martedì 21 febbraio 2012

Omelia 12 febbraio 2012

Settima domenica del T. O.

Ieri mattina a Zelarino c’è stata la presentazione dei dati relativi alla religiosità del Nord-Est, pubblicati in un’ampia inchiesta curata dall’Osservatorio Religioso del Triveneto. Emerge un panorama credente in veloce evoluzione che interessa in maniera particolare le giovani generazioni. Non avevamo bisogno delle inchieste per capirlo: basta osservare la distanza pratica che non più e non solo i giovani, ma anche i ragazzi prendono dall’ambiente ecclesiale, dalla messa domenicale, dal catechismo senza che questo costituisca un grosso problema, né per loro né per la loro famiglia. Si può essere infatti cristiani in tante maniere visto che, se i cattolici al Nord-est sono il 77% della popolazione, oltre la metà si definisce credente “con riserva” o “a modo suo”.
I figli sono perfettamente in linea con il trend dei padri e con una varietà nel modo di credere che sembra socialmente ratificabile e umanamente rispettosa: puoi essere cristiano come vuoi tu. Non importa vincere, ma partecipare, anche se il cristianesimo che interpreti non è quello che ti presentano i preti o la tradizione.
I dati dell’indagine interrogano il nostro futuro e le modalità con cui trasmettiamo la fede. Dobbiamo però interpretarli non solo in relazione alla statistica, ma alla luce della parola di Dio, al suo modo di vedere le cose e il vangelo di oggi ci viene in aiuto. Un paralitico condotto da Gesù, icona delle nostre paralisi e della possibilità di uscirne.

1.    Un primo dato è costituito dalle persone che, escogitando un sistema ingegnoso, introducono il paralitico attraverso il tetto davanti a Gesù. Da parte loro c’è la persuasione che il Rabbi di Galilea possa fare qualcosa di importante. Non sanno ancora che cosa, ma sono guidati da una certa fiducia che non sfugge a Gesù: vista la loro fede. La fede li ha messi in movimento. Se c’è una paralisi che può bloccare le percorrenze dell’uomo contemporaneo verso Cristo, c’è una paralisi che può bloccare anche i suoi discepoli e la loro fede. Quando tu prendi a cuore la fede dell’altro, le sue paralisi, quando ad esse non ti rassegni barattandole come espressione di libertà, una guarigione è già avvenuta. La tua. Cosa possiamo fare per la fede dell’altro, per prendercene cura: un consiglio, un esempio, un incoraggiamento? Non lo sappiamo se gli servirà. Sappiamo però che servirà a noi, per uscire dal nostro immobilismo e ritornare ad affermare che nella direzione del vangelo c’è una vita buona, che ti rimette in piedi.

2.    Un altro aspetto riguarda il dialogo tra Gesù e il paralitico. «Figlio, ti sono perdonati i tuoi peccati». La situazione è un po’ strana, come se vi fossero due livelli di guardia. Quelli di un uomo colpito da una distrofia per il quale si invoca guarigione e quelli di un male più profondo che Gesù riconosce nel cuore dell’uomo e chiama peccato. L’indagine triveneta ha messo in luce un dato che fa riflettere: la chiesa è percepita in maniera più severa di quanto non si percepisca lo stesso Dio. Un tempo il suo occhio triangolare indagatore incuteva timore; oggi lo stesso atteggiamento sembra legato a una chiesa più matrigna che madre. E con questa chiesa non si intende più avere a che fare. È importante che ce lo ricordiamo e che soprattutto l’istituzione ecclesiale non dimentichi i tratti della misericordia. Ma c’è da chiedersi se talvolta non vi sia la pretesa di saltare il secondo livello di guardia, cui la chiesa ti riconduce. Oggi si guarda con favore ad una chiesa che rialza dagli intoppi della vita: la chiesa della solidarietà, delle sue organizzazioni caritative e assistenziali. Una chiesa che si prenda cura dei bambini ma lasci perdere le politiche sulla famiglia, che tenga aperte le mense della Caritas ma non entri nelle questioni dell’immigrazione, che curi l’educazione ma lasci stare la scuola. Che cosa è più facile, dire: ti sono rimessi i peccati o alzati e cammina? La guarigione dell’uomo non è a settori: è integrale. La chiesa talora è impopolare non perché è matrigna ma perché guarda all’uomo custodendone misure complete. Gesù rimettendo in piedi il paralitico ci fa capire dov’è la vera paralisi: è quella che ci impedisce di camminare sulle strade di Dio, di accogliere il suo progetto di salvezza, di cambiare mentalità e di essere uomini fino in fondo e non solo in qualche periferico movimento. E pazienza se le nostre quotazioni saranno in ribasso. Per fortuna Gesù Cristo non guarda lo share.

3.    Infine, dopo il miracolo, mentre il paralitico guarito se ne va, la gente dice: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». Proprio lui, calato dal tetto, protagonista di quella straordinaria vicenda che avrebbe fatto la gioia televisiva di Bruno Vespa, se ne va senza una parola di commento.
Il cristianesimo che fa breccia è quello che desta sorpresa non per le dichiarazioni che rilascia ma perché ritorna a camminare. Ecco che cosa ci chiede il Signore in questo nostro tempo e in questo nostro Nord-Est: ritorna a camminare. Non ti inquietare, né delle polemiche di Celentano, né sugli attacchi dell’Ici e nella semplicità del tuo quotidiano riprendi i contatti con gli uomini e fai vedere che la paralisi non ti appartiene e le strade di Dio continuano a percorrere quelle degli uomini. Lui che continua a dire: Ecco, io faccio una cosa nuova, non ve e accorgete?

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