lunedì 29 agosto 2016

Omelia 28 agosto 2016


Ventiduesima domenica del tempo ordinario

Il Gran Premio riparte dal Belgio e Kimi Raikkonen parlando del circuito di Spa-Francorchamps ha detto: «Possiamo fare una buona gara. Qui si può sorpassare». Non è che forse questo è proprio il mito che inseguiamo? Sorpassare: in strada, negli ambienti di lavoro, nelle tante circostanze in cui la vita ci mette in fila. Ci infastidisce addirittura che le mamme con i bambini abbiano una corsia privilegiata nella prenotazione degli esami clinici: io ero arrivato prima!

A volte però scopriamo che la nostra velocità non serve e che su alcune strade i sorpassi sono impossibili. Anzi, a volte non ci sono neppure le strade!

Quello che è capitato ad Amatrice in questi giorni ce lo fa capire: un terremoto che velocemente ha spazzato via la vita di quasi trecento persone, ha distrutto case, ha rubato speranze.

Questi eventi portano con sé la grande domanda su Dio: dov’è quando succedono queste vicende? Ma, come osservava il vescovo di Ascoli, forse c’è anche un’altra domanda che più realisticamente possiamo farci: dov’è l’uomo? E non solo per le responsabilità in fatto di sicurezze e prevenzione antisismica, ma anche per il senso che attribuiamo alla vita, ai nostri giorni, alla natura e ai beni che possediamo. A volte dimentichiamo i limiti che ci appartengono e viviamo in un delirio di onnipotenza come se le nostre sgommate ci rendessero invincibili. Figlio – diceva il Siracide - quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Gesù oggi vuole restituirci alle corrette misure dell’esistenza e l’occasione è un banchetto in cui egli registra una spasmodica volontà di sorpasso: Notando come gli invitati sceglievano i primi posti. La voglia di apparire, di emergere, di scalare le classifiche sociali e professionali per poter affermare se stessi. Sta attento perché, anche se non arriva il terremoto di Amatrice, il terreno in cui costruisci può essere insidioso, specie se è il sorpasso a condurre la tua vita.

Cosa suggerisce Gesù?

1.    Quando sei invitato a nozze. Ecco lo sfondo dell’esistenza che Dio ha in mente: un banchetto nuziale. È quello che lui ha imbandito con l’umanità regalandoci il suo Figlio ed è quello a cui vorrebbe che partecipassimo. A volte la nostra esistenza traballa perché ci siamo dimenticati di questa festa e ci serviamo reciprocamente i bocconi avvelenati della nostra cattiveria. L’altro mi ha tradito: non ho rotto il matrimonio ma non ho neppure accolto il suo pentimento. E gli somministro dosi costanti di perfidia, di volgarità, di meschinità, di violenza con l’esatto intento di fargliela pagare. “Voglio che senta tutto il male che mi ha fatto”. E uso attentamente i bambini per tenere in prigione la mia vittima, senza considerare che anche per i bambini la vita sta diventando un inferno. In questi casi è meglio la separazione. Ecco il terremoto che ci travolge: distruggere la festa e lasciare che qualcuno lo faccia. Abbiamo dimenticato le nozze!

2.    Altro consiglio per reggere il terremoto. Non metterti al primo posto. Gesù non ci invita a fuggire le responsabilità ma ad allontanarci dalla spasmodica ricerca di visibilità e di considerazione: “Che bravo che sei!”. Perché? Non perché la gratificazione non sia importante, ma perché rischi di legare la tua identità, la tua verità e consistenza al giudizio degli altri. Una ricerca di rassicurazione che alla fine ti trasforma in un mendicante di affetto, di stima, di riconoscimento. Pensate a tutte le volte che cambiamo l’immagine di profilo su Fb o inseriamo le nostre foto contando i like che arrivano. E se non arrivano, che succede? Tu vali di meno? È un problema di legittimazione sociale che oggi riguarda gli acquisti che facciamo, i locali che frequentiamo, i programmi che seguiamo dove si stabilisce una sorta di linea di demarcazione tra chi vale e chi non vale, tra fighi e sfigati. Come ha detto una ragazzina di seconda media a un’animatrice al campo: «Mi sembri tanto normale». Certo, perché se tua madre ti dà dietro fard e maskara da usare al campo, io preferisco essere normale! Sta attento a ciò che questa società indica come il top, perché l’occhio di bue che prima o poi illumina la tua vita, si sposta altrove. E allora: o hai una luce interiore o resti al buio. Vai all’ultimo posto: fai vedere che vali perché sei e non perché ci fai.

