sabato 5 aprile 2014

Omelia 6 aprile 2014


Quinta domenica di quaresima

L’altro giorno in macchina passavano l’ultima canzone del Vasco nazionale: Dannate nuvoleMi viene in mente che non esiste niente, dice il cantante, solo del fumo, niente di vero. Niente dura niente, dura e questo lo sai. Però tu non ti arrenderai. Chissà perché? Ecco, di fronte al proclama del nulla, l’uomo non si arrende. Cerca. Cerca sfidando il vuoto che sembra inghiottire il destino dell’uomo; cerca oltre le dannate nuvole di valori anche importanti che potrebbero però diventare una finta consolazione o l’ennesima illusione: vivere per l’esempio che si lascia… ma intanto muori!

La visita di Gesù in casa di Lazzaro, Marta e Maria, il risveglio di Lazzaro dalla morte, le considerazioni che accompagnano l’evento sono l’occasione per riflettere su come accostiamo la morte, come la pensiamo e ne accompagniamo la presenza. Perché forse anche a noi è rivolto il monito di Vasco: Non ti arrenderai. 
                                                                                                                                   
1.    Anzitutto fa riflettere la pagina dell’amicizia. Quando le due sorelle mandano a chiamare Gesù, gli dicono: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». Quando si recava a Gerusalemme, Gesù scendeva in casa di questi amici cui era legatissimo: l’ospitalità della casa e l’intimità degli affetti. È l’amore la grande sconfitta della morte e se qualche volta si giunge a invocare la morte o a stringere con essa sinistri contratti, molto spesso è proprio perché non si percepiscono i legami: quelli di cui ha bisogno il morente, ma anche quelli che il morente può continuare a stabilire. Oggi c’è il rischio di credere che affrontare la morte corrisponda a scendere a patti con essa, dimenticando che Gesù Cristo non ha siglato un’intesa, ma ha riportato vittoria. Ed è la vittoria generata dall’amore. Dio ti ama e non ti perde. Il patto da stabilire non è con la morte ma con chi da essa ti libera. Con chi ti può stare vicino in quel momento: con Gesù Cristo ma anche con tutti i legami forti dell’esistenza. «Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto». In questa recriminazione di Marta c’è una professione di fede: se c’è Gesù, se ci siamo e non fuggiamo, il fratello non muore. Guarda come lo amava!

2.    La vicinanza però da sola non basta. Dev’essere una vicinanza efficace. Com’è che Gesù vince la morte? Con l’amore, s’è detto. Ma Gesù ama a tal punto da entrare nell’antro della morte e di fare dell’amore l’antidoto della morte stessa. E questo non lo fa nessun altro: solo lui. Io sono la risurrezione e la vita. Credi tu questo? Qui c’è un problema di fede che riguarda l’originalità del cristianesimo, la bella notizia che esso contiene. La vita insegna ad ogni uomo un passaggio essenziale: quello dal grembo della madre alla nascita e alla crescita dell’individuo. E dentro al grembo come fai ad immaginare e a desiderare una vita differente? E se i passaggi non fossero finiti? Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio». «Togliete la pietra», dice Gesù. E quella pietra dobbiamo toglierla dalle nostre persuasioni e sensazioni prive di fede: quelle che ci riempiono di spavento e ci allontano dalla malattia e dai malati, quelle che ci portano a ignorare le modalità cristiane per rimanere accanto a un morente, quelle che fanno dei funerali dei momenti di desolazione o di “mondanità spirituale”, nell’uno e nell’altro caso senza speranza. Nel brano che abbiamo letto ci sono due verbi che indicano il pianto. Il primo è klàio ed è quello di Maria dei Giudei. È il pianto disperato, scomposto, di chi urla, si tratta i gestiti, si butta addosso la polvere e la cenere. È il pianto di chi pensa che i fratelli scompaiano per sempre, che la pietra ha vinto. Anche Gesù piange, ma il verbo è dakrýo. Dákry è la lacrima; vuol dire: gli scorrevano lacrime dagli occhi. La morte va vissuta con molto rispetto, con amore solidale; anche il cristiano, come Gesù, sente la lacerazione, ma nel dono delle lacrime: una sorta di lente che Dio ci regala per vedere oltre! «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno».

3.    C’è un’altra dinamica da recuperare. Mentre Gesù agisce, non agisce da solo. Aperto il sepolcro dice al morto: Lazzaro, vieni fuori! E il morto esce. La morte è vinta se accetti di uscire dal sepolcro che ti imprigiona. E il sepolcro non è solo quello del cimitero: è la partecipazione a logiche di morte che giorno per giorno ci trattengono. La risurrezione per noi è dono già fatto con il Battesimo, ma puoi startene su vecchie posizioni. Vieni fuori! Un dodicenne in campo a Campigo ha tirato pugni e calci all’arbitro e il padre, dirigente della squadra, difende il ragazzo. Vieni fuori. Tuo padre è anziano e vuole vederti. Ma tu sei troppo impegnata con la psicologa a elaborare il tuo passato e così ti sta sfuggendo l’occasione per fare pace con lui e con te. Vieni fuori. Sai che c’è la crisi e che anche l’azienda in cui operi potrebbe fare dei tagli, ma finché nessuno dice niente approfittiamo: ho un vecchio a casa è ho diritto di accudirlo. Legge 104. Fatalità nei weekend e nei ponti. Lavoreranno i colleghi. Vieni fuori. Perché c’è il rischio di mettere casa nel sepolcro e di non rendersi più conto della puzza dei tre giorni. Ecco la risurrezione: comincia oggi. Quando ascolti il Signore, lo lasci agire e agisci con lui. E allora le dannate nuvole iniziano a dissolversi e vedi qualcosa in più.

 

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