Omelia esequie Sonia Civiero in Zecchin (9
gen. 2025)
(2Cor 4,14-5,1 – Mt 2, 1-12)
Avvertiti poi
in sogno di non passare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro
paese. È l’epilogo della vicenda dei Magi ed è la chiave interpretativa
della vita di Sonia che, senza sottrarsi agli appuntamenti del quotidiano e
alle responsabilità di una famiglia e di un lavoro, ha saputo riconoscere e
percorrere un’altra strada, sottraendola al dominio di Erode e
indicandola anche a ciascuno di noi.
1.
È la strada dei segni attraverso i quali
il cielo ha qualcosa da suggerire alla terra. Sonia era una donna energica,
intraprendente, determinata. Subito assunta in un’azienda di abbigliamento dopo
la maturità, non aveva risparmiato energie mettendo passione nel lavoro,
intravedendo nei traguardi professionali la possibilità di una sua crescita e
di una realizzazione. Sonia aveva una spiccata indole organizzativa, teneva
sotto controllo le consegne e le scadenze, portava a termine le sue mansioni
con precisione ed era attenta anche a quelle degli altri. E tuttavia il suo
sguardo e i suoi pensieri non erano prigionieri del lavoro e sapeva guardare
con incanto alla vita, la famiglia. Emozione è una parola che ritorna di
frequente nei suoi messaggi, come quando le arriva un disegno, un arcobaleno, un
regalo, un mazzo di fiori. Ma l’emozione più grande per lei era suo marito
Stefano, quell’anello che lui le aveva regalato a Venezia, quei piccoli gesti
con cui lui la stupiva, fosse anche un pane appena sfornato o un risotto impiattato
a forma di cuore. E la persuasione che quell’uomo nella sua vita non fosse
arrivato per caso, dato che Sonia custodiva come parole sacre, quelle che le
aveva detto una sua prozia suora: Guarda che Stefano te l’ha mandato il
Signore. Ecco, la vita fatta di segni. Che non sono sempre stelle sui cieli
di Betlemme, ma che ugualmente splendono e che ci ricordano che c’è qualcosa in
più di quello che si vede, o forse Qualcuno in più. Per un’altra strada:
quella del mistero, della meraviglia, della profondità degli sguardi.
2.
E poi c’era la strada della condivisione e dell’impegno
per gli altri, la strada dell’animazione in parrocchia e del volontariato con
il Comitato di Via Vegre. Chi te lo fa fare, quando devi pensare al lavoro o
quando hai già i tuoi problemi? Ma per Sonia non era così. E si spendeva con generosità
in un servizio puntuale e mai improvvisato, proprio come quando era al lavoro,
curando la sostanza e anche i dettagli. Perché il volontariato non
rappresentava l’ambito del se – se posso, se ho tempo, se
me la sento – ma l’espressione di una volontà serena e libera nella quale Sonia
ritrovava se stessa. Ricevendo infatti un disegno di sua nipote con tantissime
mani, Sonia commentava: Ha un bel significato per me. Nella mia vita ho
sempre dato tanto, a tante persone, senza tirarmi indietro. Le recenti
vicende legate al falò dell’epifania ne costituiscono una testimonianza
eloquente. Uscendo dalla terapia intensiva, giovedì scorso, Sonia aveva ripreso
in mano il telefono, rendendosi conto di una preoccupata messaggistica che, a
motivo delle sue condizioni, stava portando il Comitato di Via Vegre a
sospendere i festeggiamenti. E lei aveva raccomandato di andare avanti
aggiungendo un elenco dettagliato di compiti da svolgere e acquisti da fare. Poi
Sonia è mancata e anche la festa ma, in quel momento di preghiera intorno al
fuoco acceso ugualmente domenica sera, Sonia è riuscita lo stesso a mettere
insieme la gente, tanta, facendoci forse capire che il senso del volontariato e
di una festa sono la fraternità, la comunione, quella che rimane anche quando
non ci sei più e che segretamente riscalda una fredda sera d’inverno. Per
un’altra strada: quella di Erode porta unicamente a se stessi ed è una
strada senza uscita. Quella degli altri allarga la vita e la rende un po’ più
interessante.