3.     Infine: Quando fai un pranzo non invitare quelli che ti invitano. Se vuoi reggere nella vita devi trovare nuovi equilibri non dettati da tornaconti troppo statici. Pensate proprio al terremoto: oltre la tragedia ci sta facendo capire che c’è una grande risorsa che appartiene al nostro Paese: quella della solidarietà. Ecco il nuovo equilibrio che ti permette di stare in piedi su una base più ampia del tuo personale benessere, di quello della tua famiglia, di amici e conoscenti. Prova a investire in questa direzione e scoprirai che quel sentimento reca con sé una nuova ricompensa, quella del Regno dei cieli, dove il terremoto non arriva. Non ci sono solo gli equilibri terreni: è il cielo che regge la terra.

Gli eventi di questi giorni ci mettono alla prova: ma abbiamo capito che non si tratta solo di scosse telluriche. E’ della nostra vita che ancora una volta ci viene chiesto conto, per renderla più solida e più credibile.

venerdì 26 agosto 2016

Omelia Bertilla Bobbato


Bertilla Milani ved. Bobbato (23 ago 2016)

1Tess 4,13-18 – Lc 2, 36-38

C'era anche una profetessa, Anna, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno.

La descrizione della profetessa Anna richiama molto il profilo di Bertilla, non solo per la vedovanza e la corrispondenza anagrafica, ma anche perché entrambe non si allontanavano mai dal tempio. Bertilla aveva sposato Mario Bobbato, sacrestano della chiesa parrocchiale, ben sapendo che tale servizio avrebbe segnato non poco la sua vita e la famiglia che si andava costituendo. Ma questo non era un problema, anzi: diventava una missione dove lavoro, fede, famiglia, parrocchia erano un orizzonte che non conosceva interruzioni. E ben lo si capiva quando Bertilla, in questi ultimi anni, facendo del deambulatore un normale mezzo di trasporto, entrava e usciva di casa e di chiesa senza soluzione di continuità e teneva tutto sotto controllo, magari chiamando anche il parroco, non importa a che ora, per dire che qualche luce era rimasta accesa...

Che cosa ci racconta questa sorella con la sua vita? Ci racconta la vicenda di una parrocchia, sua e nostra, una parrocchia fatta di mattoni, di volti, di fede.

1.    La prima parrocchia è quella dei mattoni che danno forma a questo edificio. Mattoni che Bertilla aveva visto posare finché, nel 1956, era stata inaugurata la nuova chiesa. E, accanto al giovane sacrestano che con orgoglio custodiva, puliva e ornava il tempio in un servizio che non conosceva né riposo né ferie, c’era anche Bertilla: la chiesa in un certo senso era un’estensione della loro dimora, tanto che mentre essi erano affaccendati tra banchi da spolverare e fiori da assestare, i loro figli rimuovevano la cera dai portacandele o scorrazzavano con il triciclo da un capo all’altro della navata. È bello questo legame tra la chiesa e la casa, perché oggi qualche volta ci illudiamo di poter sostituire le murature ecclesiali con un assetto cristiano più disinvolto che trascura la realtà dell’uomo e la verità dell’incarnazione. Abbiamo bisogno di una casa perché l’uomo trova se stesso in spazi ben precisi che raccontano la sua vita. E abbiamo bisogno di una casa perché Dio stesso ha abitato le case degli uomini e in esse ha dato loro appuntamento. La casa di Nazaret, la casa di Pietro, la casa con quella stanza al piano superiore dove mangia l’ultima cena. Bertilla oggi ci restituisce questo luogo perché in esso c’è buona parte della nostra storia e la possibilità di rinnovare un incontro con Dio che ama raggiungerci anche attraverso i mattoni degli uomini.

