domenica 8 aprile 2012

Omelia domenica 8 aprile 2012

Pasqua 2012

L’imperatore si rivolse ai cristiani dicendo: «Strani uomini… ditemi voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi: che cosa avete di più caro nel cristianesimo?». Allora si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: «Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso».
È un brano tratto dal Dialogo dell’Anticristo del filosofo e teologo russo Vladimir Solovev nel suo ultimo libro scritto poco prima della morte nel 1900. L’autore preannunciava con sorprendente lucidità quello che sarebbe accaduto al cristianesimo occidentale. L’Anticristo secondo il racconto viene prima eletto presidente degli Stati Uniti d’Europa, poi è acclamato imperatore a Roma, si impadronisce del mondo intero, e alla fine si impone anche alla vita e all’organizzazione delle Chiese. L’Anticristo si presenta come un asceta, uno studioso e un filantropo sostenitore della pace universale. L’Anticristo, in linea di principio, sembra non rifiutare il cristianesimo ma non nomina mai Cristo e gli appaiono inaccettabili la sua pretesa di unicità, le indicazioni per la vita morale e soprattutto che Cristo sia vivo, tanto che istericamente ripete: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto. È marcito, è marcito nel sepolcro».
E’ una descrizione non priva di attualità, che ricorda le parole di Maria di Magdala: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». I dati pubblicati in occasione del Convegno delle Chiese del Nord-Est che si terrà ad Aquileia nei prossimi giorni sembrano confermare tale descrizione. Un tinteggiatura cristiana che ha perso lo stesso Cristo di cui stimiamo il messaggio senza che il suo mistero ci pervada. Ci definiamo spirituali ma non preghiamo più. Condividiamo dei codici etici ma la radicalità evangelica ci sembra esagerata. Cerchiamo vita, ma non crediamo nella vita eterna. «Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso».
La pasqua è l’appuntamento che di anno in anno ci pone di fronte non ad sistema di valori ma a Gesù risorto perché torni ad animare la nostra vita. In che modo? L’itinerario di Pietro e Giovanni al sepolcro ci indica una strada percorsa da tre verbi: correre, vedere, credere.

1.    Correre. Corri se c’è qualcosa che ti sta a cuore, qualcosa a cui tieni. Ne va di te e della tua vita. Forse abbiamo smesso di correre sulle strade della fede perché la nostra vita la cerchiamo altrove. Pietro e Giovanni invece vanno velocemente al sepolcro perché quello che hanno sentito da parte di Maria di Magdala li convoca su un crinale nel quale è atteso ogni uomo: quello dei confini tra la vita e la morte. Il cristianesimo non è condivisione di bei sentimenti o adesione ai valori universali. Questo è l’Anticristo di Solovev. Il cristianesimo è incontro con il Vivente, con Colui che ti libera dalla morte perché l’ha vista in faccia e l’ha vinta. Una recente indagine condotta sui bambini de L’Aquila, a tre anni dal terremoto, dimostra che da ricostruire non c’è solo la città di muratura, ma anche le speranze di vita in una generazione che appare terremotata in fondo all’anima, una generazione che ha respirato morte e il disorientamento di fronte alla morte. Sono solo i bambini de L’Aquila o ci siamo anche noi, vittime di una morte che rischia di vincerci già con l’idea che sia l’unica e ultima verità dell’esistenza? Non ti rassegnare a questa conclusione. Corri. C’è qualcun altro che ti aspetta. Qualcos’altro che si apre.

2.    Vedere. I teli per terra, il sudario piegato. Sono i segni che testimoniano un passaggio, una liberazione. Il Risorto non è prigioniero dei lacci della morte: quelle bende non lo stringono più. Noi incontriamo Gesù risorto quando passiamo per la medesima esperienza e registriamo che le funi che ci opprimevano non sono più tali. Prova a vedere. C'è qualche fune che si sta allentando? Perché noi aspiriamo alla libertà ma talvolta siamo innamorati delle nostre catene e paradossalmente ci piace di più mantenere alcune situazioni, che poterne uscire. Perché le catene ci stringono ma anche ci rassicurano. Qualcuno si sta sforzando per venirti incontro, perché ci tiene alla tua presenza e perché non si rassegna a perderti, e tu lo guardi con sospetto o con un senso di rivalsa. Arroccato nelle tue posizioni, credi di essere libero e invece sei prigioniero nella tua torre. Comincia a vedere i segni della risurrezione nelle funi che stanno cadendo e non cedere al gioco sconsiderato di chi vorrebbe ricollocarle al loro posto.

3.    E infine credere. Incontri il Risorto se credi in lui, non se hai tutte le pedine a posto. Perché le pedine vanno a posto solo se ti aiuta a farlo lui e a modo suo. E a lui non interessa districare un rebus, ma dipingere un disegno nel quale c’è un posto anche per te. Vivi del suo vangelo e vedrai che le linee cominceranno ad avere un senso, i colori non saranno più così incomprensibili. Credi in quel gesto di carità che ti sembra inconcludente, credi nello sforzo di esserci senza latitanze a casa tua, credi nella forza della messa domenicale anche se avresti altro da fare, credi in quel lavoro nel quale Dio ti affida un po’ di mondo e del suo futuro. E vide e credette. Vediamo il Risorto se gli diamo un po’ di fiducia, se gli riconosciamo la possibilità di stupirci. E al grande sovrano del nostro tempo, forse torneremo a dire le parole dello staretz Giovanni: «Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso». Risorto e vivo.

1 commento:

  1. "Ci definiamo spirituali ma non preghiamo più. Condividiamo dei codici etici ma la radicalità evangelica ci sembra esagerata. Cerchiamo vita, ma non crediamo nella vita eterna."
    grazie della riflessione don jerry! credo che mi procurerò quel libro di solovev...
    ma grazie soprattutto per il messaggio pasquale e buona pasqua anche a te. a presto.
    serena

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