3.
Infine altra strada che Sonia ha
dovuto intraprendere è quella più difficile, quella della malattia,
diagnosticatale circa tre anni fa. E fai tutto quello che c’è da fare, anche
quando ti viene da chiederti se ne vale la pena. Ma Sonia non si faceva mai
questa domanda e si affidava con grande speranza e fiducia alle cure
oncologiche, affrontando diagnostiche, interventi chirurgici, chemioterapie. A
dire il vero c’erano alcune domande, quelle che chiedevano ragione della sua
condizione: Ma cossa goi fatto mi? Mi che gavevo da fare tante robe! Ma erano domande saldamente appese a un
interlocutore divino da cui lei non si schiodava. Fossero le candele che
recuperava da qualche santuario e ardevano a casa sua, fossero le visite a S.
Antonio, a p. Leopoldo, a Monte Berico, fosse il viaggio a Lourdes, fossero la messa e la confessione,
Sonia portava il suo male di fronte al Signore. Come scriveva a un’amica prima
del ricovero estivo: L’unica cosa che
vi chiedo sono tante preghiere. Da un paio di mesi il quadro si era
aggravato e lei, d’accordo con Stefano, si era trasferita a casa della mamma
che le assicurava compagnia e la necessaria assistenza. Capiva bene che la
situazione non era semplice ma non c’erano in lei segni di impazienza. Aveva
iniziato a percorrere ancora una volta un’altra strada, quella in cui il
Signore legava il Natale suo al Natale di Sonia. Un Natale in cui lei si
sentiva bene, in cui è ritornata a casa sua, in cui è riuscita a partecipare
alla prima messa vespertina della festa, ad andare a mangiare una pizza come
non faceva da tempo, a fare un giro in piazza a Castelfranco, a entrare qui in
chiesa dopo la messa di mezzanotte per scambiare qualche augurio. Il giorno di
Natale aveva pranzato con i suoi, in famiglia e, data la serenità e la gioia di
quei momenti, risultavano strane le parole con cui si era confidata la sera
prima con Stefano e ad alcuni amici: «Questo è l’ultimo Natale». Ma era
proprio così e lei ne era consapevole. Il giorno dopo, S. Stefano, la comunione
arriva a casa e lei la divide a con il marito, come se il Signore dovesse
accompagnare il cammino di entrambi. Il loro incontro era cominciato con un
pane sfornato e continuava con il Pane spezzato.
Di li a poco il ricovero e quei
giorni e quelle ore in cui il presepe sembra trasferirsi in terapia intensiva.
Ancora il tempo di risvegliarsi, di salutare, di conversare con qualcuno.
Ancora il tempo per qualche preghiera, per il rosario: Dillo tu, perché non ce
la faccio. Io ti seguo. Poi il Signore che arriva e arriva anche lei,
Sonia, come i magi. Prostratisi lo adorarono. Anche lei era prostrata da
una malattia e anche lei era ricca di doni: non
oro, incenso e mirra, ma quelli di una vita che profuma di verità e di gioia,
nonostante tutto.
Fratelli, diceva S. Paolo poco fa,
il momentaneo leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità
smisurata ed eterna di gioia, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose
visibili, ma su quelle invisibili. Quelle visibili sono di un momento, quelle
invisibili sono eterne. Ecco, Sonia ha rivolto lo sguardo all’invisibile e
ci ha aiutato a fare altrettanto. Con l’entusiasmo che metteva nelle cose, con
la sua passione per gli altri, con la sua voglia di rimanere con il Signore
anche quando sembrava lontano. È questa
in fondo l’altra strada dei Magi, quella che Sonia ci lascia perché
ritorniamo al nostro paese, a questo paese che lei amava, in maniera
differente, agganciati al Signore e capaci di brillare della sua luce.