2.    Ma le pietre degli edifici cristiani alludono ad una costruzione ben più importante: quella della pietre vive. La parrocchia è fatta non tanto di muri, ma di volti, di mani che si incontrano e si stringono, di relazioni. E Bertilla ci teneva moltissimo. Mentre Mario era piuttosto riservato, lei era più espansiva, facile al contatto, desiderosa di stabilire rapporti. E così, se qualcuno arrivava in paese, lei cercava di orientarlo, chi aveva bisogno d’aiuto poteva contare su un discreto emporio che Bertilla gestiva a suo modo, organizzando i sacchi del vestiario giunti fuori tempo massimo, quando c’erano le raccolte missionarie. E prima che sulla porta della sacrestia apparisse la scritta “kinder”, il “kinder” era Bertilla stessa che soccorreva mamme e papà i cui figli preferivano stare sul sagrato piuttosto che in chiesa: «Ndè messo voaltri chel ceo sta qua co mi». E li faceva giocare a casa sua. Scene oggi impensabili, ma che ci aiutano a ricordare che una parrocchia è la possibilità di pensare ad una famiglia più grande: di figli e di fratelli, di gente che si vuole bene. Un insegnamento importante, non sempre compreso da questa nostra società che vorrebbe chiuderci in un individualismo presuntuoso e autosufficiente. La chiesa nel mondo ci sta come segno di una comunione che Dio vuole realizzare tra tutti gli uomini e Bertilla ce l’ha ricordato.

3.    Infine la parrocchia è una vicenda di fede, di interiorità, di adesione a Dio. Per Bertilla la parrocchia non sostituiva il Signore, ma era l’occasione per incontrarlo. In particolare nella messa. Era il suo punto di riferimento, tanto che anche in questi ultimi tempi quando con la testa non sempre c’era, ti diceva convinta: «Par fortuna so za ndata messa stamatina». E la sua preoccupazione era che ci andassero anche gli altri: «Sito ndato messa oncò?». A che ci serve la messa? A volte trascuriamo questo appuntamento dimenticando che esso ci consegna l’orizzonte più grande che possiamo incontrare: quello della risurrezione. È come se la fragile imbarcazione dell’esistenza fosse sottratta alle secche in cui la storia a volte si incaglia e prendesse il largo verso l’eterno. Non andiamo a messa perché siamo più bravi degli altri ma perché ci stanno a cuore i confini della vita, perché crediamo che l’oscura prospettiva della morte è stata cancellata dal Signore della Vita: Non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affiggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Cristo Gesù sia risuscitato. Alla risurrezione del Signore affidiamo anche Bertilla, perché la fede e la speranza che l’hanno accompagnata in questa vita siano ora per lei la gioia dell’eterno e per noi l’invito a custodire una preziosa eredità, a raccoglierne i frutti, a reimpiegarla sulle strade del nostro quotidiano.  

sabato 13 agosto 2016

Omelia 14 agosto 2016


Ventesima domenica del Tempo Ordinario



Leonardo Sciascia, scrittore siciliano che conosceva bene il vangelo, pur con posizioni lontane dalla chiesa, scrive ad un certo punto: «Io mi aspetto che i cristiani qualche volta accarezzino il mondo in contropelo». È un commento significativo alle parole di Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra». Non il fuoco della violenza, della guerra, del terrore che colpisce gli innocenti. Ma il fuoco dell’audacia, dell’opposizione al male, di chi non si lascia sottomettere da sistemi iniqui che cancellano la verità e con essa gli uomini. Un cristianesimo che non asseconda il pelo delle mode, il politically correct, ma si pone come elemento di critica, di distanza e, se occorre, di rottura. In che modo? Le letture ci suggeriscono tre ambiti di osservazione.



1.    La resistenza in famiglia. «D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre». Il cristianesimo qualche volta può chiedere di discostarsi da alcune logiche, anche se interessano i legami più sacri, anche quelli famigliari. A Finale Ligure, nei giorni scorsi, una madre ha denunciato il proprio figlio diciassettenne perché ha scoperto che nascondeva marijuana in dosi idonee allo spaccio o al consumo di gruppo. Madre coraggiosa. Ma non sempre è così: le forze dell’ordine dicono che quando qualche ragazzo viene identificato per il possesso di sostanze, molto spesso i genitori intervengono per proteggere il figlio, addirittura prendendosela con gli agenti, colpevoli – a detta loro - di non andare ad arrestare i criminali veri. E così la gravità di una situazione viene annacquata in un garantismo che sottrae l’uomo alle sue responsabilità. Un figlio cresce quando lo poni di fronte alle proprie respon-sabilità non quando lo sottrai. Ci sono altre distanze salutari che dobbiamo stabilire a casa nostra? Una ragazza al campo mi ha raccontato di aver detto ai suoi genitori che non accettava il divieto di recarsi dai nonni. La risposta: «Sei troppo piccola per capire». «È così?», le ho chiesto. «Ho capito che non vogliono chiedersi scusa». A volte invece i piccoli capiscono e i grandi, proprio perché sono grandi, presumono di non avere più nulla da capire. Qui devi prendere distanze, aiutando a ritrovare il vangelo, mantenendo le rotte della verità e non il zigzag dei tuoi compromessi.



