mercoledì 7 maggio 2014

Omelia 4 maggio 2014


Terza domenica di Pasqua
 

Sette miglia. Undici chilometri da Gerusalemme. È la distanza che raccoglie le speranze che si spengono e si riaccendono in un cammino che non appartiene solo ai discepoli di Emmaus, ma ad ogni uomo. Perché anche noi ce ne andiamo qualche volta delusi dalla vita, incapaci di comprendere quello che sta succedendo. E ci pare di essere traditi, consegnati a un ingrato destino dopo il tempo delle promesse e delle attese. Noi speravamo. Affetti, lavoro, salute. Quante volte diciamo questa parola persuasi che la vita ci abbia mostrato il lato oscuro, lamentandocene, senza renderci conto che in quell’oscurità un po’ ci siamo cacciati da soli. A volte infatti diamo la colpa al destino, agli altri, al Signore e non ci rendiamo conto che anziché uscire dal tunnel abbiamo contribuito ad arredarlo.

Perché succede questo? Perché non vuoi ascoltare, non vuoi rimanere, non vuoi vedere: i tre problemi dei discepoli. Vediamo la difficoltà e vediamo come se ne esce.

1.     Anzitutto ascoltare. I due discepoli in cammino conversavano e discutevano. In greco abbiamo due verbi interessanti: homiléin e suzetéin. Il primo ci ricorda l’omelia, la predica: si predicavano l’uno all’altro, senza starsi realmente a sentire. Il secondo verbo indica la contrapposizione e il litigio. I fatti che sono capitati generano tensione con chi sta vicino, non si capisce e non ci si capisce. E in questa concitazione i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Non si dice che Gesù sia diverso, si sia trasformato. In realtà lui cammina accanto ma non lo si riconosce più, perché le proprie omelie hanno il sopravento. A volte succede anche a noi. Cerchiamo di comprendere una situazione oscura ma l’idea che ci siamo fatti è così radicata che il parlarne ci serve non per un confronto ma per renderci sempre più persuasi delle nostre posizioni. E finisce che diciamo banalità o che inneschiamo polemica. Il Signore risorto guarisce i loro amici mettendo a tacere le loro omelie con una parola che riscalda il cuore. Pensate alle delusione derivanti dalla crisi e alle parole piene di rabbia che liberiamo. In questi giorni in Francia è divenuta legge dello stato una proposta mediante la quale i lavoratori possono donare i giorni delle loro ferie a colleghi in condizioni di precarietà. Le nostre parole spesso ci lasciano al freddo, ghiacciano i rapporti e le speranze. Occorre trovare parole che riscaldano.

2.     Secondo problema: rimanere. Ma perché questi due discepoli se ne vanno da Gerusalemme? Stanno lasciando la comunità. La distanza che essi stabiliscono non è solo legata agli eventi accaduti, ma anche alle persone che ne sono coinvolte. Quel cammino da Gerusalemme a Emmaus ha i connotati di una fuga. Gli eventi ci deludono e noi scappiamo frettolosamente da tutto e da tutti. Perché? Perché potrebbe esserci un’altra verità ma non siamo disposti a sentirla. O potrebbe esserci un altro supporto che non vogliamo accettare. Andarsene a volte può essere un modo per mettere al sicuro le proprie posizioni, sottraendole alla verifica e cercando altri interlocutori, magari compiacenti. Quando siamo delusi e ce l’abbiamo con qualcuno andiamo a cercare qualcun altro che ci dia ragione. E finisci col crearti un altro mondo a tua immagine e somiglianza che ti mette al sicuro ma che spegne e ti spegne. Pensate a come il mondo dei social network. Posti un articolo sull’appartamento del tal cardinale e raccogli decine di “mi piace”. E finisci per credere che la chiesa sia quella: ho fatto bene ad andarmene! E dimentichi che c’è un’altra chiesa, quella che anche oggi finisce in croce, come ci hanno documentato le terribili immagini che in questi giorni sono giunte dalla Siria. Gesù con pazienza rivela il senso dei fatti: li cuce uno all’altro cercando il disegno completo. Cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. E alla fine i due fuggiaschi tornano indietro. E non per raccontare subito la loro esperienza, ma per essere rassicurati dalla comunità che afferma: Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone.

3.      Infine vedere. A volte la delusione sopraggiunge perché non vuoi vedere o vedi quello che vuoi. I due ricordano che le donne sono andate al sepolcro dicendo di aver avuto una visione angelica e di aver udito l’annuncio della risurrezione. Ricordano però che anche i discepoli sono andati nello stesso posto dicendo che essi non videro proprio niente. «Hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Hanno visto con gli occhi materiali e di conseguenza hanno visto una sconfitta. La delusione è frutto di una visione limitata. Ti pare che il mondo corrisponda a quello che tu vedi. E invece c’è qualcosa di più. Dove? Fece come se dovesse andare più lontano. Gesù vuole portarti dove alcuni gesti ti rivelano qualcosa in più. Di che gesti si tratta? Sono quelli dell’eucaristia, del pane spezzato. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Spezza il pane chi divide, chi dona. I gesti che consentono di vedere oltre sono i gesti dell’amore. Nel giornale di questa settimana c’era la vicenda di un uomo di quarant’anni giunto in pronto soccorso affetto da disabilità e tracheotomizzato. Nel tragitto in ambulanza era in seria difficoltà quando un infermiere ha provato a fargli una carezza. E subito il paziente si è calmato. E l’operatore sanitario osservava: «Ma tu guarda, quanto bisogno d’umano affetto una persona può portare dentro, tu lo soccorri materialmente ma umanamente non lo sfiori neppure!». Cosa vedi? Un paziente o un uomo? Un vuoto o un varco? Vinci la delusione con una nuova visione.

Undici chilometri da Gerusalemme. E' il tragitto di una nuova visione cui il Risorto anche oggi ci conduce.
 

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