sabato 8 settembre 2012

Omelia 9 settembre 2012

Ventitreesima domenica del T. O.

La voce. C’è una famosa poesia di Pascoli che porta questo titolo e in essa il poeta ricorda che nei momenti tragici della sua esistenza, quando si addensa addirittura la possibilità del suicidio, quella voce sommessa si fa sentire e bisbiglia il suo nome: mi sentii d'un tratto daccanto quel soffio di voce... Zvanî... Zvanî era il nome con cui il poeta veniva chiamato da piccolo. Ci sono momenti della vita in cui siamo sordi, prigionieri dei nostri pensieri e delle preoccupazioni, ma una voce ci libera e ci riconsegna alla vita.
Così avviene anche oggi per quel sordomuto guarito da Gesù. Effatà. Un miracolo di comunicazione mediante il quale un uomo si apre ad una nuova possibilità di vita. Una Parola che libera parole. Che cosa ci suggerisce questa vicenda?

1.    Ci dice innanzitutto che le due patologie sono collegate. Un uomo che nasce con problemi di udito fa molta fatica a parlare e talvolta non parla proprio. Sul piano clinico oggi ci sono buone speranze di guarigione, ma la sindrome non appartiene solo al piano fisiologico dell’esistenza: interessa anche quello relazionale. Siamo muti perché siamo sordi. Pensate alla fatica che facciamo ad ascoltare qualcuno. E, di conseguenza,le parole che gli diciamo, quando gliele diciamo, dicono ben poco o dicono quello che non dovrebbero dire. Ne abbiamo esempi interessanti anche nella nostra città tra i giovani che scrivono all’istituzione e l’istituzione che risponde in maniera svalutativa e tendenzialmente canzonatoria. Nel clima di disaffezione e di contrapposizione che riguarda il rapporto dei giovani (e non solo!) con la politica, oggi è chiesto l’ascolto attento di ogni istanza partecipativa: le parole che si dicono devono sempre incoraggiare l’apertura costruttiva. Alcune posizioni possono essere irrequiete, ma si tratta anche di capire se l’inquietudine è dovuta a superficialità, a maleducazione o a un vuoto di prospettive che ipoteca il futuro delle giovani generazioni. Ascoltarsi per imparare a parlare correttamente.

2.    La guarigione del sordomuto avviene in disparte, lontano dalla folla. A volte noi conviviamo con blocchi di comunicazione che rischiano di diventare fisiologici. Una persona si blocca e non riesce più a parlare. Un figlio o il coniuge che a scuola o al lavoro parla normalmente ma a casa si chiude. Chi poi si blocca in corrispondenza di particolari discorsi. A volte ce ne facciamo una ragione, concludendo: sono fatto così o quel tale è fatto così. Vieni in disparte, dice Gesù, che cosa sta succedendo? C’è modo di guarire? Pensate ad esempio al blocco della comunicazione in famiglia. A volte questo può avvenire perché una persona può sentirsi non compresa o ferita. Ma a volte il silenzio può diventare anche un’arma terribile per far pagare qualcosa a qualcuno o per difendere dei territori. Non parlo e ti rendo la vita impossibile; non parlo e tengo nascosti i miei traffici. Gesù vuole tirarti fuori da questi circuiti malati per riconsegnarti a una comunicazione vera, perché anche tu possa diventare un po’ più vero, oltre a quello che possono pensare o vuoi far credere agli altri.

3.    Un altro aspetto importante è quel contatto fatto di gesti che Gesù stabilisce. La comunicazione non è riattivata solo dalle parole, ma anche dalla vicinanza effettiva: gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua. L’altro trova la possibilità di udire e di parlare se comprende il senso di tale funzione, se sente oltre la voce una presenza su cui può contare. I 79 morti del mare di questi giorni sono l’icona di una comunicazione che ha bisogno di trovare il linguaggio delle parole e quello dei gesti. Perché la parola che guarisce è quella incarnata che fa quello che dice e non si limita a dichiarare degli intenti o degli auspici. È questa parola che rende fluida la comunicazione, anche quella ecclesiale, perché un cristianesimo testimoniato ci rende più credibili e può dilatare la stessa esclamazione di chi anche oggi dice: Ha fatto bene ogni cosa, fa udire i sordi e parlare i muti.

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