2.    La tenacia sulla pubblica scena. Abbiamo ascoltato nella prima lettura la vicenda di Geremia, profeta perseguitato che viene gettato in una cisterna perché annuncia una parola scomoda: Scoraggia il popolo! In realtà Geremia sta dicendo a chi era rimasto a Gerusalemme che sarebbe finito in esilio come gli altri deportati, dato che l’infedeltà ancora regnava in Israele. Parole che disturbano e che decretano la condanna del profeta. Anche i cristiani disturbano, altrimenti non sono cristiani. Adozioni dei minori: l’Organismo unitario dell’avvocatura, realtà giuridica che dovrebbe rappre-sentare tutti gli avvocati italiani ha preso posizione presso la Commissione giustizia della Camera perché una nuova legislazione preveda l’apertura delle adozioni anche a single e coppie omosessuali. E così al 'supremo interesse' del minore ad avere un papà e una mamma, si sostituisce il 'supremo diritto' degli adulti ad avere un bambino per soddisfare il loro desiderio di genitorialità. Una scelta che si adegua alla mentalità dominante in cui però i primi a reagire sono stati gli avvocati, per niente consultati dalla loro organizzazione, in una questione di simile portata. Oggi noi siamo succubi di una mentalità basata sul politically correct che modifica in maniera il nostro patrimonio genetico senza che ce ne accorgiamo. Anzi sembra che la denuncia sia contro il popolo, contro la libertà, la felicità e la democrazia. Ma la libertà è per tutti, anche per un bambino che forse riceve un po’ di più da un padre e da una madre che da due uomini o da due donne. E il vangelo è sempre dalla parte dei piccoli.



3.    La testimonianza nella comunità. Ce lo diceva la seconda lettura: circondati da una moltitudine di testimoni. A volte le cose non cambiano perché abbiamo l’impressione di essere da soli. Guardati intorno, forse c’è qualcun altro che accarezza il mondo in contropelo. Inserisciti nella rete della testimonianza, guarda che non sei da solo. Papa Francesco ha incontrato a sorpresa, nell'ambito dei “venerdì della Misericordia”, venti donne che sono state liberate dalla schiavitù del racket della prostituzione, ospiti della struttura romana della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. Forse c’è qualcuno che lotta per un mondo diverso: prova a vedere se c’è una rivista, un’associazione, un contatto che ti convinca che il mondo di Dio è possibile.

Forse non sarà il mondo che riscuoterà gli applausi del web, ma sarà più vivibile e vero.


Omelia 7 agosto 2016


Diciannovesima domenica del T. O.



Abbiamo visto l’accensione della fiamma olimpica, un simbolo che vorrebbe ricordarci una dimensione differente dello sport, più grande di quella degli scandali che qualche volta lo caratterizzano o del denaro che sembra ingoiarlo. Fa’ che lo sport risplenda in maniera nuova, che diventi incontro, ricerca di una meta cui tendere, capacità di sorprendere il mondo per quello che sai raggiungere con la tua determinazione, il tuo allenamento, la tua costanza.

Anche Gesù vangelo di oggi ci parla di luce: Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese. Si può vivere un’esistenza travolti dalle cose e dalle situazioni e si può vivere cercando di illuminare quello che avviene, di cercarne il senso. Quale luce ci affida il Signore, cosa vuole che impariamo a vedere?



