domenica 10 marzo 2013

Omelia 10 marzo 2013

Quarta domenica di Quaresima
Chi è Dio? Era questa la domanda che apriva il Catechismo di Pio X. Ma la risposta, per quanto corretta, era insufficiente. Dio non è solo l’essere perfettissimo. È soprattutto il Padre, di cui ci ha parlato il Figlio Gesù e quel Padre, nel vangelo di oggi, ci viene presentato con gli accenti della misericordia, del perdono, dell’amore che non si rassegna a un figlio che se ne è andato di casa.
La parabola si specchia in quello che in queste ore due genitori di Paese stanno vivendo mentre la loro figlia è scomparsa. È la scelta di una maggiorenne, ma non per questo meno dolorosa. “Facci sapere dove sei, facci sapere che stai bene”.
Dio riassume nel suo cuore i sentimenti di tutti i padri e le madri del mondo perché in tale direzione egli vuol essere cercato. Che padre è Dio?
1.     È innanzitutto un padre che, con pazienza, rispetta e custodisce le misure della libertà. Dio non ha creato marionette appese al filo: non è il grande burattinaio. Ha creato uomini liberi e rispetta tale prerogativa anche quando l’uomo decide di andarsene, vittima della suggestione che la casa del padre sia un posto troppo stretto e inabitabile. Pensate allo strano caso chiesa. Pensatela in relazione ad altre esperienze religiose, all’ebraismo, all’islam dove bisogna star bene attenti a quello che si dice. Nel nostro caso tutti possono avere qualcosa da dire, da recriminare. Pensate all’elezione del pontefice. Anche il mondo laico che spesso guarda con sprezzante distacco la Chiesa, ora fa le sue considerazioni. A volte soffermandosi su questioni marginali come quelle del vestito del papa o del comignolo della Sistina, altre volte attardandosi su congetture tra cardinali di destra o di sinistra, come se si trattasse di schieramenti politici. E anche noi, seguendo queste onde d’informazione, coltiviamo spesso la voglia di andarcene e l’impressione che Chiesa sia roba da museo o spartizione di potere. Andandotene non rinnovi la chiesa: la rendi più povera. Per questo Dio, pur rispettando la tua scelta attende il tuo ritorno, la tua partecipazione lieta e responsabile, carica magari di novità, come quella che simpaticamente porta al gruppo dei cardinali l’arcivescovo di Lione che ogni giorno giunge a S. Pietro in bicicletta.
2.     Ma Dio, mentre te ne vai, non resta senza far niente. Scruta l’orizzonte. Ci dice infatti l’evangelista che il padre vede il figlio quand’era ancora lontano. Di che lontananza si tratta? Non è solo quella del viaggio di ritorno. Il pensiero del padre sorge nel cuore del Figlio quando sta pascolando i porci. Allora – nota Gesù – ritornò in sé e disse: Quanti salariati in casa di mio padre… Dio ci raggiunge non solo quando ci dirigiamo verso di lui ma già quando rientriamo in noi stessi, nella verità di ciò che siamo, perché nel cuore di ciascuno Dio ha nascosto la sua presenza. Come diceva Agostino: “Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso”. E in quel sacrario interiore il figlio comprende la verità della sua vita, delle sue scelte, smaschera le illusioni di cui è stato vittima e prende la grande decisione di tornare. Forse facciamo fatica a trovare le strade di casa perché troppo poco troviamo le strade interiori. Però pensate a come ce n’è bisogno. Prova ne sia il fatto che il libro di Alessandro D’Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue presto sarà un film. Perché un libro sulla morte diventa un bestseller? Forse perché c’è un bisogno d’interiorità più grande di quello che crediamo. Perché noi pubblichiamo interessanti studi sui comportamenti pericolosi dei giovani che si lanciano dal balcone dell’albergo direttamente in piscina o si procurano le vertigini versandosi la wodka sugli occhi, ma siamo cauti nel presentare le prospettive dell’ulteriorità, tanto che dire una preghiera o far vedere che preghiamo ci mette a disagio. Rientra in te stesso.
3.     E infine il Padre ti accoglie nell’abbraccio. Viene in mente il quadro di Rembrandt in cui il padre con gli occhi chiusi stringe a sé il proprio figlio. Non si vede bene che col cuore. È l’ostinata affermazione di un cristianesimo che si dà come vicenda dei peccatori perdonati. Questa è l’esperienza più consolante che il cristianesimo ci consegna. Ognuno di noi ha il proprio paese lontano, ma questo non ostacola il perdono di Dio. Oggi, a motivo degli scandali nella chiesa e nella società, viviamo la stagione della moralità. Ed è giusto che sia così. Ma non fino al punto da generare l’idea di una sorta di “chiesa dei puri”, perché quella è la pretesa del figlio maggiore: io ti servo, tu non mi hai mai dato, io ho diritto. Dio non sa che farsene di questa presunzione: non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. E tutti, dal papa in giù, abbiamo bisogno di misericordia e perdono. E quel perdono ci rialza e ci mette in gioco, anche quando ci sembra impossibile, perché anche se perdi la credibilità del mondo non perdi la cittadinanza nel cuore di Dio.
Ecco la bella notizia cristiana! Tra qualche giorno sentiremo dire nuntio vobis gaudium magum. Ma l’annuncio bello che ci portano Pietro e i suoi successori non è tanto il loro pontificato, ma ciò che la chiesa custodisce come tesoro prezioso: la misericordia di Dio e la possibilità di ricominciare sempre con lui.

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