sabato 14 luglio 2012

Omelia 15 luglio 2012

Quindicesima domenica del T. O.

Sono stato a trovare i ragazzi al campo della parrocchia. Con loro c’erano una ventina di giovani animatori, 15-18 anni, che hanno chiesto di poter partecipare all’esperienza. Un segno interessante, tenendo conto che qualcuno di loro fa fatica ad esserci nei momenti ordinari della vita cristiana. E quasi tutti, nel momento della confessione son venuti con il loro fardello, portando con sé anche le loro inquietudini e il loro bisogno di capirci di più sulle questioni della fede. Li ho trovati attenti, profondi, moderatamente critici. Mi sono convinto di quanto sia importante la presenza di un adulto capace di ascolto e di mettere in discussione il pensiero debole nel quale un ragazzo oggi cresce o il pensiero più elaborato di un autore incontrato a scuola, idealizzato dai miti adolescenziali. Nel vangelo di oggi Gesù invita i suoi discepoli a portare agli altri l’esperienza che hanno fatto di lui, quello che hanno udito, i suoi stessi gesti: non tenere per te la bella notizia, ma trafficala sul binario dell’esistenza perché una fede che non percorre le strade di una comunicazione è fede a metà. E nelle comunicazioni oggi dobbiamo forse intercettare in maniera più efficace e convinta il mondo dei ragazzi e dei giovani che, apparentemente lontano da prospettive di fede, di quella fede sembra averne bisogno, domandandone le ragioni. Gesù ci offre qualche indicazione di metodo.

1.    Anzitutto egli manda i suoi discepoli a due a due. Il vangelo risuona in un’esperienza condivisa. Perché il vangelo è amore che pervade i rapporti e non sarebbe significativo se non fosse annunciato in questo modo. Ma anche perché il vangelo non si risolve in quello che io posso dire del vangelo e ha sempre bisogno di un altro: che lo riprenda, che lo approfondisca, che ne indichi nuovi percorsi vitali. Pensando alle giovani generazioni, possiamo dire, allora, che il vangelo si dà in un’alleanza educativa in cui non corriamo da soli. C’è la parrocchia e c’è la famiglia. Ma ci sono anche i membri della famiglia stessa. Un padre e una madre, impegnati entrambi nella trasmissione della fede, senza deleghe dell’uno sull’altro. Genitori e nonni che convergono nell’indirizzo religioso. A volte ci può essere qualcuno che fa fatica a credere, ma questo non deve deprezzare l’impegno condiviso. Una catechista mi raccontava nei giorni scorsi lo smarrimento di una nonna di fronte alla nipote di sei anni che è andata a trascorrere qualche giorno con lei. Mentre la donna cercava di suggerire qualche preghiera serale, la bambina, non senza una certa arroganza, le ha chiesto: “Che sono queste cazzate che dici?”. Prima elementare. Un genitore deve farsi carico di queste affermazioni e, per il bene di sua figlia, deve intervenire adeguatamente: per una convergenza educativa, perché la preghiera ti insegna pur sempre che non basti a te stesso e per evitare che tra le cazzate della vita finisca anche il rispetto che è mancato nei confronti della nonna e che potrebbe mancare anche verso di te. A due a due.  

2.    Ma i cristiani inviati parlano anche con la loro vita e con la loro essenzialità. Non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. La ricchezza è Cristo, il resto è d’ingombro. Indichiamo prospettive cristiane quando le cose e i mezzi non prendono il sopravvento sul messaggio. Venerdì sono stato a trovare una sedicenne che ha avuto un incidente sciistico non proprio grave, ma tale da bloccarla a letto per un mese. E mentre si interrogava sulla sua disavventura e sulle possibilità di ritornare all’agonismo metteva n evidenza come quella piccola esperienza l’avesse portata a pensare alle cose importanti e a riprecisarne la graduatoria: la bellezza della vita, una famiglia che ti è vicina, l’aiuto che gli altri ti danno gratuitamente, la prudenza. E anche il discorso su Dio perché questa ragazza, presa da tanti appuntamenti sportivi, ad un certo punto aveva interrotto il catechismo e la cresima. Ho fatto bene o ho fatto male? Dio ce l’ha forse con me? Dio non ce l’ha con te ma, nell’essenzialità di alcuni momenti della vita, torna a farci vedere le cose importanti perché non ci dimentichiamo di quello che davvero ci tiene in piedi. Tra gli slalom della vita e non solo quelli dei campi di sci.

3.     Infine si parla significativamente di Dio prendendo anche qualche distanza. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro. Sbattere la polvere significa: questa terra non mi appartiene. Perché portando il vangelo ci possono essere dei terreni refrattari ad esso, dove il suo seme buono non cresce. Quest’anno come regalo di promozione vanno molto in città le vacanze insieme. E così anche tre ragazze sedicenni si organizzano per trascorrere qualche giorno al mare nell’appartamento di famiglia e senza adulti. Una madre nega il permesso alla figlia e l’altra madre le dice: “Mandala. Vuoi farla crescere come una suora”. A parte l’idea della suora che circola nell’immaginario collettivo, ma è proprio questa l’esperienza migliore per mia figlia? Vangelo vuol dire ospitalità e distanza, apertura e prudenza per non confondere la vita del cristiano con le mode e barattare la libertà con le sue illusioni. Così siamo inviati, fedeli all’uomo e fedeli al vangelo: per non starcene arroccati e per non svendere la verità.

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