1.    Osserva i confini della vita e a chi appartengono. Siate simili a coloro che attendono il padrone quando arriva e bussa. Ecco, a volte noi ci dimentichiamo che la nostra vita appartiene a qualcuno e viviamo con una pretesa di onnipotenza come se in questo mondo dovessimo vivere in eterno. Abbiamo visto nei giorni scorsi la vicenda di quel diciannovenne di Martellago stroncato da un cocktail letale di alcol e droga assunto durante un rave party sul Tagliamento. Sentite cosa scriveva La Tribuna il giorno dopo: È scattata la caccia al pusher: chi ha ceduto al giovane la sostanza fatale? Era forse stata tagliata male? La posizione dello spacciatore, qualora fosse individuato, potrebbe in tal caso aggravarsi. Quando capitano vicende del genere la grande preoccupazione è quella di cercare il colpevole, chi ha venduto la morte, assicurandolo alla giustizia. Ma raramente ci chiediamo che vita cerchiamo e stiamo suggerendo. Anzi, ce ne guardiamo bene, specialmente quando queste domande toccano gli interessi del divertimento, di un’industria che fa da padrona sulla vita dei giovani, che si accaparra fette di parlamento cercando di convincere gli italiani che la legalizzazione delle sostanze sia il modo per sconfiggerle nonostante tutte le comunità terapeutiche denuncino tale follia. Beati quei servi che al suo ritorno troverà ancora svegli. Stai attento alla tua vita, a chi vende fumo, perché quando lo compri sei già stato narcotizzato. Il padrone è un altro.



2.    Smetti di pensare solo a te stesso. Gesù descrive un servo che ad un certo punto pensa solo a se stesso, a mangiar, bere e ubriacarsi. Gli altri servono unicamente per assecondare tale sistema, addirittura con le percosse. Il padrone, assicura Gesù, lo punirà con rigore, assegnandogli la sorte degli infedeli. La tua vita è luminosa quando sai uscire da te stesso e stabilire corrette relazioni. Nei giorni scorsi è uscito un importante documentario di Erik Gandini: La teoria svedese dell’amore. La Svezia è il Paese conosciuto da tutto il mondo per avere una società perfettamente organizzata, basata sull’autonomia delle persone. Gli esiti di questa “autonomia istituzionalizzata”, in cui nessuno deve chiedere agli altri favori o aiuti, sono che quasi metà della popolazione abita oggi in appartamenti singoli e sempre più donne scelgono di affrontare la maternità attraverso l’inseminazione artificiale. Eppure questo modello non convince molti giovani che stanno ritornando a fare comunità nei boschi per riappropriarsi della vita insieme. La tua vita è luminosa se qualcun altro la abita, se qualcuno ti appartiene e se tu appartieni a qualcuno. E forse noi italiani così attratti da alcuni miti del Nord-Europa che ci sembrano il futuro, dovremmo rivalutare alcune esperienze famigliari, senza lasciarcele rubare da una sorta di complesso di inferiorità che ci priva del tesoro più bello che abbiamo: la relazione con l’altro.



3.    Accogli l’imprevisto. Se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. La tua vita è con la lampada accesa se ogni tanto metti da parte l’orologio della tua programmazione e fai posto all’inatteso. È quello che sperimentano i nostri ragazzi al campo, specie quelli che hanno fatto fatica ad aderirvi. Il campo rivela qualcosa che non pensavi e di cui anzi avevi paura. La stessa scoperta non appartiene sempre a noi adulti che non ci fidiamo, che diciamo che sarebbe bello poter andare in casa alpina come i figli, ma poi di fatto alla proposta aderiscono solo tre famiglie. Fidati un po’ di più del Signore e degli appuntamenti che ti può riservare! Le iniziative che ti vengono proposte, le collaborazioni che ti vengono chieste, negli eventi che la vita ti riserva: forze c’è un’opportunità. E così si impara ad aver fiducia, anche nell’appuntamento ultimo con Dio che cesserà di impaurirti e ti raggiugerà come una sorpresa. Anche quella di un Dio che non ti aspetta per consegnarti al buio, ma per accoglierti a tavola e servirti lui stesso, di quella comunione nella quale accoglie tutti i suoi figli.



Ecco l’olimpiade cristiana. Non serve andare a Rio, ma giocarsi giorno per giorno, illuminando il presente con il vangelo, attendendo con speranza il futuro.

sabato 11 giugno 2016

Omelia 11 giugno 2016


UNDICESIMA DOMENICA DEL T.O.



