Seconda domenica del T.O.
Su L’Espresso
dei giorni scorsi quattrodici personaggi scelti tra scienziati, scrittori,
registi, musicisti, politici, astronauti hanno scritto una lettera ai loro
figli per consegnare loro una pagina di vita. Vi si parla di tutto: la memoria
storica, il ruolo del cinema, il razzismo, l'ambiente, la musica, la rete,
l'economia, la giustizia, il lavoro, l'amore, il ribellismo, la
globalizzazione, Napoli, l'omosessualità, la nostalgia, l'odio, il perdono. Ma
che fatica trovare un riferimento a Dio! Certo, siamo su L’Espresso, che più laico non si può, ma sembra che nel futuro di
un figlio per questa parola non ci sia posto.
La figura di Giovanni Battista ci aiuta a
riflettere sulla testimonianza della fede, su un messaggio che interpella
l’idea e le misure dell’esistenza e che contiene una promessa di vita intesa
come buona. Io ho visto e ho testimoniato
che questi è il Figlio di Dio. Come funziona la testimonianza?
1.
Anzitutto
essa si dà in vario modo. Riguarda la coerenza dei comportamenti. La vita di
Giovanni Battista appartiene radicalmente a Dio e con tale radicalità Giovanni
è un messaggio per Israele. La testimonianza si gioca inoltre nel momento
rituale, in quel battesimo che Giovanni praticava. Ma il vangelo ci propone anche un
Giovanni che parla e che con un discorso esplicito indica Gesù: Ecco l’agnello di Dio. La testimonianza
si regge su questo equilibrio complessivo: coerenza di vita, gesti espressivi,
parole. Noi siamo sensibili alle testimonianze sostenute dai fatti, ne intuiamo
il valore anche se non sempre ci scopriamo coerenti. Abbiamo poi un legame con
gli appuntamenti sacramentali, con un battesimo che ancora viene celebrato. Ma
con le parole facciamo fatica. Non solo perché non sappiamo cosa dire ma anche
perché ci chiediamo se sia opportuno dire. Perché l’altro a volte non è
sintonizzato e potrebbe non comprendere o perché quello che viviamo è troppo
personale per poter essere condiviso. Sono ragioni che vanno considerate, ma
non fino al punto da dimenticare le parole. Perché noi siamo fatti di parola e
le nostre esperienze ci vengono consegnate, oltre che per il loro darsi, anche
attraverso la comunicazione che ne consegue. Perché hai bisogno di parlare di
quello che ti capita? Perché lo elabori, te ne appropri, comprendi. La
testimonianza non è solo un regalo per l’altro. È un regalo per sé, per capire
quello che si sta vivendo, quanto incida nella vita, il modo con cui avviene,
che cosa ce ne possiamo fare.
2.
Ma,
recuperata l’importanza delle parole, quali parole dobbiamo dire? Giovanni
articola due piani di comunicazione. Si serve di un’immagine biblica e di
un’esperienza personale. L’immagine è quella dell’agnello, figura fortemente
evocativa che ricorda l’esodo e l’agnello condotto al macello del profeta
Isaia. Quei riferimenti consentono di capire chi è Gesù in un progetto di
salvezza che parte da lontano e che Dio stesso custodisce. Ma poi c’è
l’esperienza personale: Io non lo
conoscevo ma ho visto scendere e rimanere lo Spirito su di lui. Ecco le
parole della testimonianza: devi sempre riceverle da qualcuno che viene prima
di te e che è più grande di te, ma avvalorarle con la tua esperienza, perché
tale esperienza le rende comprensibili. Se citi solo la bibbia rischi di fare
come quelli che ti fermano per strada e sciorinano versetti; se citi solo
l’esperienza rischi che dica di te ma non molto di Dio. La testimonianza è Dio
incontrato con la vita, il Signore, i suoi progetti che cerco sempre più di
approfondire, di interpretare. Ricordo la testimonianza di un ragazzo albanese
che è giunto al Battesimo grazie alla testimonianza della madre. Il mondo
albanese è legato da tradizioni vendicative difficilissime da estirpare. Ma
questa donna cui uno del paese aveva ucciso il figlio, il giorno di Natale si è
presentata in chiesa e al segno della pace è andata dalla madre dell’assassino,
dicendo: Pace in terra agli uomini di
buona volontà. La parola aveva incrociato la vita e la vita si apriva a una
parola ancora più grande.
3.
Questo
episodio ci aiuta a capire un terzo elemento della testimonianza: è sempre
espressione di una vita buona. Ecco l’agnello
di Dio che toglie il peccato del mondo. Non solo i peccati, come diciamo a
messa, ma il peccato, quella
disposizione oscura che ci abita e ci porta a vivere male e a tradire la nostra
umanità. Sei testimone quando affermi che non è questa la vita, che c’è
un’altra umanità che hai conosciuto e che non ti stanchi di perseguire. Pensate
alle polemiche e alla grancassa che rimbomba per il trasbordo delle armi
chimiche di Assad nel porto di Gioia Tauro. Si sa che in questi casi si accendo
gli animi localistici e gli interessi degli amministratori a cavalcare il
malcontento popolare ma è impossibile non vedere in questa vicenda una mancanza
di senso di responsabilità unita a una preminenza per l’interesse particolare e
di corto respiro. Le armi chimiche di Assad non sono diverse da molte altre
sostanze nocive che nei porti italiani vengono trattate in assoluta sicurezza.
Certo, il quantitativo è diverso, ma non può essere un segno solidarietà
internazionale da accompagnare con saggezza e prudenza per le ragioni della
pace in una terra martoriata? Ecco il testimone. Con le ragioni di una vita
buona, quella che Dio ha in mente.
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