Terza domenica di Pasqua
Sette miglia. Undici
chilometri da Gerusalemme. È la distanza che raccoglie le speranze che si
spengono e si riaccendono in un cammino che non appartiene solo ai discepoli di
Emmaus, ma ad ogni uomo. Perché anche noi ce ne andiamo qualche volta delusi
dalla vita, incapaci di comprendere quello che sta succedendo. E ci pare di
essere traditi, consegnati a un ingrato destino dopo il tempo delle promesse e
delle attese. Noi speravamo. Affetti,
lavoro, salute. Quante volte diciamo questa parola persuasi che la vita ci
abbia mostrato il lato oscuro, lamentandocene, senza renderci conto che in
quell’oscurità un po’ ci siamo cacciati da soli. A volte infatti diamo la colpa
al destino, agli altri, al Signore e non ci rendiamo conto che anziché uscire
dal tunnel abbiamo contribuito ad arredarlo.
Perché succede questo? Perché
non vuoi ascoltare, non vuoi rimanere, non vuoi vedere: i tre problemi dei discepoli. Vediamo la difficoltà e
vediamo come se ne esce.
1.
Anzitutto ascoltare.
I due discepoli in cammino conversavano e
discutevano. In greco abbiamo due verbi interessanti: homiléin e suzetéin. Il
primo ci ricorda l’omelia, la predica: si predicavano l’uno all’altro, senza
starsi realmente a sentire. Il secondo verbo indica la contrapposizione e il
litigio. I fatti che sono capitati generano tensione con chi sta vicino, non si
capisce e non ci si capisce. E in questa concitazione i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Non si dice che Gesù
sia diverso, si sia trasformato. In realtà lui cammina accanto ma non lo si
riconosce più, perché le proprie omelie
hanno il sopravento. A volte succede anche a noi. Cerchiamo di comprendere una
situazione oscura ma l’idea che ci siamo fatti è così radicata che il parlarne
ci serve non per un confronto ma per renderci sempre più persuasi delle nostre
posizioni. E finisce che diciamo banalità o che inneschiamo polemica. Il
Signore risorto guarisce i loro amici mettendo a tacere le loro omelie con una parola che riscalda il
cuore. Pensate alle delusione derivanti dalla crisi e alle parole piene di
rabbia che liberiamo. In questi giorni in Francia è divenuta legge dello stato
una proposta mediante la quale i lavoratori possono donare i giorni delle loro
ferie a colleghi in condizioni di precarietà. Le nostre parole spesso ci
lasciano al freddo, ghiacciano i rapporti e le speranze. Occorre trovare parole
che riscaldano.
2.
Secondo problema:
rimanere.
Ma perché questi due discepoli se ne vanno da Gerusalemme? Stanno lasciando la
comunità. La distanza che essi stabiliscono non è solo legata agli eventi
accaduti, ma anche alle persone che ne sono coinvolte. Quel cammino da
Gerusalemme a Emmaus ha i connotati di una fuga. Gli eventi ci deludono e noi
scappiamo frettolosamente da tutto e da tutti. Perché? Perché potrebbe esserci
un’altra verità ma non siamo disposti a sentirla. O potrebbe esserci un altro
supporto che non vogliamo accettare. Andarsene a volte può essere un modo per
mettere al sicuro le proprie posizioni, sottraendole alla verifica e cercando
altri interlocutori, magari compiacenti. Quando siamo delusi e ce l’abbiamo con
qualcuno andiamo a cercare qualcun altro che ci dia ragione. E finisci col
crearti un altro mondo a tua immagine e somiglianza che ti mette al sicuro ma
che spegne e ti spegne. Pensate a come il mondo dei social network. Posti un
articolo sull’appartamento del tal cardinale e raccogli decine di “mi piace”. E
finisci per credere che la chiesa sia quella: ho fatto bene ad andarmene! E
dimentichi che c’è un’altra chiesa, quella che anche oggi finisce in croce,
come ci hanno documentato le terribili immagini che in questi giorni sono
giunte dalla Siria. Gesù con pazienza rivela il senso dei fatti: li cuce uno
all’altro cercando il disegno completo. Cominciando
da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si
riferiva a lui. E alla fine i due fuggiaschi tornano indietro. E non per
raccontare subito la loro esperienza, ma per essere rassicurati dalla comunità
che afferma: Davvero il Signore è risorto
ed è apparso a Simone.
3.
Infine vedere. A volte la delusione
sopraggiunge perché non vuoi vedere o vedi quello che vuoi. I due ricordano che
le donne sono andate al sepolcro dicendo di aver avuto una visione angelica e
di aver udito l’annuncio della risurrezione. Ricordano però che anche i
discepoli sono andati nello stesso posto dicendo che essi non videro proprio
niente. «Hanno trovato come avevan detto
le donne, ma lui non l'hanno visto». Hanno
visto con gli occhi materiali e di conseguenza hanno visto una sconfitta. La
delusione è frutto di una visione limitata. Ti pare che il mondo corrisponda a
quello che tu vedi. E invece c’è qualcosa di più. Dove? Fece come se dovesse andare più lontano. Gesù vuole portarti dove
alcuni gesti ti rivelano qualcosa in più. Di che gesti si tratta? Sono quelli
dell’eucaristia, del pane spezzato. Allora
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Spezza il pane chi divide, chi
dona. I gesti che consentono di vedere oltre sono i gesti dell’amore. Nel
giornale di questa settimana c’era la vicenda di un uomo di quarant’anni giunto
in pronto soccorso affetto da disabilità e tracheotomizzato. Nel tragitto in
ambulanza era in seria difficoltà quando un infermiere ha provato a fargli una
carezza. E subito il paziente si è calmato. E l’operatore sanitario osservava:
«Ma tu guarda, quanto bisogno d’umano affetto una persona può portare dentro,
tu lo soccorri materialmente ma umanamente non lo sfiori neppure!». Cosa vedi?
Un paziente o un uomo? Un vuoto o un varco? Vinci la delusione con una nuova
visione.
Undici chilometri da Gerusalemme. E' il tragitto di una nuova visione cui il Risorto anche oggi ci conduce.
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