Vi ricordate la favola di Biancaneve: «Specchio, specchio delle mie brame che è la più bella di tutto il reame?». La sindrome dello specchio è più diffusa di quel che pensiamo e col tempo si è geneticamente modificata. Non colpisce più solo l’idea di bellezza, ma anche quella della bontà, della correttezza, dell’ineccepibile pretesa non solo di essere a posto, ma di essere anche migliori degli altri. Qui a Godego il virus è abbastanza diffuso e agisce ancor prima che ne rilevi l’esistenza: quando uno si affretta a dirti tutto il bene che ha fatto per gli altri, per la contrada, per la parrocchia… E magari è anche vero: solo che talvolta si dimenticano altre vicende che il virus ha meticolosamente cancellato dalla memoria. Egemonie per difendere il proprio territorio, prevaricazioni per affermare la propria volontà, dissapori che sono diventati fossati. Ma credi di essere se non il meglio, almeno meglio di molti altri. Gesù a casa di Simone il fariseo, si trova in una situazione analoga. Nel contesto di un invito a pranzo arriva una donna, cosa sconveniente perché nella mentalità di allora il banchetto era riservato ai soli uomini. Inoltre non si tratta di una donna qualsiasi: è un personaggio ben noto che anima le notti della città, forse anche quelle di Simone e dei suoi amici ineccepibili. E questa donna scoppia a piangere, (brecho, verbo del lavandaio che mette i panni in ammollo) cosparge di profumo i piedi di Gesù, li bacia e li asciuga con i suoi capelli. Un gesto pieno di tenerezza ma certamente fuori di ogni codice di opportunità, di rispettabilità e di convenienza che suscita imbarazzo, scandalo, graduatorie… vediamo cosa succede.


1.    Prima reazione è il sospetto e il pregiudizio. Se sapesse che genere di donna è questa… Vedete il pensiero del fariseo? Non è una donna, ma un genere di donna, una che porta un’etichetta infamante: amartolós, peccatrice, fatta di peccato. Il sospetto si regge su una persuasione che cerchi di avvalorare in tutti i modi. E selezioni: prendi quello che ti serve, che corrisponde alle tue idee e scarti tutto il resto. Pensate a un coniuge che sospetta dell’altro: osserva, controlla, verifica, cerca nelle tasche, nella messaggistica. È deluso se non trova conferme, mentre se trova un indizio dice: «Ecco, lo sapevo. Avevo ragione». Il sospetto inacidisce, logora i legami, fa vivere di ombre. E spesso ciò che uccide i rapporti non è ciò che si sospetta, ma il fatto di sospettare, di vivere con qualcuno cercando di prenderlo in fallo, di cercare corrispondenze tra la persona e le etichette che in maniera pregiudizievole le hai già attaccato, magari con la presunzione di avere Dio dalla propria parte o di insegnare anche a Dio: Se sapesse che genere di donna è…


2.    Gesù mostra un’altra logica. Non fugge e prende tempo. I gesti di quella donna possono essere strani, equivoci? Prima di etichettarli Gesù aspetta, accoglie, sta a vedere. E poi chiama il padrone di casa: «Simone ho una cosa da dirti…». Non ha qualcosa da dire alla donna, ma a Simone. Ecco, anche noi dobbiamo smetterla con le nostre supposizioni, i nostri film e metterci ad ascoltare il Signore. Cosa vuole dirci? A volte noi presentiamo al Signore le nostre situazioni difficili, ma non lo ascoltiamo. È un monologo, non preghiera. Guarda che il Signore qualche volta non dice quello che hai in mente tu. Sovverte i tuoi criteri di giudizio e anche i giudizi che esprimi sugli altri. Guarda che forse non è il vicino di casa che non capisce niente: sei tu che vuoi spadroneggiare; guarda che tua suocera che ti vuol parlare e che vuol vedere i suoi nipoti non è quel mostro che credi tu. E se ti ha chiesto perdono e tu non glielo dai, il mostro sei tu. Guarda che se il cane abbaia e il vicino si lamenta non è detto che sia nevrastenico di suo. Può darsi che rimanendo sveglio ogni notte nevrastenico lo stia diventando grazie al tuo amico a quattro zampe con cui vai a caccia. Simone, ho qualcosa da dirti…


3.    Infine Gesù descrive una serie di atteggiamenti che ha registrato. «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece… Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi…». Da un lato c’è un’ospitalità deferente ma fredda, dall’altra ci sono i gesti dell’affetto. E Gesù conclude: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato». Ciò che conta per Gesù non è l’osservanza delle consuetudini o delle leggi, non sono i giudizi che vorrebbero insegnargli gli uomini, ma la capacità di accoglierlo nella vita mettendosi con verità di fronte a lui. Quella donna non fa paragoni, non mette etichette. Sa di aver bisogno di misericordia e la chiede con verità, con la forza dei gesti. Ecco ciò che conta, dice Gesù, vinci la tua presunzione di essere il più bello del reame e lascia che la misericordia di Dio ti stringa e dica anche a te: Ti sono perdonati i tuoi molti peccati perché hai molto amato.  

