie ma i miracoli che uniscono gli uomini, che rendono le loro mani fatte di cielo. Certo che la Siria è bombardata, ma il miracolo saranno mani di uomini che si alleano e sostengono progetti di pace. Certo che una malattia ti sconvolge ma il miracolo saranno mani che sono vicine al malato, che gli consentono di rimanere uomo e di sentirsi voluto bene. Ecco perché Dio non cambia certe situazioni,: perché vuol cambiare il nostro cuore, che diventi come il suo. E la preghiera insistente genera questa umanità. In te e attorno a te. Prega senza stancarti, perché Dio non si stanca di risponderti notte e giorno. E per il fatto che tu non lo vedi non vuol dire che già non ci sia.

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