sabato 7 maggio 2016

Omelia 8 maggio 2016


Ascensione del Signore



Non so se avete visto la pubblicità della Land-Rover: Il cielo non è un optional. Si riferisce al fatto che un loro modello d’auto è venduto con il tettuccio apribile. Tutto compreso. La provocazione è bella anche per la vita degli uomini. Il cielo non è un optional. Noi siamo fatti di cielo e senza questa apertura viviamo mortificati. La festa dell’Ascensione ci riapre il cielo e ci ricorda che in questa verticalità ritroviamo noi stessi. Che ne hai fatto del cielo?



1.    Un primo aspetto da esplorare è quella parola che ritorna sia negli atti degli apostoli che nel vangelo. È la parola testimoni. Il cielo ha bisogno di testimoni che suggeriscano agli uomini varchi di grandezza e di bellezza. È quello che capita anche a noi in queste giornate luminose. Ci fermiamo a guardare il cielo e talvolta lo suggeriamo anche agli altri, magari affidando un panorama ad un post sul nostro profilo. Aprire il cielo è in fondo lo sforzo che ha fatto papa Francesco rivolgendosi all’Europa: «Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia». Ecco, nella misura in cui scuoti una società intorpidita, vittima delle sue stesse pigrizie, nella misura che ad essa reagisci senza lasciati catturare stai riaffermando gli orizzonti del cielo.



2.    I varchi di cielo si aprono con pazienza. Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il tuo popolo? I discepoli sono sempre stati un po’ frettolosi. E Gesù ancora una volta li calma: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete forza dallo Spirito Santo». Come se Gesù dicesse: non ti preoccupare se l’orizzonte non è ancora ben visibile. Tu intanto opera per aprire dei varchi. Alcune situazioni sono complesse, domandano discernimento, attenzione. Giovedì scorso c’è stato il CPP dedicato al tema dei profughi. E di fronte al problema, per il quale vorremmo porre qualche segnale di responsabilità, ci pare di essere di fronte a una sproporzione. Ha senso ciò che facciamo di fronte alle decine di migliaia che arrivano? Cosa ci chiede il Signore? Ci chiede di iniziare, di credere che la forza del suo Spirito sia più efficace di quella dei muri. E di osservare il mondo con i suoi tempi. Non abbiamo tutte le soluzioni, ma se percorriamo strade evangeliche non siamo soli. Il Signore agisce con noi. E se c’è lui il cielo si apre.



3.    Infine c’è un gesto molto bello che compie Gesù mentre sale al cielo. Mentre li benediceva, si staccò da loro. Ecco, il mondo non è sotto il segno del caso o della maledizione, ma di qualcosa di bello e di buono che Gesù dice. Bene-dice. Gesù dice bene di ogni discepolo che crede nella sua parola gli regala un pezzetto di cielo, tutto per lui. A volte abbiamo l’impressione di essere da soli a credere, a faticare, a sperare. Pensiamo che anche Dio sia occupato altrove. Invece siamo accompagnati dalla sua benedizione: anzi, si compiace e fa il tifo per noi. Con le nostre fatiche, con le nostre imperfezioni, anche con il nostro peccato. Ma Dio non gioca al risparmio. Oggi è la festa della mamma. Com’è difficile talvolta questo compito. Eppure Dio si fida e benedice ogni mamma che accoglie questa straordinaria missione. E il pezzetto di cielo che le regala è quel figlio che ha portato in braccio. Un cielo a volte terso, a volte minaccioso, ma sempre sconfinato perché ricco del mistero della vita e dell’amore. Ecco, quando hai la sensazione di aver sbagliato qualcosa, prima di colpevolizzarti, guardati come ti guarda Dio e prova a ritrovare un po’ di quell’azzurro che è ancora a disposizione. Sarà ascensione vera, forse diventerà ascensione anche per chi incontri e lo aiuterà a capire che il cielo non è un optional.

sabato 9 aprile 2016

Funerale Sr. M. Redenta Coldebella


Sr. M. Redenta Coldebella (22 mar. 2016)

Fil 3,20-21 – Mt 18,1-5

A Godego Sr. Maria Redenta ci veniva sempre volentieri perché questa era la sua comunità. Nata il 21 novembre del 1919, all’indomani della guerra, era stata battezzata nove giorni dopo dal cappellano d. Carlo Longo e cresimata nel 1926 da mons. Longhin. E il suo desiderio era quello di ritornare a Godego anche nella morte e riposare nel cimitero del paese insieme a questa comunità per la quale sempre arrivavano le sue preghiere. Un regalo che ci ha fatto in vita e un regalo che continua anche nella morte. 



1.    Mi pare che qui ci sia un aspetto importante della vita consacrata. Sr. M. Redenta aveva alle spalle ben 70 anni di professione religiosa. E una religiosa nella comunità cristiana, oltre ai tanti servizi che assume,  ci sta proprio per questo: per annunciare cieli nuovi e nuova terra. Infatti, la Lumen Gentium, grande costituzione conciliare che parla della chiesa, dopo aver dedicato il capitolo sei ai religiosi nel capitolo successivo affronta l’indole escatologica della chiesa. Parole difficili per ricordarci una verità fondamentale: siamo in cammino verso il cielo. E una suora nella comunità ci aiuta a ricordarlo. La nostra patria è nei cieli: di là aspettiamo il salvatore nostro Gesù Cristo. Ecco allora l’invito che ci rivolge Sr. Redenta anche con la solarità e l’entusiasmo che portava con sé: vivi i tuoi giorni senza lasciarti schiacciare. Fa’ che il lavoro non ti assorba completamente, che le preoccupazioni e gli affanni non ti affossino, che la tristezza non diventi una pagina troppo famigliare. Perché i discepoli del Signore se ne stanno con i piedi per terra ma con il cuore nei cieli, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il Signore Gesù Cristo, come proclamiamo in ogni nostra messa.  

2.    La vita di Sr. Redenta però è stata anche un dono quotidiano ai fratelli. Tante le comunità che ha servito: Pozzale, Milano, S. Maria Capua Vetere, Acquaseria, Moncalieri, Bergoro e Marene. Il suo cuore era legato però a Palazzolo dove a più riprese ha passato vent’anni. E in questa comunità ha riscoperto la sua vocazione materna. Lei che era rimasta presto orfana di madre e si era occupata dei suoi fratelli, diventava nuovamente mamma e forse anche un po’ nonna di tanti bambini: presenza importante per loro e per numerose famiglie di quella comunità. Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. I bambini nella comunità ci ricordano le misure evangeliche della semplicità e della fiducia, pagina non di poco conto per una parrocchia, ma anche per una suora che apparteneva a una famiglia religiosa nella quale una giovane carmelitana di nome Teresa di Gesù Bambino ha proposto come cammino cristiano “la piccola via dell’infanzia spirituale”. Ti rendo lode o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. E Sr. M. Redenta, che non aveva titoli scolastici, ha ricevuto il diploma del Regno dei cieli. 

3.    C’è un’altra pagina importante che questa sorella ci consegna. È racchiusa nel suo nome: Sr. M. Redenta di Santa Croce. E il fatto che ci abbia lasciato nella domenica delle Palme quando l’ombra della croce si allunga ormai sulla Settimana Santa, ci dice che quel nome non era un caso. La croce questa sorella l’ha sempre portata, accogliendo la volontà di Dio. Ma quel carico si è fatto più pesante quando nel 2004 quando, a 85 anni, ha dovuto lasciare Palazzolo per raggiungere Rodengo Saiano. Le è costato parecchio: dopo tutto non era mica ancora vecchia! E tuttavia anche nella nuova collocazione ha vissuto i suoi giorni in piena disponibilità, nella preghiera, nei servizi comunitari, nella custodia della serenità comunitaria. Fino al giorno in cui, vigilia del suo 70° anniversario di professione religiosa è stata colpita da un’infermità che l’ha bloccata a letto per il resto dei suoi giorni. La Santa Croce era arrivata tutta intera. E Sr. Redenta l’ha portata nella fiducia in quel Dio nelle cui mani si è sempre al sicuro, anche quando pensiamo di essere perduti. Chi ci separerà dal suo amore? Affidiamo Sr. Redenta all’abbraccio della misericordia divina, ringraziamo il Signore per la sua vocazione e la sua testimonianza, chiediamo a Dio che il suo cammino sia strada buona per nuove risposte al Signore nella vita consacrata e nell’adesione al vangelo.